2. Jesus of Suburbia

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Jennifer si morse forte il labbro, contraendo i muscoli della mano destra. Charlie era chino sulla sua spalla sinistra, con l'aggeggio per i tatuaggi in mano. Aveva cambiato l'inchiostro azzurro, e stava colmando gli spazi rimasti senza colore. Jenny non si aspettava che un tatuaggio al braccio avrebbe fatto così male: non aveva fatto delle smorfie così terrificanti, quando si era fatta tatuare la rosa sulla schiena.
-Ed eccoci qui...- sussurrò Charlie, allontanandosi per vedere il risultato -ho proprio finito!-
Jennifer alzò il braccio e contemplò la sua civetta: occhi neri, traslucidi a causa del tatuaggio appena fatto, e corpo di mille colori, dal rosso all'azzurro. L'espressione della civetta era benevola, e le sue ali erano spalancate in uno spettacolo di colori.
-Sei sempre il migliore, Charlie...- sussurrò Jennifer, ancora rapita dal meraviglioso disegno. -Quanto ti devo?- chiese poi, allungando la mano per prendere la borsa. Ancora, le tremavano le mani per l'emozione.
-Te lo passo a venti dollari, se mi dai un bacio...-
Charlie si era sfilato i guanti con lentezza, ed aveva dato le spalle a Jennifer mentre pronunciava quella frase. Lei guardò in sua direzione, e lo vide girarsi lentamente verso di lei.
-Altrimenti fanno trenta...- aggiunse lui, facendo ciondolare la testa da un lato. Jenny prese alcune banconote dalla borsa, poi so avvicinò al ragazzo. Questo la stava aspettando, e appena lei fu abbastanza vicina, chiuse gli occhi in attesa del suo meritato bacio.
Lei pressò forte la bocca sulla sua, e lui poté sentire il sapore di ciliegia delle sue labbra, e gli incisivi che pressavano dietro di esse. Durò veramente poco, poi Jenny si staccò spingendogli le banconote al petto.
-Pensavo durasse di più...- commentò lui, deluso. Nel frattempo contò i soldi: gli aveva dato venti dollari per un bacio misero, la schifosa.
-Scusami, Charlie... devo incontrare un cliente, stasera, e sono già in ritardo...- Jennifer si era infilata il cappotto blu col pellicciotto, e si era diretta verso la porta.
-Non dirmi che è quel cinquantenne del sito...- le disse Charlie.
Jenny si voltò, ed aggrottò le sopracciglia in un'espressione di falso dispiacere, senza dire niente.
-Jenny, perché non vieni a fare tatuaggi con me? Vuoi finire come Sam, a fare la prostituta sotto un palo?-
Jennifer puntò un'unghia in sua direzione, e la sua faccia divenne seria, composta. Charlie capì troppo tardi di aver detto qualcosa di sbagliato...
-Io non mi prostituisco!- strillò lei. Con le sopracciglia aggrottate e le labbra strette, rimaneva comunque una bambolina -Io ballo, è diverso!-
Charlie sospirò e si calò nuovamente sul bancone: -devi per forza?- chiese, in un ultimo impeto di speranza.
-È la Suburbia, Charlie. Sono le sue regole.-
Charlie deglutì dinanzi l'ennesima invocazione alla Suburbia. Dietro di lui, la porta si era chiusa con uno sbattone. Ecco: si era bruciato anche l'ultima speranza di baciare Jennifer Runner.

Le strade erano fredde, e neanche il cappotto blu poteva riparare Jennifer dalla temperatura di settembre. Sopra la sua testa, i pali si inseguivano formando un treno di luci, alcune delle quali rotte. Gli automobilisti rallentavano per lanciare ogni tipo di complimento colorito, ma lei non rispondeva. Era strano come luogo d'incontro, quello lì, tanto che Jenny ebbe paura di avere sbagliato: alle sua spalle c'era la Rosa Nera, un fast food sporco e frequanto da schifosi, situato ai limiti della Suburbia, e davanti a lei c'era l'entrata della metropolitana, ma ancora il suo cliente non era arrivato.
Dopo mezz'ora, il freddo le stava corrodendo i polmoni. I passanti la scrutavano dall'alto in basso, mentre lei giocherellava col piercing al labbro e si arrotolava i capelli fra le dita. Molti di loro appartenevano alla Città, e lei si sentiva un pesce fuor d'acqua, vestita con pelle economica e borchie ossidate.
Una ragazza le passò davanti, con la mano stretta attorno a quella di un ragazzo. Jennifer si sentì morire: la Suburbia l'aveva ingoiata. L'aveva sfracellata con le sue regole di follia e degrado, e per lei non ci sarebbe mai potuto essere un futuro di amore e tenerezza. Lei era destinata a diventare come sua madre, o come Sam, e a questo non poteva sfuggire. Se un Dio c'era, non le restava che pregare che sua sorella Annie diventasse come la ragazza che le era appena passata davanti: felice, con un futuro reale e palpabile, e qualcuno accanto. Chiunque, purché la rendesse felice. Non aveva tempo di pensare ai pregiudizi o di lanciare insulti omofobi, non era da lei. Voleva soltanto il bene di Annie, lei il suo futuro lo aveva già venduto. Lo aveva venduto alla Suburbia.
Arrabbiata ed infreddolita, prese il cellulare e se lo portò all'orecchio. L'aggeggio squillò un paio di volte, prima che una voce rispondesse:
-...Pronto?...-
Jennifer fece una smorfia nel sentire quella voce stretta e roca, ma non si fece scoraggiare:
-Dove sei!? Dovevamo vederci un'ora fa all'uscita della Metropolitana!-
La persona all'altro capo del telefono tossì più volte, emettendo dei suoni inquietanti, e Jenny si sentì di colpo a disagio.
-Non... non verrò. Sto male...-
Altri suoni, interferenze, colpi di tosse... e la chiamata si chiuse. Jennifer guardò lo schermo, poi strabuzzò gli occhi: cosa era successo?

What lies Beneath {Ticci Toby}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora