La sala dei Cadaveri

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Esco dalla camera pressurizzata e mi guardo intorno: non c'è anima viva, ma in compenso niente è al suo posto. Mi si apre un panorama desolato: come direbbero i miei antenati del XXI secolo, il paesaggio assomiglia ad un set rubato ad un film su una qualche apocalisse zombie: ci sono costanti frastuoni e scosse, l'elettricità va e viene ed il percorso è ostacolato da detriti di vario genere: ecco alcuni letti vuoti, lì campeggiano sacchi di ignota provenienza, barriere contenitive sembrano spuntare dal nulla, ovunque luci al neon penzolano, dispensando scintille gratuite, e qua e là appargono scale distrutte o fili elettrici scoperti.
Per finire in bellezza, il mio tour di benvenuto sulla stazione si conclude con la magnifica visione di un grande buco nel pavimento, da cui posso osservare estasiata i tubi del gas propano. Ah, quasi dimenticavo di menzionare il tocco di classe: una scia di fuoco che pare un lanciafiamme pronto ad arrostirmi esce bruciando ardentemente da una valvola rotta.
Qualcosa mi dice che da qui non si passa.
Noto sulla sinistra un condotto per le manutenzioni, e mi ci avvicino senza pensarci due volte - sarò pure una donna ma non di certo sono una di quelle fighette che partecipano a "Miss Universo".
L'apertura automatica della chiusa mezza arrugginita del condotto mezzo arrugginito gracchia il suo metallico suono mezzo arruginito: entro dentro a carponi e in breve sono circondata da cavi elettrici seminascosti dalle coperture in metallo semidistrutte.
La luce è fornita da una serie di lampadine ondeggianti, ma subito queste saltano e piombo nel buio pressoché totale.
In fondo però non devo lamentarmi, nonostante tutto riesco comunque a capire dove sono e dove vado grazie al mio sviluppato senso dell'orientamento.
Aggiro la pericolosa fiammata sbucando esattamente dalla parte opposta rispetto a dove mi trovavo poco prima contemplando il cratere, quindi continuo a cercare aiuto immersa nel silenzio e nella desolazione.
Ad un certo punto, dopo vari giri di perlustrazione e vari pensieri poco carini sulle attuali condizioni di HA-D3Nt, la sezione dedita all'accoglienza dei nuovi ospiti, incappo in un altro buco nel pavimento: stavolta a coprire il baratro sono disposte alcune assi, e questo mi fa presumere  che ci siano altre persone sulla navAHHH!
Tutto accade in una frazione di secondo: il mio piede, fino a qualche istante prima saldamente premuto sul freddo metallo ad opera della gravità, sente il vuoto sotto la sua pianta, realizzando troppo tardi l'inevitabile; una delle assi scivola - il suo gancio slitta nella precarietà del complesso - ed io cado insieme a lei all'interno del buco.
Un tonfo pesante e metallico mi accoglie in comunione con una pioggerellina di polvere e ruggine.
Mi rialzo leggermente stordita, con un gomito dolorante: la caduta di più o meno 5 metri non è sufficiente sufficiente a farmi desistere, sono Amanda Ripley, che cazzo!
Più determinata che mai, decido di proseguire.
Prima però guardo verso l'alto, maledico ripetutamente l'asse divergente, tiro un calcio stizzito alla lastra di fronte a me (che si sfracella senza un minimo di dignità) e concludo che forse l'assenza di risposte ai nostri tentativi di comunicazione non è del tutto immotivata.
Qui sotto uno strano e persistente senso di essere osservata e pedinata fa sembrare il panorama molto più spettrale di quanto già lo sia: la luce è completamente mancante (trovare una fonte di illuminazione in questo sotterraneo dimenticato dalla Scienza equivale a vincere alla Lotteria Galattica), e riesco a muovermi a malapena, scovando fugacemente l'ubicazione degli innumerevoli ostacoli solo grazie alle sporadiche scintille prodotte dalle lampadine esplose; come se non fosse già abbastanza complicato, a terra sono distesi, senza vita, una serie di pilastri sostenitivi in cemento armato, parzialmente o totalmente sgretolati. Questo connubio trasforma ancora una volta questo posto in un paesaggio terremotato: per la precisione, pare di rivivere quelle centinaia di vecchie foto digitali e antiquati video risalenti al 2017, anno del Grande Sisma di intensità 19.7 sull'ormai obsoleta scala Richter, che spinse l'umanità a cercare un pianeta secondario su cui vivere; il tutto assomiglia infatti ai disastrosi segni lasciati dall'inaspettato e violento movimento tellurico, da me esposto all'esame finale di Storia Terrestre.
Persevero nella mia perlustrazione di questo luogo così immobile ed allo stesso tempo spaventoso, nel tentativo di trovare anche un minimo aiuto.
Ad un certo punto vedo una scritta, un graffito, che imbratta uno dei muri in lega di titanio e quarzio, realizzato con una rudimentale bomboletta spray: reca le parole "Continua a Muoverti".
Ha tutti i tratti di una parola messa nero su bianco (o in questo caso giallo su ceruleo) nella più totale fretta, come se il tizio che si fosse preso la briga di esternare le sue doti artistiche avesse un inseguitore alle spalle.
Lì accanto alberga una scala, che decido di salire, nella speranza di tornare al terminal di accoglienza, magari trovando sani e salvi Taylor e Samuels... speriamo stiano bene.
Giungo in una stanza tetra e scura, dove urto una scatola di sicurezza che si illumina: l'etichetta fluorescente mi informa che all'interno è contenuto un mucchio di rottami robotici di proprietà di un certo "Ufficiale Sanitario della Nos-", il resto delle informazioni è perduto.
L'etichetta torna nel suo stato di quiete, ed ecco che il buio attanaglia la stanza ancora una volta.
Se almeno avessi una torcia...
Non importa.
Ce la puoi fare, Ripley.
Devi solo trovare aiuto per Samuels e Taylor.
Ce la puoi fare, Ripley.
Con questa litania che mi si ripete in testa attraverso decine di stanze foderate da graffiti inquietanti ma senza nemmeno l'ombra di un uomo, e incappo nel pannello di controllo della zona principale.
E, premendo qualche bottone, ripristino la corrente.
Sì!
Ce l'ho fatta!
Le luci di emergenza scattano subito, accecandomi per un breve istante.
Quindi sento il rumore dei motori del reattore nucleare appartenenti al nostro settore riprendere a ronzare. All'improvviso ecco tre figure (uomini, androidi o altro non so dirlo) correre attraverso la stanza, urlando qualcosa a proposito della loro "ultima possibilità".
Chi diamine sono?
A quanto pare non sono più sola qui...
Lascio la mia postazione, e decido di andare verso la sala principale, dove sicuramente troverò qualcuno.
Almeno lo spero.
Entro, e rimango sconvolta: al solito terrificante silenzio e alla consueta illuminazione scarsa, si aggiungono distruzione e graffiti vari in quantità massiccia. C'è perfino uno di quei blocchi di cemento che sulla Terra utilizzavano come guard-rail.
Ma ancora una volta, nessuno in vista.
Poi però la situazione precipita.
Non è possibile.
No, no.
Questo dev'essere un brutto scherzo della mia mente malconcia dopo la rovinosa caduta.
In questo preciso momento vedo, attraverso le gigantesche finestre della stazione, la Torrens che si stacca dalla stazione e parte.
Cazzo!
Verlaine, non puoi lasciarmi qui!
Devo assolutamente chiamare l'astronave.
Corro a cercare un telefono o un punto per le comunicazioni dove non mi sono ancora avventurata.
Vago ancora, quindi capito in un ampia sala, e mi si gela il sangue nelle vene appena entro.

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