KISS ME SOFTLY, KISS ME SLOWLY

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- Sei bellissima.

Guardai Giacomo negli occhi e sorrisi al suo complimento, mentre facevo scendere la cerniera del mio piumino e lo appoggiavo su uno sgabello di metallo dalle gambe chilometriche con la scritta Coca Cola. Mi lasciai ammirare da lui, girando su me stessa.

Indossavo un vestitino di tessuto pesante, invernale, che mi arrivava fin sopra il seno; poi, una distesa di pizzo nero andava dalle mie clavicole fino ai polsi, ricoprendo tutte le braccia. Il pizzo veniva ripreso sull'orlo in fondo, dove il vestito terminava a metà coscia; sotto, un paio di collant nere e degli stivaletti scamosciati, neri anch'essi, con il tacco. Guardai imbarazzata il ragazzo davanti a me, consapevole di sembrare una giraffa e di raggiungere, probabilmente, il metro e ottantacinque. Ora dovevamo essere alti uguali.

Mi sbilanciai all'improvviso e mi si piegò pericolosamente una caviglia, ma afferrai velocemente il bordo del tavolino davanti a me e riuscii a reggermi.

Potevano essere belli quanto volevano, ma ero sicura che un giorno o l'altro quei trampoli mi avrebbero uccisa.

Mentre diventavo rossa come un pomodoro, lui mi prese sottobraccio e mi portò verso le casse per prendere l'entrata.

Ci trovavamo all'Icon, la discoteca più grande della città. Io ci ero stata solo una volta, ma era stato così traumatico che avevo deciso che non ci sarei tornata mai più. Mi erano finiti almeno quattro drink sul vestito e uno dritto dentro la scollatura, con tanto di cubetti di ghiaccio, ero inciampata e caduta due volte e ogni ragazzo ubriaco che mi passava davanti (cioè tutti, in pratica) tentava di rimorchiarmi o di baciarmi, e provava a toccarmi dappertutto. Era stato disgustoso. I pavimenti erano appiccicosi per l'alcol che era stato versato per terra e c'era così tanta gente che non riuscivo nemmeno a muovermi di un centimetro; avevo temuto di svenire ed ero stata assalita da un attacco di panico.

Ma quando Giacomo mi aveva invitata, ecco... non avevo potuto non accettare.

Era successo il giorno dopo la nostra uscita a quattro, precisamente alle 16.32 di un meraviglioso pomeriggio d'autunno.

Stavamo messaggiando quando, di punto in bianco, mi aveva chiesto di venire con lui in discoteca il sabato sera seguente: come avrei potuto rifiutare?

Inutile dire che ero al settimo cielo; il giorno dopo mi ero fiondata subito a cercare un vestito nuovo, che grazie al cielo trovai in un paio d'ore soltanto (di solito ci mettevo settimane, a trovare quello giusto).

Poi era giunto il momento delle scarpe. Mentre uscivo dal negozio con il mio adorato vestito in mano, avevo notato in una vetrina delle décolleté rosse, di vernice, quindici centimetri di tacco, made in Italy, con suola di vero cuoio. In poche parole, ciò che tutte le donne desiderano.

In un lampo ero già dentro il negozio e ci stavo infilando delicatamente i piedi quando mi resi conto di aver trascurato un piccolo, piccolissimo particolare: il prezzo.

Avevo voltato lentamente il cartellino, guardando con un occhio solo e stringendo i denti: centosessantanove euro.

Le avevo riposte tristemente sullo scaffale e me ne ero tornata a casa abbattuta.

Così avevo dovuto optare per i miei stivaletti neri tacco dodici. Sapevo che avrei dovuto accontentarmi, ma per una volta avrei voluto osare.

In ogni caso quel sabato sera, quello che si preannunciava un meraviglioso sabato sera, mi trovavo lì, in compagnia del ragazzo di cui ero follemente innamorata – ormai mi ero arresa, non potevo più dire che fosse solo una cotta - , armeggiando nella mia pochette di lustrini in cerca dei soldi per pagare il biglietto.

Tu che mi completiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora