Capitolo 54 - The yield

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  Hermione si ridestò precisamente a un'ora di distanza dal prelievo; si sentiva stordita e le doleva terribilmente il capo. Impiegò qualche istante a fare mente locale e focalizzare le tende bianche che circondavano il lettino sul quale era stesa. Pian piano i ricordi riaffiorarono: il volo con Malfoy, il bacio, il prelievo, un altro bacio, il buio.
Ancora distesa nella stessa posizione di qualche minuto prima, fece vagare lo sguardo sul pavimento e, poi, notò il tubicino infilato nel braccio destro; per un istante, quel senso di pace e tranquillità che il lavaggio, purificandola e ridandole energie, le stava regalando, la convinse che, quei due mesi appena trascorsi, fossero stati soltanto un sogno. Doveva trovarsi al San Mungo assieme alla McGranitt, decise, probabilmente c'era anche Madama Chips; vi si era recata per la solita donazione a Teddy e si domandò, perfino, come fosse riuscita a convincere le due donne a portarla con loro.
Quando, lentamente, un brusio di voci provenienti dal corridoio la scosse dallo stato di semi-incoscienza cui desiderava abbandonarsi, spalancò gli occhi e tentò di tirarsi a sedere.
La coperta, che qualcuno le aveva posato addosso, le scivolò sulle gambe e si ritrovò in preda ad un forte capogiro.
- Granger, stai buona, quel tizio dice che hai bisogno di riposo.- ordinò una voce nervosa e, al contempo, preoccupata. La sua voce, quella voce, che aveva imparato a riconoscere in mezzo a mille.
Malfoy.
Lo cercò con lo sguardo, certa che Cole avesse ormai denunciato la loro fuga alla McGranitt e che fossero stati espulsi; altro che isolamento o chiusura della scuola, non avrebbe mai sostenuto i M.A.G.O.! "Priorità, Hermione, priorità" le aveva detto una volta Harry, quando, in fuga dai Mangiamorte, appena giunti al matrimonio di Bill e Fleur, si era rammaricata di non aver potuto mostrare al ragazzo la sua torta di compleanno.
Incontrò i suoi occhi, divenuti di un azzurro tanto scuro e torbido che Hermione quasi temette si sentisse poco bene e lo osservò: sedeva accanto a lei, piegato in avanti, i gomiti a posarsi sulle ginocchia. Alcune ciocche bionde gli ricadevano scomposte sul capo, come se si fosse passato nervosamente le mani tra i capelli più di una volta. Le ricordò vagamente la chioma indomabile di Harry e quella calma irreale si ruppe.
Harry.
A fatica sollevò lo sguardo sull'orologio a muro e, assottigliando gli occhi, riuscì a mettere a fuoco i numeri: mezzogiorno era passato da un pezzo.
Oh no, il panico cominciò a farsi strada dentro di lei. Non aveva previsto di restare tanto al San Mungo! Nei suoi piani, sarebbe dovuta ritornare prima di Harry e Ron, così da non destare in loro alcun sospetto sulla sua visita all'ospedale; altrimenti, lo sapeva, non sarebbe più riuscita a mantenere il segreto riguardante le condizioni di Teddy. Si sentiva già terribilmente in colpa per aver taciuto così tante cose ai propri migliori amici – l'accusa a Malfoy di essere il colpevole dell'attacco a Ginny, il volo fino alla sua cella, il furto del mantello, il bacio - .
E pensare che Ron desiderava tanto poter vedere Ginny e lei lo aveva convinto a desistere poiché poteva essere pericoloso raggiungere il San Mungo di nascosto, con la Minaccia a gravare su tutti loro.
Ron.
Oramai dovevano essere già tornati alla Stanza della Necessità e aver scoperto che lei non c'era. Che cosa avrebbe raccontato loro? Come avrebbe giustificato quell'ennesima menzogna, quella mancanza di fiducia nei loro confronti? Di certo, la presenza di Malfoy non avrebbe agevolato le cose. Comprese, allora, quanto avesse sbagliato, fin dall'inizio, a nascondere loro ogni cosa, poiché, una piccola e innocente bugia si era tramutata in un castello di menzogne e, quando la prima di queste fosse stata scoperta, l'intera struttura avrebbe ceduto.
Un'ondata di nausea la travolse: aveva mentito e ingannato, proprio come una Serpe.
Se era mai esistita una sola speranza che Harry e Ron accettassero il fatto che la loro migliore amica provasse qualcosa per un Serpeverde – no, non per un Serpeverde qualunque, per Malfoy – questa si era frantumata la prima volta che li aveva guardati negli occhi e dalle proprie labbra erano uscite parole non vere.
- Granger.- il suo tono aveva un che d'interrogativo, sebbene lei fosse perfettamente consapevole che lui non le avrebbe mai posto alcuna domanda; il suo orgoglio glielo impediva.
Lo guardò, per una volta priva di scudi o difese da ergere, poiché rassegnata all'idea che la disfatta fosse imminente; Malfoy era bello. Il modo in cui le sopracciglia chiare contrastavano con la tonalità bruna delle ciglia, regalando al suo sguardo di ghiaccio un che di animalesco, selvaggio, la curva delle labbra, decisa e perennemente contratta in una smorfia, che si stagliava sul viso dai lineamenti marcati eppure armoniosi, il biondo dei capelli, più chiaro dell'oro o del grano, ma ugualmente luminoso, tutto di lui la attraeva.
Tuttavia, ciò che maggiormente la spaventava erano le reazioni emotive che lui le suscitava.
Quando Malfoy era nei paraggi, il suo cuore cominciava a non pompare correttamente il sangue al cervello che, ovviamente, si ritrovava a corto di ossigeno e, di conseguenza, faticava a elaborare anche il più elementare dei pensieri. Lui la stordiva, irritava, infastidiva, divertiva, stimolava, come mai le era capitato con nessuno. Litigare con lui, arrabbiarsi, desiderare terribilmente di schiantarlo, erano tutti sentimenti che aveva già provato, eppure divenivano nuovi e avevano un sapore sconosciuto. Malfoy l'aveva costretta a mettere in discussione i propri ideali e le proprie convinzioni, ad ammettere che nessuno è perfetto, che non sempre la verità si trova tutta da una parte, che il Mondo non è bianco o nero, che i sentimenti non sono imbrigliabili. Che non si sceglie di chi innamorarsi.
Che anche gli Angeli, capita, a volte, si sporcano. [1]
- Malfoy.- mormorò, senza distogliere lo sguardo da quello di lui. Era stanca di rinnegare ciò che sentiva, perché ci aveva provato e aveva fallito su tutta la linea. Lei non avrebbe mai imposto a Harry e Ron di non amare qualcuno, né per questo li avrebbe mai abbandonati o avrebbe rinnegato la loro amicizia. In quel momento, in cui si sentiva fragile ed esposta come mai le era capitato prima, aveva bisogno del loro sostegno e aiuto, per riuscire ad attribuire un nome a ciò che le martoriava il petto al solo pensiero di Draco Malfoy. Lo avrebbero capito, dovevano capire.
- Come ti senti?- aveva riflettuto molto, su quella domanda, date le rughe di concentrazione che si erano disegnate sulla sua fronte. Malfoy si raddrizzò, sollevando una mano tra i capelli quasi senza rendersene conto; Hermione, attenta, comprese fosse un gesto che lo aiutava a domare il disagio. Che Draco Malfoy potesse sentirsi a disagio, poi, la divertiva al punto che quasi scoppiò a ridere e si trattenne solo per timore che Cole la ricoverasse nel reparto psichiatrico. Insomma, aveva infranto un centinaio di regole e rischiato la vita, stava per andare ad affrontare una minaccia cui sarebbe potuta non sopravvivere e... scoppiava a ridere: Hermione Jean Granger non l'avrebbe mai fatto.
Eppure sentiva il peso di quei due mesi più leggero sulle spalle.
- Granger, cominci a darmi sui nervi.- sbottò Malfoy, alzatosi e piazzatosi di fronte a lei.
Ritrovandoselo così vicino, Hermione si agitò vergognosamente e dovette fare appello a tutta la sua dignità per non cadere all'indietro dal lettino; il ricordo di quel bacio, rubatole proprio di fronte a Cole, le bruciava ancora nel petto. Perché l'aveva baciata, quando, poco prima, si era comportato in modo tanto gelido con lei?
La parte più vanitosa di sé le suggerì che potesse c'entrare la presenza di Cole e che, forse, Malfoy fosse geloso di lui. Incredibilmente, la cosa l'entusiasmò fin troppo, invece di darle il fastidio che sarebbe stato adeguato. Eppure, dopo quella pungente sensazione allo stomaco, provata in presenza della Frawely, era ben soddisfatta che lui sentisse la stessa cosa.
- Granger.- secco e gelido, quasi rabbioso. Diamine, non poteva concederle qualche minuto?
Stava scendendo a patti con se stessa, facendo i conti con la propria coscienza e preparandosi a ciò che l'aspettava di lì a poco tempo! Assottigliò lo sguardo, guardandolo malissimo.
Lui, in tutta risposta, sorrise.
Un sorriso che l'abbagliò; era la prima volta che lo guardava così da vicino, alla luce, senza ombre a celarne i lineamenti angelici, libero di sorridere con tanta naturalezza, desideroso di sorridere a lei.
Le braccia del Serpeverde l'avvolsero, forti e decise, stringendola tanto da spezzarle il respiro, quasi fossero stati separati per un secolo; lo sentì respirarle tra i capelli, avvertì le sue labbra contro la tempia. Col cuore ormai fuori controllo, Hermione si ritrovò a ricambiare quell'abbraccio, aggrappandosi a lui, alle sue spalle, robuste abbastanza da sostenere anche lei, a quella forza d'animo che gli aveva permesso di vivere sette anni all'ombra di un cognome portatore d'ingiustizie e aspettative assurde per un bambino, prima e per un giovane uomo, poi.
In quel momento, fu come se ogni pezzo della sua vita che, durante quei due mesi, aveva ceduto rovinosamente, sparpagliandosi in un caos allucinante, tornasse al proprio posto.
In quel momento, immersa nella sicurezza di un profumo familiare, di un profumo un tempo nemico e ora bramato, Hermione comprese perché provasse qualcosa per Draco Malfoy.
Perché lo aveva conosciuto, lontano dall'ombra di una Casa e della sua fama e ne aveva scoperto lati mai visti prima. Il coraggio, attribuito troppo spesso o troppo raramente, di difendere con orgoglio i propri amici e rischiare tutto per loro, la lealtà, nei confronti di chi si guadagnava il suo rispetto, assoluta e insostituibile, l'istintività e l'impulsività, figlie di un carattere indomabile, utili tanto quanto la propria intelligenza e cultura, la passione, troppo spesso confusa con l'avventatezza, dietro ogni gesto o pensiero, il dolore, nascosto da una maschera ormai divenuta il suo volto, sopportato proprio come avevano fatto tutti loro, la famiglia, grazie alla quale, per la prima volta, si era dimostrato umano e capace di provare compassione, l'intelligenza, acuta e brillante, capace di stimolarla incredibilmente, la schiettezza, spacciata per arroganza, tramutatasi spesse volte in sincerità.
La gentilezza delle sue labbra su di una cicatrice impostale. Sangue Sporco.
Lo stigma di una cicatrice gemella, impostagli, sul suo braccio sinistro. Mangiamorte.
Il compromesso di un perdono mai chiesto, eppure bramato. Granger. Malfoy.
Un bacio, tra labbra avvelenate da anni di insulti e ideali assurdi. Ragazza. Ragazzo.
Due cuori, indifferenti al dolore sofferto in passato, vivi e forti, vicini. Perdono. Redenzione.
Sentiva qualcosa per Malfoy, indipendentemente dal male che le aveva fatto in passato, poiché, come arrivano lontano i raggi di quella piccola candela: così splende una buona azione in un mondo malvagio. [2] Lui li stava aiutando, stava rischiando, si stava sacrificando con loro.
Per Daphne, per la scuola, per... lei? Doveva pur significare qualcosa.
Perché per condannare un uomo, un ragazzo, era sufficiente un singolo errore e per redimerlo non sarebbero bastate mille buone azioni? Non era giusto.
In quel momento, la Signorina Granger, Prefetto e Caposcuola, orgoglio e fiore all'occhiello dei Gryffindor, amica e sorella, compagna e strega brillante, figlia, si congiunse alla Hermione, ragazza, umana, divenendo un tutt'uno, finalmente completa.
- Bentornata.- le sussurrò la voce di Malfoy, calda al suo orecchio. – Mi sono mancate le tue occhiate di fuoco.- disse, sfiorandole la tempia con un bacio.
Piccole lacrime le pizzicarono il naso e trattenerle fu una fatica degna del figlio di Giove.
Non aveva mai capito, fino a quel momento, quanto ci si potesse sentire desiderati, amati e oggetto del bisogno di qualcuno; Ron l'aveva amata, aveva avuto bisogno di lei, ma non l'aveva mai desiderata, Harry lo stesso. E lei non aveva mai imparato che essere "Hermione Granger" non escludesse determinati sentimenti ed emozioni. Scoprì di essere in grado di conciliare ciò che provava per Malfoy all'affetto di sempre per i suoi miglior amici, che una cosa non macchiava o metteva in ombra l'altra.
- Sono qui.- rispose, timida e insicura come mai si era sentita.
Il bisogno impellente di rassicurare quel ragazzo alto e forte che sembrava sostenuto solo dal loro abbraccio.
Il bisogno di leggergli negli occhi la serenità che vi trovava luogo solo raramente.
Il bisogno di sentirsi oggetto delle sue attenzioni, meta del suo sguardo, obbiettivo del suo abbraccio, custode del suo bacio.
- Te la senti di camminare?- le domandò, senza allontanarsi da lei. Hermione annuì, ritrovando la capacità di riflettere e rammentando dove si trovassero e perché.
Malfoy indugiò un istante, prima di allontanarsi da lei e aiutarla a mettersi in piedi; la tenne per la vita, sostenendola.
La osservò, preoccupato alla vista di quel pallore che nulla aveva in comune con il suo solito candore, si domandò, preoccupato, se quell'aria affaticata e dolente l'avrebbe accompagnata ancora per molto, se fosse nelle condizioni di volare, se le facesse bene muoversi.
- Granger, devo... chiamare quel tizio?- domandò, facendo vagare lo sguardo, scocciato all'idea che quel tipo potesse tornare a sfiorarla, guardarla, godere dei suoi sorrisi.
L'avrebbe sopportato, però, per lei. Se fosse servito a farla sentire meglio, lo avrebbe sopportato.
- No.- decretò lei, imperiosa. – E' normale che mi senta così, passerà tra qualche ora. – gli spiegò, studiandolo pensando di non essere vista.
"Furba, Granger", pensò, "ma non abbastanza".
- Cole ti ha lasciato qualche direttiva?- gli domandò, cercando di celare un sorrisetto divertito che non mancò di affiorarle, dispettoso, sulle labbra violacee.
Lui, per niente infastidito all'idea che lei sapesse quanto fosse geloso e possessivo, strinse la presa introno alla sua vita. – Devi mangiare.- disse, vago. Poi le indicò un vassoio posato sulla scrivania accanto al lettino. – Ha detto di non provare a fare la furba: è incantato e non puoi farlo evanescere.- aggiunse, ironico. La Granger sorride a un ricordo di cui lui non sapeva niente e la cosa lo irritò; si voltò, fronteggiandola e la cinse anche con l'altro braccio, chinandosi alla sua altezza. – Di un po', Granger, fai la smorfiosa con tutti i Medimaghi o solo con i primari?- le domandò, più brusco di quanto avesse intenzione di essere.
Lei, ovviamente, s'infervorò, senza tuttavia intimorirsi. – Solo con quelli attraenti.- rispose, sorridendogli angelica.
