CLOSE YOUR EYES AND I'LL KISS YOU

25 4 0
                                    

Non feci nemmeno in tempo a togliermi il giubbino che sentii suonare alla porta. Il rumore del citofono fu seguito da urla indistinte e diversi colpi sulla porta, che ignorai deliberatamente.

Avevo chiuso con lui. Mi ero stufata dei suoi giochetti, delle sue amiche, delle bugie, delle cose che mi teneva nascoste. Mi ero stufata di dover stare sempre all'erta, di avere l'ansia di essere tradita.

Ero stanca di avere paura.

Ormai non mi importava più il fatto che la mia vita non sarebbe più stata la stessa senza di lui. Dovevo guardare avanti e lasciarmi tutto alle spalle, senza ripensamenti. Volevo vivere tranquillamente, senza dovermi preoccupare in continuazione di altre ragazze e di possibili minacce per la mia relazione.

Fino a quel momento pensavo che la colpa fosse stata solo mia: ero troppo paranoica, gelosa e possessiva, e credevo di vedere le cose sempre dal lato negativo, e di deformare la realtà. Invece, ora avevo le prove: non ero pazza, Giacomo aveva accettato un incontro con la sua ex ragazza. Lei aveva intenzioni ben chiare, e lui lo sapeva; proprio per quello doveva avere accettato.

Non mi interessava sentire nessuna spiegazione: le cose stavano così, io avevo scoperto i messaggi e non c'era niente, niente che avrebbe potuto farmi cambiare idea su ciò che avevo letto. Semplicemente, non c'era niente da spiegare. Non sapevo, quindi, perché continuasse a picchiare alla porta e a chiamarmi.

In punta di piedi mi avvicinai allo spioncino, e vidi che era proprio lì sulla soglia, con un'aria apparentemente disperata, che chissà quali veri sentimenti celava.

- Vattene, tanto non ti apro.

- Col cazzo che me ne vado. Non mi muovo di qui finché non mi apri.

- Ok, allora sappi che non sarò io a raccogliere il tuo cadavere.

- Molto divertente. - biascicò, cercando di reprimere una risata.

- Non sto scherzando. Anzi, tra poco dovrebbe tornare mio padre dal lavoro. Tranquillo, ci penserà lui a mandarti via.

- Ti ho detto che di qui non me ne va...

Non fece nemmeno in tempo a finire la frase che, appena sentì la macchina di mio padre entrare in cortile, sgattaiolò via con la coda tra le gambe.

- Non finisce qui! - fu la sua ultima frase. Codardo.

Non so perché temesse tanto il mio papà; era vero, aveva un'aria severa e autoritaria, le sopracciglia perennemente aggrottate come se fosse sempre arrabbiato, ma in verità era, forse, l'unica persona della mia famiglia che mi capiva. Ci assomigliavamo, sotto molti punti di vista. Se non fosse stato per mia madre, che cercava di ostacolare i miei sogni da sempre, assumendo il controllo delle nostre vite e gettando un'ombra sulla presunta autorità di mio padre, sarei stata sicuramente più libera e simile a lui. Perché era così che volevo essere: un'anima libera, proprio come mio papà, che viaggiava per il mondo, che voleva vivere davvero. Non come mia madre, che non si sarebbe mai spostata dal misero paese dove abitavamo, nemmeno se fosse stato inondato da uno tsunami.

In ogni caso, a Giacomo mio padre incuteva un certo timore. Quindi, grazie a Dio, se n'era andato alla svelta, e io ero finalmente libera di starmene sola con me stessa. Non avevo voglia di riflettere: avevo già riflettuto fin troppo, e per giungere a quale conclusione? Quella di dare una seconda possibilità a uno che, poi, l'aveva gettata via così, come carta straccia. Era molto meglio sgomberare la mente e non pensare a nulla. Così mi stesi sul divano con una ciotola di patatine in mano, e iniziai a guardare il primo film che trovai in televisione.

In due minuti caddi in un sonno profondo e, per la prima volta da tanto tempo, non ebbi incubi.

***

Tu che mi completiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora