Progetto KG-348

185 21 3
                                    

Mi dirigo verso la struttura a pianta circolare, superando una seconda porta a tenuta stagna.
Entro, e la prima cosa che vedo è un androide completamente sqarciato, con le gambe divelte.
Osservo i suoi cavi neri immersi in un lago di liquido grigio, i suoi occhi spenti, la sua testa elettronica innaturalmente appoggiata sulla spalla...

(-Samuels, tu puoi morire?
-Cosa stai dicendo, Ripley?
-I miei compagni di classe mi prendono in giro, dicono che sono debole dato che ho preso la polmonite. Dicono che sono orfana perché la mamma è via da tanto. Se te ne vai anche tu, dovrò cambiare scuola.
Samuels strinse molto forte la vecchia batteria che aveva preso a Ripley per il progetto di storia della tecnologia, era una di quelle ricaricabili tanto in voga 200 anni prima.
Strinse quella batteria con tanta di quella forza da far collassare il  rivestimento di metallo esterno e da far sanguinare i metalli alcalini contenuti all'interno.
Ingoiò l'istinto di ribaltare la faccia ai tizi che ridicolizzavano la piccola ed innocente Ripley, e le parlò lentamente.
-Io non posso morire, se non per sovraccarico ai miei circuiti o per cattiva manutenzione.
-Nemmeno se provassi a staccarti le gambe?
-No.)

Se quella cosa è riuscita a staccare le gambe ad un androide, dieci volte più forte di me, posso solo immaginare cosa potrebbe fare alla sottoscritta.
L'intera area è surreale: immersa nella quasi completa oscurità, riesco ad orientarmi grazie alle scintille e alle luci blu delle ventole.
La particolare disposizione dei corridoi, sistemati a forma di ovale intorno ai due laboratori, rende il progetto KG-348 molto strano.
Il luogo è praticamente tutto costruito in metallo rosso: camminando, faccio un rumore incredibile.
Tutte le porte sono chiuse dato che la corrente è mancante.
Arrivo sino ad una chiusa che reca la scritta EVAC, vale a dire Emergency Vacuum Airlock Chamber.
Waits aveva accennato alla possibilità di staccare i laboratori dalla stazione, per intrappolare la bestia.
Questa chiusa, però, potrebbe essere usata per scappare.
Lascio stare i miei pensieri.
È tutto dipinto di rosso, con le scritte in bianco.
Rosso.
Il colore dell'emergenza.
Dai vetri pressurizzati della Chiusa d'Aria filtrano i raggi H del gigante gassoso, che illuminano un androide disteso a terra.
I suoi occhi sono accesi.
Stavolta non ci casco.
Quattro colpi di piede di porco, e sento il suo sistema spegnersi.
Credeva di imbrogliarmi, il bastardo.
Proseguo, e giungo sino all'interruttore elettrico.
Tiro la leva, ed un allarme inizia a suonare, mentre delle sterili luci blu iniziano a pulsare regolarmente, aumentando la visibilità.
"Fatto! Vedo un picco di tensione! Ora ricollega i sistemi del laboratorio a Sevastopol, dal terminale nel laboratorio centrale. Contiamo su di te, Ripley."
"Fuoriuscita di materiali pericolosi individuata.", dice una calma voce robotica dagli altoparlanti.
Senza darle troppa importanza, mi dirigo verso il terminale principale.
Con il sintetizzatore, forzo il sistema.
Una luce gialla inizia a lampeggiare, mentre un secondo allarme, più acuto e fastidioso, comincia a suonare; intanto, la stessa voce robotica ripete: "Fuoriscita di materiali pericolosi confermata. Procedure di sicurezza avviate. Restare calmi e dirigersi verso l'uscita più vicina."
Poco dopo, da un condotto sul soffitto fa la sua apparizione niente meno che che la creatura, la quale ha continuato a cercarmi e a seguirmi.
Cercando di fare il più rapidamente possibile, corro verso la porta stagna, quando Waits distrugge la mia fiducia in lui.
Tre parole.
Tre semplici parole, che chiariscono il nome del progetto.
KG-348.
Lo stesso nome che ha il gigante gassoso attorno al quale orbitiamo.
"Mi dispiace, Ripley."
"Procedura di sgancio della struttura in corso. Allontanarsi dai portelli."
La porta di fronte a me si sigilla ermeticamente, chiudendomi nel laboratorio insieme allo Xenomorfo.
"No, no!!! Non puoi farmi questo, cazzo!!!", esclamo esasperata, battendo i pugni sulla porta chiusa.
In tutta risposta, sento dei ganci staccarsi uno dopo l'altro con un suono sordo.
Poi, l'esplosione dei razzi mi fa aggrappare alla finestra del portello, e l'enorme accelerazione mi trascina verso il basso.
Definitivamente staccati da Sevastopol, vedo confusamente il gigante gassoso e la stazione in lontananza, a centinaia, se non migliaia, di metri di vuoto da me...
Inizio a fluttuare, data l'assenza di gravità.
In cerca di un appiglio, nuoto sino all'altezza del soffito, dove mi aggrappo ad un tubo.
Intanto, centinaia di altri allarmi e di altri suoni e luci e rumori inquietantemente forti e acuti si sono aggiunti alla calma quiete precedente, creando un vero e proprio frastuono che mi rimbomba nel cervello, sconvolto e triste per il gesto crudele di Waits.
L'aria inizia a mancare, ed io ansimo fra le lacrime.
"Prepararsi alla gravità di riserva."
È l'unica cosa che sento insieme ad un fischio sibilante, prima di perdere la presa sul tubo e crollare sul freddo metallo.
Ancora affamata d'ossigeno e stordita dalla caduta, mi rialzo barcollando, mentre la gravità inizia a stabilizzarsi.
"Recarsi alla chiusa d'aria più vicina e attendere l'intervento dell'equipaggio d'emergenza."
"Non può essere vero..."
Corro mentre tutto intorno a me lampeggia e strilla malamente, e raggiungo la chiusa d'aria illuminata dalle luci d'emergenza.
Noto che non è manco pressurizzata.
"Cazzo."
Attivo la pressurizzazione con una manata sul pannello.
Sento i cilindri sbloccarsi, e l'ossigeno pian piano entrare.
Come se non fosse già abbastanza, devo anche aspettare che l'aria sia respirabile.
Ah, il rumore della chiusa ha attirato la creatura.
Mi nascondo in un condotto sotterraneo, e aspetto.
Posso percepire lo Xenomorfo sopra di me.
Vedo, attraverso i fori delle grate, la sua lunga coda.
Per uscire dal condotto, utilizzo il rilevatore, che sta facendo le bizze per colpa di tutto questo casino.
Tutt'un tratto, gli allarmi cessano, e si sente solo un suono acuto.
Tutto è illuminato da un'intensa luce verde.
La cabina finalmente è pronta.
Con velocità, mi dirigo verso la stanza.
La differenza di gravità fra le due aree mi schiaccia a terra.
Dal condotto in cui ero nascosta, sbuca fuori la creatura, che emette il suo verso, più intenso e cattivo del solito.
Terrorizzata, mi alzo e scatto verso il pulsante d'emergenza, chiudendo così la porta in faccia all'alieno.
Credo di essere finalmente salva.
E invece no.
L'ennesimo allarme inizia a suonare, tingendo di rosso la stanza bianca.
Nella foga del momento, mi sono dimenticata che questa non è una navicella.
Ma una chiusa d'aria.
Questo vuol dire che ho più o meno trenta secondi per infilarmi la tuta spaziale e non morire soffocata e schiacciata allo stesso tempo dall'immensa pressione spaziale.
Mi lancio verso la tuta, e, a tempo di record, la indosso.
Qualche secondo dopo, il potrellone si apre, ed io vengo risucchiata all'esterno.
In questo momento sembra che io stia fluttuando, ma la realtà è ben diversa.
L'immensa massa di Sevastopol ha generato una gravità artificiale.
Infatti sto precipitando verso la stazione, che è a qualche chilometro di distanza.
Sempre più rapidamente, il grigio della punta di diamante della Seegson mi si avvicina, fino ad un tremendo impatto che mi blocca il respiro per qualche secondo.
Esso viene rimpiazzato dalle lacrime per il dolore allucinante che percorre i miei nervi e raggiunge il mio cervello esausto.
Il respiro riprende poco dopo, ma è molto più affannato e pesante.
Mi aggrappo ad un tubo sporgente, e, con uno sforzo immenso che mi fa esplodere una fitta di dolore lungo tutto il torace e le gambe, mi trascino sino ad un portello.
Tiro la leva per l'apertura d'emergenza.
Le porte si aprono, ed io entro.

Riattivo la pressurizzazione con una seconda leva, e mentre la gravità ritorna gradualmente normale, io mi accascio a terra, sfinita, senza sapere cosa fare adesso su Sevastopol, o cosa pensare dei miei alleati...

Alien IsolationDove le storie prendono vita. Scoprilo ora