5. Let it burn

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Il completo da cameriera venne scaraventato furiosamente all'altro capo della stanza, accompagnato da un urlo di angoscia.
"Va' ai corvi, Jennifer".
Si era spogliata in fretta e furia, e si stava slacciando le scarpe. Dentro di lei, le parole di Toby scavavano la propria via lungo le sue vene. Ebbe appena il tempo di avvertire il bruciore dietro il naso, che le lacrime iniziarono a scorrerle copiose lungo le guance.
Così tanti volti... Lei aveva così tanti volti, che non ricordava più il suo. Questo era vero?
Delle volte le era capitato di sentire parlare sua madre, quando lei era viva. C'era una frase che era un must per gente del suo rango: "posso essere qualsiasi cosa tu vuoi che io sia". Era così? Si perdeva se stessi, la propria identità, quando si diventava oggetti pubblici, alla mercé di chiunque? Si perdeva l'appartenenza a se stessi, come corpi che rigettano l'anima? L'amore diventava una recita senza valore, da ripetere notte dopo notte? Sua madre l'avrebbe protetta, se fosse sopravvissuta?
Che cosa stava diventando?
Una serie di rantoli uscì dalla bocca di Jennifer, mentre lacrime, muco e saliva le scorrevano sulle mani, premute sulla faccia per nascondere gli occhi. Non era la prima crisi di pianto che aveva, e non era perchè uno sconosciuto l'aveva insultata. Era perché le aveva detto la verità: lei non era nessuno.
-Voglio morire...- bisbigliò, fra i singhiozzi. Presto, il semplice pianto divenne un grido disperato.
La porta della sua stanza si aprì cigolando, ed Annie si arrampicò sul suo letto, prendendo il volto di Jennifer fra le mani. Aveva ancora le dita tonde e paffute di una bambina, ed i capelli biondi le cascavano in faccia, tagliati in un morbido caschetto.
-Voglio morire!!- gridò Jennifer, dimenandosi per evitare gli occhi azzurri della sorella.
-Jenny, Jenny adesso basta...- cercò di tranquilizzarla Annie. Con un sforzo immane, lei riuscì a tenerla ferma e a farle poggiare la testa sul suo petto.
-Voglio morire... voglio morire...- ripeteva Jennifer, in un delirio quasi febbrile. Aveva paura. Paura di quello che stava diventando, e di quello che sarebbe successo. Che cosa avrebbe fatto, quando non sarebbe più appartenuta a se stessa? Quando sarebbe diventata merce di tutti? C'era una via d'uscita a quello che stava diventando?

