Capitolo 42 - Happened that night (part 2)

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  Se fosse giunto il giorno, Draco non se ne sarebbe accorto: la luce se l'era portata via lei. Meno di un mese prima, se qualcuno – Blaise sarebbe stato un candidato ideale – gli avesse detto che un giorno se ne sarebbe stato chiuso in cima alla torre più oscura di Hogwarts, prigioniero, a ripensare al bacio che aveva – spontaneamente – dato a Hermione Granger, sicuramente si sarebbe fatto una grande risata. Di ridere, tuttavia, non ne aveva davvero la forza. Si sentiva completamente svuotato, come se, andandosene, la Granger si fosse portata dietro la sua anima. Non gli aveva dato nemmeno avuto il tempo di sorprendersi della scoperta di possederne una. Così com'era arrivata - cadendo dal cielo - , così se n'era andata – il cielo l'aveva reclamata. Scosse la testa: cominciava a delirare. La prigionia stava avendo brutti effetti sulla sua mente e sulla razionalità: continuava a sentire il profumo di lei, - nemesi, rivale, proibita, come definirla? – dei suoi capelli, della pelle di luna contro il cuscino e sulle lenzuola. Mandorle, vaniglia, neve. Candore. Profanazione. Cambiare totalmente la sua immagine della Granger, scoprendo ciò che stava facendo per Teddy nonostante tutto, nonostante lui, scoprendone l'essenza e il cuore privo di malvagità e, addirittura, arrivare a desiderarla fisicamente, era troppo per poterlo affrontare tutto insieme. Avrebbe dovuto andarci coi piedi di piombo, anzi, meglio: legare due belle palle di piombo ai piedi e ai polsi, in modo da impedire alle sue mani di toccarla. Alle sue labbra di assaggiarla. Al suo sangue di smettere di provare ribrezzo. - Salazar!- scattò in piedi, respirando dal naso profondamente. Attraversò la cella in tre lunghe falcate, facendo avanti e indietro. Si sentiva braccato, prigioniero, come un animale in trappola. Non aveva nulla con cui allietare la separazione da lei e, peggio ancora, ero lo scoprire di doverlo fare: prima avrebbe dato centinaia di galeoni per non ritrovarsi la Granger di fronte, adesso ne bramava la presenza, come un lupo affamato. La immaginava, senza bisogno di concentrarsi, poiché aveva ogni dettaglio del suo viso e impresso nella mente: se la vedeva, crucciata, pensierosa, confusa. Disgustata? Non aveva il coraggio di porsi certe domande. Chiedersi se lei stesse rinnegando quel bacio, provando ribrezzo per ciò che era accaduto tra loro, era il pensiero più angosciante che avesse mai avuto. Eppure, nemmeno lui era certo di esserne felice o, almeno, di non esserne pentito. Come poteva, allora, pretendere che lei non lo fosse? Stava impazzendo. Un semplice bacio a quella dannatissima strega e già il suo cervello era andato a farsi benedire. Possibile che la Granger avesse qualche effetto annebbiante su di lui? Una sorta di droga, una droga affascinante, attraente, pericolosa. Perché, sebbene, in quel momento, Draco non fosse sicuro neanche di come si chiamasse, una cosa era più che ovvia: quando e se l'avrebbe rivista, l'avrebbe baciata ancora. Fosse stato anche mentre testimoniava contro di lui per mandarlo ad Azkaban. Quella verità lo colpì violento, come violento era stato lo strappo che l'aveva per sempre separato dai suoi primi diciotto anni, diciotto anni di bugie e menzogne e convinzioni sbagliate. Si sorprese, allora, a scoprire di detestare ancora profondamente Potter e Weasley. Che motivazione vi era, ora? Ora che non li disprezzava più perché passavano il loro tempo ad adorare una sangue sporco? Oh, certo, ovvio: eroi, salvatori, i buoni. Poteva senza dubbio andare come scusa: che l'odio per quei due nascesse dal loro ego e dal tronfio. Perché trovava tanto difficile essere sincero perfino con se stesso? Non che ci fosse abituato, alla sincerità, eppure d'un tratto gli diveniva indispensabile essere limpido, trasparente. Odiava profondamente Potter e Weasley per il posto che si erano conquistato nel cuore e nella vita della Granger. Poiché lui era niente e loro erano tutto. Perché lei avrebbe sempre scelto loro. E, allora, Draco dovette chiedersi, anche, se lui avrebbe mai avuto la forza di chiederle di scegliere. No, non la forza, Il coraggio. Tornò alla brandina, sedendosi con un tonfo. Avrebbe dato chissà cosa per poter parlare con qualcuno. Daphne, magari. Perfino Blaise, sì. Si sarebbe accontentato perfino di Blaise. Si portò l'indice e il pollice della mano destra agli angoli degli occhi. Cosa gli prendeva? Possibile che gli piacesse la Granger? Non era convincente. Sapeva bene che lei gli piaceva. Il problema era un altro, di tipo pratico: poteva anche non essere mortificante, umiliante, contro natura, ammettere che lei gli piacesse, fisicamente. Era bella, no? Non bellissima, certo, all'apparenza. Niente curve mozzafiato o gambe chilometriche, niente occhioni blu e lunghi e setosi capelli d'oro. Eppure la trovava bellissima. Così, senza trucco e coi capelli perennemente arruffati, quel tic nervoso alle labbra e il cipiglio severo e preoccupato sempre sul volto. Il collo da cigno, le piccole spalle, il seno timido. Scosse la testa, perché sentiva caldo. Doveva concentrarsi. Fisicamente aveva una scusa: l'obbiettiva bellezza della Granger. Poteva, quindi, affermare che l'aveva baciata in un impeto di attrazione fisica e forse ne sarebbe uscito con la dignità intatta. Ma, come avrebbe fatto a fare i conti con se stesso? A lui non piaceva la Granger per il visetto di pesca. Gli piaceva lei. Salazar. L'aveva sempre detestata, per quel carattere saccente, testardo, impertinente. Adesso la ammirava per la tenacia, l'intelligenza, lo spirito ribelle. Forse, a conti fatti, essere chiuso in una torre non era male: almeno non avrebbe dovuto affrontarla e, a quel modo, affrontare ciò che sentiva lui stesso.



Era suonata l'ora di cena e gli Auror avevano accompagnato in Sala Grande gli studenti delle case assegnategli. Hermione si accorse dell'assenza della McGranitt al tavolo degli insegnanti e il panico prese possesso di lei. La sua mente prese a lavorare frenetica, fornendole due sole spiegazioni – una peggiore dell'altra – a quell'assenza: Ginny era peggiorata, Teddy era peggiorato. Prese a battere ritmicamente un piede sotto il tavolo, incapace di frenare l'agitazione. Non aveva la forza di frenare il terrore, quella volta, di impedire alla diga che aveva intrappolato le sue emozioni fino a quel momento di cedere. La paura, l'angoscia, il dolore, la confusione, la rabbia, stavano agitandosi dentro di lei, schiantandosi contro il muro di freddezza e razionale lucidità che aveva issato. Crepe, crepe ovunque. Nel petto, nella testa. La sua vita stava letteralmente andando a briglia sciolta, priva di controllo. Non aveva più potere sui sentimenti, sulle azioni, sui pensieri. Continuava a saltare dall'immagine di Ginny fredda e cerea in un letto d'ospedale, al piccolo Teddy sedato e pieno di tubicini, a Malfoy e ai suoi occhi a poche spanne dal suo viso. Oh, Godric. La testa prese a girarle e dovette tenersi al tavolo. Le voci la infastidivano, creando un brusio di sottofondo che si accavallava alle sue grida mentali: fermate tutto!, diceva. Eppure nessuno pareva udirla. Aveva la nausea. Come poteva, il suo mondo, essere cambiato, finendo sottosopra, nel giro di un mese?! Come poteva affrontare ciò che era successo nella torre, con Malfoy, se Ginny non migliorava e non sapeva nulla delle condizioni di Teddy? Che persona egoista sente affiorare sentimenti contrastanti per chi è accusato di aver ferito la propria migliore amica, sorella? Cosa c'era di malato, sbagliato, in lei, se credeva completamente nell'innocenza di Malfoy? Stava impazzendo. E se lui la stesse manipolando? Se l'avesse baciata perché certo di gettarla in confusione, magari con l'intento di invaghirla di se e, in questo modo, avere il suo aiuto? Mentre, alzando gli occhi, osservava Pansy Parkinson passarle davanti per andare al tavolo delle Serpi, si morse la lingua tanto forte da sentire gli occhi pizzicare di lacrime: doveva smetterla. Stava pensando come una Serpeverde. Lei non era una persona cattiva, da dove nascevano certi pensieri? E allora perché lui l'aveva baciata? I ricordi si susseguivano come fotografie nella sua mente, respiri, profumi, battiti del cuore. Perché si era lasciata baciare? Perché l'aveva baciato a sua volta? Si ritrovò a dover rispondere ad un preoccupato Harry che le chiedeva se si sentisse bene. Benissimo, certo, non doveva essere sciocco. No, stava sbagliando, quello avrebbe dovuto dirlo a Ronald, che insisteva affinché si facesse controllare in infermeria. Stava perdendo il controllo. In parole semplici, di conseguenza, stava accadendo ciò contro cui aveva lottato per tutta la vita. Hermione detestava perdere il controllo. Aveva il bisogno fisico di tenere sempre in pugno ogni cosa: situazioni, pensieri, sentimenti. E il fatto di non essere più padrona di questi, la scoperta che la mente e il cuore potessero anche non camminare di pari passo, la gettava nell'angoscia più totale. Doveva cercare di rimettere ordine, di analizzare ciò che era successo. Possibile che lui le piacesse? Possibile che fosse tanto superficiale e sciocca da pensare a cose simile in un momento e contesto del genere? Una morsa le contrasse il ventre al ricordo del suo tocco sul seno. Arrossì violenta. Non poteva essere, non poteva, nondoveva. Eccolo il nocciolo della paura: non doveva essere successo. Come poteva essersi lasciata andare a quel modo, con lui? Perché credeva alla sua innocenza? Come avrebbe fatto a dirlo ad Harry e Ron? Piuttosto si sarebbe chiusa in quella cella con lui. Comprendendo ciò che aveva pensato, si ritrovò accaldata e piena di vergogna. Stava seriamente rischiando di implodere. Avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi alzare e lanciare un urlo tale da far tremare le immense vetrate della Sala. Non poteva. Non le era concesso crollare. Doveva rimettere tutto a posto. Al più presto. Così, almeno, avrebbe potuto fingere che ciò che era accaduto non fosse stato e, di conseguenza, dimenticarlo o, almeno, provarci.


La necessità di parlare era lo scopo di entrambe, quella sera. Hermione e Daphne, senza saperlo, si ritrovavano a giocherellare pensose con il cibo nel piatto, con la mente attiva alla veloce ricerca di una soluzione a quel problema. Come fare a parlare, lontane da orecchie indiscrete, senza venire beccate dagli Auror? Sollevarono contemporaneamente lo sguardo l'una sull'altra e si fissarono a lungo. A quel punto Daphne le fece un cenno leggerissimo e quasi impercettibile col capo; Hermione, attenta osservatrice, lo colse immediatamente e ricambiò in modo altrettanto velato. Attendere la fine della cena, in modo che gruppetti di studenti si distribuisse in modo caotico per la Sala, fu frustante, quella sera. Quando, finalmente, il chiasso divenne prepotente, Hermione e Daphne schizzarono una nella direzione dell'altra, incontrandosi praticamente a metà strada. – Devo parlarti. – dissero, in coro. Si sorrisero appena, troppo agitate e timorose che qualcuno potesse origliare quella conversazione per pensare al fatto di essersi rivolte la parola dopo così tanto tempo. – Non qui.- aggiunse Daphne, lanciandosi un'occhiata intorno: gli Auror le guardavano, curiosi, così come una manciata di studenti intorno a loro. – Pensi di riuscire a raggiungermi da qualche parte, più tardi?- le chiese. Hermione ci pensò: poteva usare il mantello di Harry, anche se sapeva che sarebbe stato rischioso uscire nella scuola con gli Auror a sorvegliare ogni luogo. – Credo di sì. Dove e quando?-
- La torre d'astronomia, a mezzanotte?-
- Va bene. Ci sarò.- promise Hermione. Si scambiarono una lunga occhiata. – Malfoy è innocente.- sussurrò, infine, Hermione.La Serpeverde la guardò in silenzio per un momento, poi annuì, solenne. – Lo so. Lo abbiamo sempre saputo.- ammise.
- Io, noi, - si corresse in fretta l'altra. – non potevamo saperlo.- aggiunse. Daphne sorrise, scuotendo la testa. – So anche questo.-
- Pensavo non t'importasse di quello che è successo a Ginny per come ti comportavi, per questo io...-
- Hermione. – la interruppe la Serpeverde. – Io sono quella che sono. Non rinnegherò la Casa da cui vengo e i principi che ne sono la base per la nostra amicizia.- disse, sincera. – Non posso essere come Ginny e te, tanto candida e trasparente, fiduciosa. Io sono nata per il calcolo, la manipolazione, l'ingegno. Questo, però, mi ha permesso di notare qualcosa, di comprendere qualcosa che a te, proprio per questo motivo, è sfuggito. – aggiunse. Hermione, confusa, annuì. – Non voglio che rinneghi ciò che sei. Voglio che ciò che siamo non sia ciò che distrugge la nostra amicizia.- le spiegò. Daphne fece un gesto con la mano come a liquidare quelle parole.
- Siamo abbastanza intelligenti per sapere quali sono i limiti che una non deve chiedere all'altra di superare. Basta imparare a conoscerci.- fece, alzando le spalle sottili. – E, comunque, m'importa di Ginny e di quello che è successo. – aggiunse, sincera.
- Grazie.- sorrise Hermione, più leggera.
- Saremo una bella squadra, sai?- mormorò Daphne, pensosa, mentre Harry si avvicinava a loro, seguito da Ron.
- Una grande squadra.- ammise l'altra. – E' meglio che vada, non voglio che Harry si metta a discutere con Nott e Zabini.- disse, poi, dato che i Serpeverde stavano osservando le due ragazze da lontano. Daphne annuì. – A dopo, allora.- la salutò, allontanandosi nella direzione opposta.
- Oh, Hermione?-
- Si?-
- Fa' attenzione.-
- Anche tu.-
- Di cosa parlavate? A cosa devi fare attenzione?- la investì Harry, non appena l'ebbe raggiunto. Sospirò: meglio optare per una mezza verità piuttosto che per una totale menzogna. – Harry, stasera ho bisogno che mi presti il mantello.- gli disse.Harry la guardò sollevando in modo preoccupante le sopracciglia. – Perché?- chiese, in un soffio.
- Devo incontrare Daphne.- ammise Hermione.
- Cosa? Sei impazzita? Non puoi andartene in giro per la scuola ad incontrare Serpeverde quando uno di loro potrebbe aver ridotto in quello stato Ginny!- esclamò Ron, comparso dal nulla, a voce alta. Hermione lo zittì con una gomitata.
- Daphne ha un sospetto, non abbiamo potuto parlarne qui, troppe orecchie indiscrete. Devo incontrarla. E comunque, Ron, pensavo avessimo affrontato la questione di "è colpa dei Serpeverde" poco fa, in Sala Comune!- disse, irritata.
- Questo non significa che siano innocenti, Hermione.- intervenne Harry. – Veniamo con te.- decretò.
- No.- rispose lei, decisa.
- Non costringermi ad essere prepotente, Hermione.- la implorò il ragazzo dagli occhi verdi.
- No, Harry, non potete. Daphne si fida di me.-
- Rimarremo sotto il mantello.- propose Ron.
- No.-. Non potevano andarci, perché non sapevano nulla dell'accusa a Malfoy e, se l'avessero scoperto, immediatamente si sarebbero convinti che era stato lui. Doveva andarci da sola, per poter dire a Daphne ciò che Malfoy le aveva detto, di conseguenza, se fossero stati presenti anche loro, avrebbero scoperto la sua gita notturna e sarebbero stati dolori.
- Allora non ti presterò il mantello.- affermò Harry, con una luce di sfida e dispiacere negli occhi. Hermione spalancò le labbra, allibita.
- Bene!- esclamò, poi, girandogli le spalle e allontanandosi da entrambi.
- Sembra infuriata.- commentò Ron. Harry sospirò. – Già. Lo è.- confermò.

La mia rivale bellissimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora