-Corri!-
Un grido echeggiò per i vicoli della Suburbia, accompagnato dal rumore di passi e rintocchi di tacchi a spillo.
D'un tratto, Jennifer si accasciò sull'asfalto, reggendosi il petto per prendere fiato.
-Non...- ansimò -non ce la faccio più...-
Toby si sedette accanto a lei, poggiandole una mano sulla spalla. Il suo volto era stremato, con il trucco sbavato che le era gocciolato fino alle clavicole. La bocca era schiusa e le labbra secche. Si erano appostati fra alcuni palazzi, passando per i vicoli stretti. Non li avrebbero trovati facilmente, lì.
Quando Toby si abbandonò contro il muro scarabocchiato e sporco di ruggine, l'accetta che portava alla cintola stridette contro l'asfalto.
Davanti a lui, nella parete opposta, era disegnato un enorme graffito: ritraeva un uomo nero, chino a guardare i propri piedi, che teneva i pugni alzati verso l'alto. Ai polsi portava morbidamente due bracciali borchiati, e dietro di lui spiccava in rosso la scritta "Riot".
-Perché sei andata da loro?- chiese Toby, di punto in bianco.
-Perché se non l'avessi fatto ti avrebbero picchiato ancora...- bisbigliò lei, nascondendosi la testa sulle ginocchia.
Toby sospirò, e prese a giocherellare con gli occhiali.
-Te l'ho detto, no? Per te farei anche più...- ribadì lui, cercando di suonare vacuo e far morire la conversazione. In realtà, si sentiva sul punto di arrossire.
-Perché, Toby? Perché fai tutte questo per me?- continuò lei. Toby fece spallucce ed iniziò a ridacchiare:
-Perché, altrimenti... mi annoierei!- esclamò, cercando di suonare divertito mentre una serie di tic gli prendeva il braccio. Jennifer lo guardò stringendosi nelle spalle, senza dire più nulla.
-Scappa, scappa, angioletto. Sei fra le mie braccia e qui Dio non può proteggerti...- recitò Toby per rompere il silenzio, in una poesia quasi cantilenante. Jenny alzò gli occhi verso di lui e, con movimenti brevi, gli si avvicinò fino ad appoggiarsi sul suo petto.
-Ci sto. Io non mi muovo da qui.- bisbigliò. Toby la guardò compassionevole e le sorrise appena, prendendo ad accarezzarle I capelli blu svampito.
-Adesso cosa farete tu ed Annie?- le domandò Toby -Potresti essere indagata, lo sai...-
Jenny allargò lo sguardo verso il vuoto, e cacciò dentro un profondo respiro.
-Scapperò. Scapperemo entrambe. Non importa se perdiamo casa: casa è qualcosa che ti costruisci da te con le persone che ti stanno vicino. Casa è più quella cosa che si nasconde all'interno, non la fogna dove abiti...-
Le sopracciglia di Toby compirono un rapido movimento, nel captare quelle parole. "Ciò che si nasconde all'interno"? Cosa voleva dire Jenny con quella frase? Si riferiva ad una mera connotazione, affibbiando alla famiglia il significato di casa, o parlava di qualcosa di più intimo? Di più... profondo...?
-Potreste vivere con me- propose Toby, girandosi i pollici. -sempre se non vi dispiace...-
Jennifer alzò la testa in sua direzione, e puntò gli occhi nei suoi. Erano verdi, spalancati ed illuminati di una strana luce che traspariva oltre il buio della Suburbia. A guardarla bene, a Toby sembrò tanto... gratitudine.
-Toby, dici sul serio?- chiese lei. Toby si limitò ad annuire col capo.
-Io... non ho parole...- sussurrò, sbattendo le palpebre per non piangere. Toby non si seppe spiegare una tale reazione: ogni volta che faceva qualcosa di bello per lei, lei piangeva. Perché? Cosa la portava a provare una tale gratitudine nei suoi confronti? Lui aveva poco, ma quel poco che possedeva voleva dividerlo con Jennifer. Era davvero un atto così degno di nota da farla commuovere?
-Prima però dobbiamo chiedere ad Annie...- disse Jenny, ricomponendosi.
Giusto. Annie li stava ancora aspettando."Gli occhi della città", li chiamava Toby. E la Suburbia gli occhi li aveva realmente, oltre i graffiti, i murales e le cicche di sigarette sull'asfalto. Le luci, le finestre, ed i lampioni. Erano questi gli occhi della città, e quella notte sembravano rossi di pianto, come quelli di Jennifer.
"Ti sei comportata male", recitava il biglietto che avevano trovato sul tavolo.
Oltre questo, solo oggetti sparsi buttati per terra, bicchieri rovesciati sul tappeto, cocci di vaso taglienti, e poi il silenzio.
Non il silenzio buono che ogni tanto travolgeva la testa di Toby. Solo silenzio, e soprattutto: niente Annie. Dovevano averla rapita già da alcune ore.
I capelli di Jenny cadevano a cascate sulle spalle, senza rispettare un ordine preciso, mentre lei si appoggiava alla parete e si lasciava andare in un pianto disperato. Il suo petto era scosso da convulsioni e gemiti, ed il dolore era insopportabile. Si sentiva perduta, e senza più difese. Proprio adesso che la vita le aveva dato Toby, e poteva ricominciare a vivere, ecco che la Suburbia le strappava via Annie, e la lasciava sola un'altra volta.
No. Non era stata la Suburbia. Erano stati quei cani che avevano cercato di farla prostituire.
Un rabbia cieca, mista alla consapevolezza di non poter fare nulla, le spremette le viscere. E ancora lacrime, che cadevano sulla felpa di Toby mentre questo la stringeva a sé. Voleva morire. Voleva morire subito.
Ma ripensando a quella manciata di pillole che aveva tenuto sul palmo pochi giorni prima, si convinse che non poteva. Non aveva potuto allora e non poteva adesso, perché non doveva arrendersi in questo modo. Non adesso, non così.
Toby, di contro, sentiva un leggero formicolio alle tempie, ed ogni tanto un tic gli prendeva la palpebra. Quando il fastidio diventò un sussurro, e poi una voce, lui non la ignorò. Era solo una fra le decine di voci che aveva combattuto, e questa volta sentiva come se volesse dargli un'esortazione, e non consteingerlo ad agire contro volontà. A Toby bastò distogliersi appena da Jenny, per riuscire a capire la voce:
-Carcali, Toby, cercali!-
Allora, un brivido scosse la mente di Toby, e sul suo volto nacque un ghigno che Jenny non riuscì a vedere. Sentiva l'accetta che gli pendeva da un fianco, e mosse la lingua contro il palato. Quella sarebbe stata una notte di sangue.
-Jenny, sai dove hanno il loro covo?- chiese Toby, in tono neutrale, come se d'un tratto fosse diventato completamente calmo.
-No...- bisbigliò lei, distongliendosi dall'abraccio per poterlo guardare in volto. Quando i loro sguardi si incrociarono, nascosti dalla penombra, capirono che c'era una sola persona che poteva portarli al luogo dove era detenuta Annie.
Marilyn.Le palpebre di Lynn combattevano contro il sonno e la stanchezza, inumidite dal pianto e lavate dal trucco. Erano ore che aspettava fuori da quella sala di ospedale, ed ancora i medici non le permettevano di visitarla. Solo i genitori di Marilyn avevano potuto, e appena l'avevano vista lì fuori, ad aspettare con gli occhi fissi e gonfi di pianto, si erano messi a gridare. Lynn poteva fare l'abitudine ad essere definita una "brutta compagnia", ma che i genitori l'accusassero di avere drogato la figlia, non lo poteva sopportare. Così come non poteva spiegargli che Marilyn si era prostituta per mesi senza che nessuno della sua famiglia lo scoprisse mai. A dire il vero, la stessa Lindsay avrebbe pagato per non venirlo mai a sapere.
Ma avrebbe potuto evitarlo! Lei avrebbe potuto evitarlo, ed avrebbero vissuto una vita normale, insieme, ad amarsi. Se solo non si fosse comportata da egoista lasciando Marilyn alla prima complicazione, le avrebbe risparmiato la sofferenza di un'altra vita bruciata, e sarebbe andato tutto per il meglio. Era lei l'artefice di tutto ciò, e questo non poteva perdonarselo.
Un'altra serie di singhiozzi le percorse le membra, e Lynn si morse il polso con quanta forza aveva. Sentì il dolore della pelle che si sfibrava sotto i suoi denti, ma lo ignorò, sino a quando un segno violaceo non le rimase sull'avambraccio. Si sentiva un mostro.
Quasi non riuscì a crederci, quando girandosi istintivamente verso il corridoio, vide Toby che correva in sua direzione, con Jennifer al suo seguito.
Lynn spalancò gli occhi, e le mani presero a tremarle. Toby portò la faccia ad una spanna dalla sua, e le strinse le spalle.
-Marilyn è sveglia!?- domandò, col fiato corto.
-Sì è svegliata in preda a delle coliche... Ma i medici non mi hanno fatto entrare. Ho paura di come reagirà appena mi vedrà...-
Lynn sentì il salato delle lacrime bagnarle le labbra, e Toby la strinse con quanta forza aveva in corpo. Jennifer era a pochi metri di distanza da loro, e parlava con un infermiere.
-Dicono che è sveglia e possiamo entrare. Coraggio, andiamo!- riferì poi la ragazza, rivolgendosi ai due.
-Jennifer, vai solo tu. Tu la conosci, io no...- rispose Toby, allentando appena la stretta su Lynn.
Jennifer, presa dalla fretta, non osò farselo ripetere ed entrò in sala, lasciando Lynn e Toby da soli.
-Toby, ci crederesti se ti dicessi che Jenny è la mia unica amica femmina?-
Ruppe il silenzio Lynn, guardando un punto imprecisato del corridoio.
-Cosa? Eppure tu sei piena di amici, Lynn!-, ribattè lui.
Sul volto di Lynn si dipinse un sorriso malinconico, e le sue sopracciglia si aggrottarono per un secondo, prima che un'altra lacrima le scivolasse lungo il collo.
-Un tempo ne avevo tante, di amiche. Uscivamo al Daisy Dream e studiavano insieme. Andavo ancora al liceo, e mi conoscevano in tutta la scuola. Le ragazze del primo anno mi guardavano ad occhi sgranati, e segretamente mi ammiravano. Era bellissimo...-, inizò a spiegare lei.
-Poi? Cosa successe?-, la esortò Toby.
-Poi mi misi con Marilyn. Tutte le persone che mi conoscevano lo vennero a sapere, e non ricevetti mai un commento negativo, o una frase d'odio. Tutti erano d'accordo con la mia sessualità, e non aprivano bocca. Credevo di essere accettata, ma non era così... le persone non dicono mai quello che pensano in faccia, e mano a mano venni allontanata, tagliata fuori dal mio gruppo di amiche, perché tutte credevano che io volessi provarci con loro, o che le seguissi per avere rapporti. Presto, mi ritrovai sola, perché tutti si erano fatte di me l'idea di un mostro, qualcuno di pericoloso. Ma Jennifer no: lei era la ragazzina del primo anno che mi ha sempre portato rispetto, e che mi ha sempre appoggiata. Io non ho mai desiderato che lei prendesse il posto di Marilyn, nemmeno quando l'accompagnavo per negozi e la vedevo nuda in camerino. Io posso avere un'amica donna senza desiderarla sessualmente, e in un intero istituto, Jennifer è l'unica persona che l'abbia mai capito.-
C'era una specie di vaga felicità nella malinconia di Lynn, e ancora prima che Toby potesse mettere insieme il racconto, capì il messaggio: lui era fortunato ad avere Jennifer accanto, ed era suo compito proteggerla. Toby non sapeva se Dio esistesse o no, ma da quando aveva conosciuto Jennifer, lui credeva nei miracoli.
-Va' da Marilyn.- sentenziò di punto in bianco. Il volto di Lynn cambio espressione, e lei replicò:
-Toby, tu non hai idea di come io abbia rovinato la vita di quella ragazza...-
-Non mi importa.- replicò lui. -Tu adesso entrerai lì in quella sala, e farai la sua conoscenza per la seconda volta.-
Il petto di Lynn si era alzato per dire qualcosa, ma proprio in quel momento uscì dalla sala Jennifer, con lo sguardo serio, dicendo:
-So l'indirizzo, andiamo.-Fu solo dopo che Toby e Jenny se ne furono andati, che Lynn avanzò un passo verso la porta verde che la separava da Marilyn, lottando contro la coscienza che la diceva di non entrare. In quel momento, seguire il cuore era molto più importante.
Lei se ne stava lì: i capelli sparpagliati sul cuscino, e le labbra secche schiuse nel tentativo di respirare. Appena sentì la porta richiudersi, chiese con voce strozzata:
-Chi è...?-
Lynn deglutì, e strinse i pugni. Il morso le faceva ancora male, ma adesso era il momento di riscattarsi per tutto il suo male. Era il momento di incontrare Marilyn un'ultima volta.
-Il mio nome è Lindsay, ma tu puoi chiamarmi Lynn.-
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What lies Beneath {Ticci Toby}
ФанфикToby non ha mai avuto un assaggio di vita vera. Non ha mai frequentato nessuno al di fuori della sua famiglia, e non conosce quella belva famelica della società. Che può saperne lui di quella classe fredda e povera, che si vende per guadagnare l'omb...