Toby si mise lentamente a sedere, spingendosi con i gomiti ai braccioli della poltrona. Dopo il settimo shot di tequila, sentiva di dover vomitare, ma la sua scarsa capacità di assimilare l'alcol gli impediva di ragionare a mente lucida. Cadde in avanti, sui palmi delle mani, strisciando verso il bagno. Rantolava, imprecava arrabbiato, scivolando verso il contorno indistinto della porta del bagno. Sentiva il sapore secco, simile a tabacco, che lasciava la tequila. Come se non bastasse, ogni volta che beveva i tic aumentavano ed il cuore prendeva a battergli all'impazzata. Si sentiva troppo male, era come soffocare. Continuando così, avrebbe avuto una crisi, e poi sarebbe scivolato di nuovo nella depressione, nell'ansia, ed avrebbe rischiato di lasciarsi morire. Era questo quello che era successo, dopo aver dato fuoco alla sua vecchia vita. Erano state le voci a dirgli di tenere duro, di salvarsi, di combattere, di uccidere... loro avevano il pieno controllo.
Toby si alzò fino a raggiungere il lavandino, e guardò la propria immagine: un ragazzo dai capelli castani e gli occhi scuri lo fissava, mantenendo un sorriso sadico, così ampio da tagliargli le guance. Toby si portò una mano sul volto, ma la sua immagine riflessa non fece altrettanto. Invece, cominciò ad aggrapparsi ai bordi dello specchio e, lentamente, cominciò ad uscire.
Il cuore di Toby era sul punto di esplodere: non era più possibile contarne i battiti, ed io suo respiro si era fatto convulso. Guardando lo specchio, vide che il suo riflesso aveva indossato maschera ed occhiali, e stava brandedo due accette. Toby, disperato, barcollò sino all'ingresso dal bagno, nel tentativo di scappare, ma un calore pungente lo fermò: tutto, attorno a lui, stava andando a fuoco.
Al centro dell'incendio, spiccava una figura. Aveva i vestiti avvolti dalle fiamme, ed il volto coperto da degli occhiali da saldatore e una maschera blu. Toby sentì di aver perso la ragione, quando vide sé stesso andare a fuoco: i suoi capelli non c'erano più, il volto era nero, e da sotto gli occhiali le orbite erano vuote. La pelle, lì dove era possibile osservarla, lasciava intravedere le ossa, e la vittima era scossa da potenti spasmi. Cercava di scappare, ma non poteva. Vincendo l'orrore, Toby aguzzò lo sguardo e vide che il suo riflesso aveva un cappio attorno al collo, che a differenza del resto non bruciava.
Di colpo, qualcuno gli toccò una spalla, e Toby si girò automaticamente. Ciò che si ritrovò davanti non era altri che il suo cadavere, con la pelle che gli colava dalla faccia, le labbra ridotte a brandelli, e con le orbite vuote che lo fissavano con... odio.
Toby urlò. Urlò col fiato che gli era rimasto, e si svegliò sul pavimento accanto alla poltrona, disteso su un fianco in posizione fetale.
In testa, poteva sentire un concerto di sibili e sussurri. Ma lui non voleva ascoltarli, non voleva dargli retta.
-Toby!-
Dai meandri della sua mente, le voci lo chiamavano, e gli stavano parlando...
-Toby, uccidi te stesso, Toby!- gridavano, sovrapponendosi l'una all'altra.
-Prendi l'accetta, prendi l'accetta e reagisci!-
-Fallo, Toby. O tuo padre crederà che sei un codardo...-
Toby si stava stringendo le tempie con le mani, emettendo rantoli interrotti, singhiozzando senza piangere. Non voleva, lui non voleva... non voleva perdere il controllo. Lui non voleva morire, non voleva uccidere, non voleva essere pazzo...
Lui voleva vivere. Voleva vivere con Lyra e la mamma, non voleva rimanere solo...
-Io voglio vivere...- sussurrò, dando accesso alle lacrime. Queste corsero lungo il suo volto fino ad infrangersi sul pavimento, e per un secondo le voci sembrarono tacere, soltanto per tornare più fameliche:
-Tu sei solo, Toby. Perché continui a vivere? Non sei nessuno...-
-Ma ti sei visto, come sei ridicolo? Ammazzati!-
-Non hai niente da perdere, perché non prendi l'accetta?-
Toby ricominciò ad urlare, dimenandosi sul pavimento e scalciando in preda ai tic. Eccola, un'altra crisi...
Cercò di pensare a qualcosa di felice, ma ogni volta che vagava fra i ricordi della sua infanzia, il cadavere di sua sorella gli tornava in mente, e lui si sentiva soffocare. Annaspava, e quella poca aria che raccoglieva la buttava fuori gridando. Non avrebbe visto l'alba, lo sapeva già. Si sarebbe ucciso prima, come volevano le voci. Loro vincevano sempre...
-Aiuto...- gemette, in preda alla disperazione.
-Io voglio vivere!!- gridò ancora, portandosi le mani agli occhi. In quel preciso istante, due persone chiamarono il suo nome in contemporanea, e Toby riconobbe le voci di sua sorella e di sua madre. Spalancò gli occhi, e si accorse di stare bene. Tutta quella lotta era nella sua testa... ma lui era riuscito a vincerla. Aveva scacciato le voci, ed aveva vinto su di loro. La crisi era finita, ed era la prima volta che vinceva lui.
-Sono vivo...- quasi non riusciva a crederci: quando le voci decidevano qualcosa, era legge, ma lui era sopravvissuto, aveva vinto! La sua ansia ed il suo terrore si erano trasformati in una calda gioia, e lì dove le lacrime gli avevano attraversato il volto, si aprì un sorriso. Era tutto finito...
Passarono alcuni minuti prima che Toby potesse essere di nuovo in grado di alzarsi, e la prima cosa che fece fu chiudere la tequila e buttarla nel cassonetto. Non avrebbe rischiato di nuovo di uccidersi per via di una sbronza, non ne valeva la pena...
Quando si fu messo comodo sotto le coperte, diede un ultimo sguardo al cellulare per attivare la musica. Fu soltanto grazie alle note di Hatefuck, che riuscì a prendere sonno.

What lies Beneath {Ticci Toby}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora