Mi risveglio di colpo, con l'assordante suono metallico di una ventola che si inceppa.
Guardo sopra di me, e vedo che la gigantesca turbina di ventilazione di APOLLO si è appena arrestata in modo anomalo.
Ancora assonnata, cerco di capire quanto sia stata addormentata, e, come risposta, ottengo una ventata di aria calda, proveniente dal pavimento sotto di me.
Ciò significa che devo rimettermi in marcia.
Sposto un veicolo che mi bloccava l'accesso alla porta ermetica davanti a me, e entro in questa nuova area: pavimento rosso, pareti grigie, molte telecamere, portelli bloccati ovunque.
Continuando a cercare di non morire uccisa dai dannati androidi che si aggirano nei meandri e nelle viscere più oscure e profonde di Sevastopol, ora proprietà della Weyland - Yutani, scendo sempre più in basso.
La temperatura ora è schizzata alle stelle, vedo l'aria che si deforma a causa dell'immenso calore; questo fatto, però, costituisce anche un vantaggio, seppur minimo: infatti gli androidi adibiti alla sorveglianza sono storditi dal caldo opprimente, che sta iniziando a fondergli i circuiti.
Attraverso decine e decine di stanza desolate e desertiche, popolate da parecchia polvere, oggeti lasciati da umani prima che la sciagura della Stazione facesse il suo corso e jingles della Compagnia, sputati a tutto volume dagli altoparlanti arrugginiti e gracchianti.
Ovviamente tutte le porte sono sigillate, e devo ricorrere ai condotti di sicurezza: potenzio la mia torcia al plasma, che diventa una torcia a ioni, molto più potente e precisa.
Con la neo-acquisita e futuristica fiamma, trancio via un pesante e spesso pannello di titanio, che mi sblocca un altro tratto di strada vero il reattore.
Nella mia continua discesa finora abbastanza tranquilla, incappo in un androide molto attivo e lucido, vestito in modo particolare: ha una tuta arancione che lo avvolge da capo a piedi, sembra si tratti di un indumento refrattario al calore.
Probabilmente i modelli che lavorano nei piani inferiori indossano queste protezioni per non guastarsi di continuo.
Provo ad evitare un contatto con lui, in quanto immune a molotov, granate e quant'altro, ma il successore di Working Joe mi nota, ed inizia ad inseguirmi.
Me la dò a gambe levate, ma termino la mia infelice corsa in un vicolo cieco.
Terrorizzata per essere totalmente indifesa, mi guardo intorno, e miracolosamente trovo abbandonato un boltgun.
Carico.
La rudimentale arma, creata con accozzaglie di pezzi metallici, scotch e vari sensori strappati a porte e portelloni vari, inizia a caricarsi, con un suono ronzante che va in crescendo.
Il sintetico arriva davanti a me, con i suoi occhi rosso fuoco, ed io opto per un accoglienza più che calorosa: un simpatico pezzo di piombo in mezzo agli occhi.
In pochi secondi cessa il suo funzionamento, balbettando frammenti scomposti e senza senso di frasi false e preregistrate.
"Addio, lurido stronzo di plastica."
Indisturbata, mi rimetto in marcia, certa che il cammino sia lungo e difficoltoso.
Percorrendo enormi stanze completamente piene di cavi, tubi e valvole di straordinaria portata, collegati a loro volta a stoici server e contenitori di metalli fusi, illuminate da una fioca luce bianca che filtra dalle lampade poste dietro a grate verdi, contemplo la desolazione più totale del luogo; sembra quasi progettato per fare una cattiva impressione, per lasciare un retrogusto amaro in questa visione arcana e complicata dei più complessi sistemi di alimentazione disponibili per una stazione spaziale ai confini delle rotte commerciali Terrestri.
Giungo all'ascensore che mi porterà svariati metri più in basso, conducendomi nel cuore della stazione vero e proprio.
Dato che il tragitto dell'elevatore si prospetta noiosamente lungo, contatto Ricardo per fare un minimo di conversazione.
"Ricardo, sei mai stato al reattore?"
"Mai visto."
"Ho fatto una parte del mio addestramento in uno di quelli, una vita fa."
"Dev'essere stato interessante."
"Lo era... per mia madre..."
Al ricordo doloroso della donna che mi manca in assoluto più di tutti, i miei nervi a pezzi non reggono la troppa tensione aggravata dalla perdita di Samuels, ed inizio a piangere violentemente, con singhiozzi profondi, respiri affannati e lacrime che scorrono come fiumi.
Ricardo chiude la conversazione, impietosito, lasciando da soli me ed il mio dolore straziante.
Perché mamma, perché te ne sei andata così?
Le porte dell'ascensore si spalancano, ed io mi rannicchio in un angolo della stanza in cui sono arrivata, non curandomi di controllare se intorno a me ci siano o no quei bastardi perlati.
Semplicemente metto la testa tra le ginocchia, mi prendo le mani come per consolarmi da sola, e piango, piango, sfogo tutta la mia tristezza e la mia frustrazione, tutto il mio dolore e il vuoto incolmabile lasciato dalla prematura dipartita di Ellen.
Una marea di pensieri attraversano il mio cervello, molti di questi sono domande irrisolte, a cui speravo di rispondere venendo qui a Sevastopol.
E invece no, si sono aggiunti solamente problemi su problemi, che hanno portato persino alla morte di Samuels.
Mio padre.
Determinata ad onorare entrambi, mi asciugo le lacrime sulla maglia con le braccia tremanti, ancora in crisi, e mi rialzo pian piano.
Una decina di respiri profondi, e mi calmo almeno in parte.
Riattivo la comunicazione con Ricardo, che subito mi chiede come stia.
Io rispondo con un riconoscente ma atono "Tutto a posto, grazie."
Scendo una rampa di scale, e ritrovo degli oggetti molto utili: il fucile a pompa ed il revolver, con delle munizioni già inserite.
Ottimo, posso di nuovo difendermi come si deve.
Arrivo finalmente alla porta d'accesso per il reattore.
La varco, e davanti a me si impone una vera e propria meraviglia, frutto della sublime combinazione della Meccanica Pseudo-Quantistica e della tecnologia DodecaMaxiMediale relativa, un enorme e perfetto Reattore a Fusione Nucleare.
Il titanico sistema è costituito da MegaCilindri stagni, contenenti tutti i liquidi ed i solidi necessari al funzionamento dell'intero complesso, sistemati a grappoli nel mezzo; in cima ad essi, tutte le postazioni di controllo, e, ai lati, gli enormi Stalli di Scambio Energia, gigantiche piattaforme iperconduttive, che assorbono e trasformano i lampi di elettricità pura scagliatigli contro dalle Camere di Reazione, che illuminano l'imponenza del reattore con una fredda luce azzurro gelido.
Ogni singolo componente è collegato agli altri tramite chilometriche piattaforme di metallo, sospese nel vuoto creato dalla Gravità di Riserva del Reattore.
Ah, le passerelle in metallo sono formicai brulicanti di sintetici.
"Sono in cima al nucleo del reattore, Ricardo."
"Vedi qualcosa?"
"Niente... i Sistemi di Controllo Centrale, qualche androide... Tutto normale. Dovrò ispezionare il livello inferiore."
"Cavolo... ci dovrebbe essere un ascensore da qualche parte, ma fa' attenzione!"
Appena imbocco la strada per il livello inferiore, mi ritrovo addosso decine di androidi protetti dalla tuta arancione.
Per mezzo del fucile a pompa appena ripreso, li stermino uno dopo l'altro.
Osservo che stavolta mi servono molte più munizioni per abbattere tutti, sono fottutamente più resistenti.
Adesso che la strada è libera, cammino liberamente fino all'altro capo del reattore, mentre mi godo lo spettacolo abbagliante e mozzafiato che offre il Reattore semplicemente facendo il suo lavoro.
Chiamo l'ascensore per il livello inferiore, l'Area Manutenzione.
Appena le porte si aprono, una visione a dir poco terribile mi si para davanti.
"Oh no... Oddio, no..."
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Alien Isolation
Science FictionMi chiamo Amanda Ripley. Ho deciso di salire sulla Stazione Spaziale Sevastopol per prendere la scatola nera dell'astronave Nostromo, e scoprire la verità su mia madre. Ma troverò ben più di una semplice scatola nera...