Chiacchierata con APOLLO

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Allora Amanda, calmati.
Sei a due metri da APOLLO, ma in mezzo c'è un portello bloccato.
Cosa fai?
Non lo so.
Cazzo, sono totalmente da sola, circondata da androidi assassini.
Mi guardo in giro, e trovo finalmente una mappa.
Grazie a Dio.
Mostra la planimetria completa dell'intera area, tutto spettralmente costruito in modo ossessivamente simmetrico: due Emisferi, uno destro, uno sinistro; due Sale Server Primarie, una destra, una sinistra; due Sale Consultazioni, una in alto, una in basso; due Sale di Osservazione APOLLO, una in alto, una in basso; il tutto ruota intorno all'immensa Intelligenza Artificiale, una grande sfera, alimentata da un gigantesco reattore nucleare sepolto qualche centinaia di metri di acciaio, stagno, piombo e ferro più in basso.
Decido di andare nella più vicina delle due Sale Consultazioni, per poter attivare le Sale Server: da lì, dopo aver sbloccato i sistemi di sicurezza, dei condotti dovrebbero portarmi dritta nella Sala Centrale.
Facendo slalom fra androidi e sintetici vari, raggiungo incolume la prima delle stanze da ispezionare per arrivare ad APOLLO.
Forzo i sistemi, e una voce mi ragguaglia sulla situazione:
"Pannelli Server del settore destro: attivati; Pannelli Server del settore sinistro: attivati."
Fregandomene delle decine di androidi che mi inseguono, corro sino alla Sala Server Destra: ben trenta parallelepipedi arancioni alti fino al soffitto, con migliaia di lucine e led che lampeggiano confusamente nella penombra della stanza, mi si parano davanti, lasciandomi per un attimo senza fiato davanti alla loro straordinaria stazza e potenza di calcolo.
Le voci di due sintetici mi fanno trasalire, e, arrabbiata per lo spavento preso, li affumico per benino prima di occuparmi del sistema di sicurezza.
Attivo tutti i terminali, almeno uno di questi dovrebbe sbloccare il firewall quasi impenetrabile di APOLLO.
Fortunatamente, uno di questi si rivela quello idoneo a compiere la precedentemente citata operazione.
Un cupo suono metallico, che piano piano si assottiglia e diventa sempre più acuto, mi avvisa della riuscita della prima metà del mio piano.
Stavolta adottando una tattica più prudente e cauta, raggiungo la Sala Server Sinistra.
Mi correggo: qui vedo con i miei occhi quanto l'elettronica sia fragile e facile da bloccare.
Gli enormi Server, alti qualche ventina di metri, sono spenti, con le loro fondamenta immerse nell'acqua inclemente piovuta da un tubo rotto sul soffitto, che ha invaso i circuiti facendo saltare tutta l'ala sinistra.
Conscia dell'enorme pericolo elettrico palpabile dentro questa grande stanza, cammino con l'acqua che arriva alle ginocchia sino all'unico computer ancora pressoché asciutto, probabilmente salvatosi solo perché leggermente rialzato rispetto ai compagni ben più annacquati, nella speranza che funzioni.
Riesco a irrompere nella rete informatica di APOLLO, e, dopo qualche minuto passato a decifrare l'algoritmo - piuttosto complesso, aggiungerei - sblocco il condotto che mi porterà dritta dall'intelligenza artificiale, causando scariche elettriche di potenza epica blu e bianche che attraversano l'acqua.
Aspetto qualche minuto, poi, certa che non vi è più nessun pericolo, mi infilo nel condotto illuminato da una stranza luce di emergenza rossa, e raggiungo la Sala Centrale, detta anche "Sala APOLLO".
Trovo la grande sfera bianca come in uno stato di quiete, immersa nell'oscurità, forse intenta ad osservarmi e a cercare di prevedere le mie future mosse tramite una serie di 0 e di 1.
Be', ormai dovrebbe aver imparato che non sono poi così tanto prevedibile.
Sperando di usare per l'ultima volta il sintetizzatore, accedo all'intelligenza artificiale e la attivo, iniziando a far vibrare tutto il pavimento, mentre la sfera ruota su sé stessa.
Le luci al kripton si accendono una ad una, illuminando di un candido bianco l'intera stuttura circolare, che intanto lancia piccoli spruzzi di aria compressa nell'ambiente circostante, mentre i cavi che entrano ed escono dall'ammasso di schede madri denominato APOLLO si attivano, facendo passare centinaia di migliaia di milioni di dati in pochi secondi.
Un "bip" mi dice che APOLLO è pronto a ricevermi.
Decisa, entro nella grande sfera, che, per la quantità industriale di luci, lucine e lucette, sembra una discoteca per robot, e mi accomodo sulla famigerata sedia bianca, che solo i dirigenti Seegson e i sintetici hanno potuto osservare ed utilizzare.
Premo il tasto Start.
Davanti a me, si accende APOLLO, e lo schermo verde di quel computer con gli steroidi si illumina di codici ed equazioni chilometriche risolte in pochi millisecondi.
Come un damerino, l'intelligenza artificiale si presenta, quasi facendo un inchino con la sfilza di compiti a lui assegnati - comandare gli androidi, assicurarsi dell'incolumità delle persone a bordo, provvedere a riparazione e manutenzione dell'intera Sevastopol, impedire il commercio illegale e segnalare agli Ufficiali i comportamenti non consoni di qualche personaggio esuberante, e molti altri - e con il suo nome completo: Artificial Personality Overseeing Lifestyle & Logistics Operations, per tutti quanti APOLLO.
Salto la stravista e totalmente fasulla amichevole presentazione della Stazione Spaziale organizzata dalla Seegson, e vado subito al punto.
Inizio il dialogo con il computer più potente dell'intera Galassia di Kepler II.

FERMARE GLI ANDROIDI.

NEGATIVO.
ORDINE PARTICOLARE 939 WEYLAND - YUTANI IN CORSO.

"Ma che...?"

WEYLAND - YUTANI?

LA WEYLAND - YUTANI POSSIEDE QUESTA STRUTTURA.
ORDINE D'ACQUISTO RICEVUTO IN DATA 21-11-2137.

"Due giorni dopo la partenza? Stai scherzando?"

COS'È L'ORDINE PARTICOLARE 939?

PRIORITÀ ASSOLUTA:

PROTEGGERE ESEMPLARE.
MANTENERE LA STAZIONE IN QUARANTENA.
INTERROMPERE LE COMUNICAZIONI.

OGNI ALTRA CONSIDERAZIONE SECONDARIA.

"Figli di puttana! Non è più sulla Stazione, cazzo!"

L'ESEMPLARE NON È PIÙ A SEVASTOPOL.
SOSPENDERE ORDINE PARTICOLARE 939.

NEGATIVO.

"Cosa?"

LE SCANSIONI DEL REATTORE NON SONO VERIFICATE.

"Cazzo..."

(Debole, speravi fosse finita così?
La Compagnia vince sempre, ricordalo.)

Frustrata per l'ennesimo cambio di programma, che stavolta mi porta dritta dritta nel cuore pulsante di Sevastopol, esco tirando un pugno alla parete di gomma che riveste ed isola la sala di APOLLO.
E dire che io lavoro per la Weyland - Yutani!
La Compagnia ha appena detto che non gliene frega una mazza se a bordo ci sono persone ancora vive, le interessa solo l'esemplare.
Che pensavo di aver espulso sul gigante gassoso, ma che in realtà è stato più previdente di tutti noi, e si è insediato, stando a quanto dice APOLLO, nel reattore nucleare che mantiene attiva la stazione.
Di bene in meglio.
Mentre aspetto che il mio robotico amico la smetta di ronzare, soddisfatto e canzonatorio per un'altra missione aggiuntasi fra me e la libertà, e cominci a tornare nel suo stato di ibernazione obbligato dalla WY, ascolto una nuova frase che mi fa gelare il sangue nelle vene.
Gli altoparlanti, che di solito trasmettevano ripetutamente il jingle della Seegson, ora sputano una serie di parole macabre ed allo stesso tempo sorridenti, come dette dal Joker del XXI secolo: "Weyland - Yutani. Costruiamo mondi migliori."
Prendo due scale di fila, e scendo sempre di più.
Arrivo alla pedana per la Sala Macchine, ed inizio a scendere.
Mentre osservo la maestosa e gigantesca turbina di raffreddamento di APOLLO, che mentre gira scricchiola e cigola, provo a contattare Ricardo, quasi certa che, essendo sotto l'intelligenza artificiale, riesca a captare il segnale.
"Sei collegato, Ricardo?"
"Sono qui, Ripley. Novità?"
"APOLLO sta seguendo i protocolli della Weyland - Yutani."
"Cosa?"
"La Seegson ha venduto tutto. Ricardo, APOLLO si rifiuta di cedere, dice che qualcosa non va con il reattore."
"Sei della Compagnia! Digli che non te ne frega un cazzo e di fare quello che gli dici!"
"Mi dispiace, Ricardo, ma sono un pesce piccolo. Io, Samuels, Taylor...lo siamo tutti. Se scoprissimo qualcosa, APOLLO non sarebbe così maldisposto a farci uccidere."
La pedana si ferma, ed entro nella Sala Macchine.
La temperatura si sta alzando ad ogni passo, segno che sono vicina al reattore nucleare, una bomba ad orologeria dalla potenza di ben 5600 kilotoni.
Intorno a me il paesaggio ha assunto sfumature di rosso, e il calore fa deformare le immagini.
Il mio corpo reclama del riposo, non sono un sintetico dopotutto; in uno stato di dormiveglia inizio a controllare che il posto in cui proverò a schiacciare un pisolino sia abbastanza sicuro da permettermi la sopravvivenza.
Dopo aver bloccato tutte le porte, aver controllato maniacalmente che non ci sia nessuno nei paraggi e aver piazzato quattro o cinque fra molotov e granate EMP di prevenzione, mi rannicchio in un angolino, sfinita, e, cullata dal ritmo costante delle turbine e dal calore irradiato dal metallo caldo intorno a me, crollo in un sonno profondo, senza sogni.

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