Draco assottigliò lo sguardo, inchiodandola. – Granger, ti avverto, questi giochetti non sono divertenti.- le disse, parlando in tono deciso e minaccioso.
- Malfoy, ti avverto io: non sei il mio ragazzo e, se anche lo fossi, non avresti alcun diritto di fare il prepotente solo perché qualcuno è gentile con me ed io lo sono con lui.- ribatté la Grifondoro, con una solennità e condiscendenza che perfino la McGranitt si sarebbe sciolta in lacrime di fronte a tanta compostezza.
- Questo è da vedere. – mormorò il ragazzo; il suo tono, troppo da Serpeverde e Malfoy per i gusti di Hermione, la mise in allarme. Malfoy, intanto, l'aveva spinta sulla sedia su cui era stato seduto lui stesso e aveva afferrato il vassoio col cibo, sistemandoglielo davanti.
- Che volevi dire?-
- Mangia, Granger.-
- Malfoy, ti ho fatto una domanda.-
- Non usare quel tono da so-tutto-io con me.-
- Io uso il tono che voglio.-
- Granger.-
- Malfoy.-
- Mangia.-
Hermione incrociò le braccia e, sebbene la sua idea fosse di apparire stoicamente decisa, riuscì solo a sembrare una bimba indispettita. Malfoy, esasperato, le afferrò il mento.
- Sono molto possessivo con ciò che è mio.- le disse, guardandola dritto negli occhi e facendole chiudere all'istante lo stomaco, stretto in una morsa prepotente.
- Adesso, mangia. Non ho alcuna intenzione di incontrare un'altra volta quel tizio, per il suo bene e per il tuo, dato che sei convalescente. Non credo saresti in grado di impedirmi di dargli una bella lezione e poi dovremmo scappare prima che ci portino ad Azkaban.- ghignò.
Lei alzò, ironica, le sopracciglia. – Resto una strega migliore di te, Malfoy.- fece, presuntuosa.
Lui la ignorò, poggiandosi al lettino con il fondoschiena e incrociando le braccia.
Aveva regione, lei era brava, ma troppo corretta; in un duello leale, probabilmente l'avrebbe anche avuta vinta, ma, in uno scontro reale, le sarebbe mancata la furbizia necessaria ad attaccare a tradimento. Lui sarebbe stato il suo scudo contro la malvagità che i suoi occhi non erano in grado di vedere.





Il sole illuminava l'intera Stanza eppure pareva che ogni raggio di luce fosse stato risucchiato nell'angolo dove, in rigoroso silenzio, Harry Potter si era rifugiato. Se ne stava poggiato con le spalle larghe alla parete, lo sguardo gelido e perso nel vuoto, il volto distorto in una maschera di rabbia e preoccupazione. Sembrava incapace di muoversi, parlare e persino respirare, forse timoroso che, all'udire un suono troppo violento, la realtà che si rifiutava di affrontare gli si sfracellasse addosso. Negli occhi verdi e limpidi, bassi e sfuggenti, potevano leggersi perfettamente angoscia, tormento e paura.
Ron "The King" Weasley, spaesato e sperduto, come un bimbo abbandonato nel mezzo di una Foresta Oscura, sedeva sul divano libero dai Serpeverde, accanto alla Corvonero che, invano, tentava di rassicurarlo. Il Grifondoro non faceva altro che alzarsi, mormorare qualche parola priva di senso, girare per la stanza in modo agitato e afflosciarsi nuovamente allo stesso posto.
Quando, per la terza volta, domandò, alzando gli occhi azzurri e tremendamente inquieti sull'amico:- Perché non andiamo a cercarla?- non ottenne risposta, proprio com'era accaduto le prime due volte.
Potter pareva incapace di assimilare i concetti espressi eloquentemente da Blaise Zabini, che, divertito e, al contempo, preoccupato dalla reazione che quei due avrebbero avuto al ritorno di Draco e della Granger, lo osservava chiedendosi il motivo di tanta pena e frustrazione.
" E' andata da qualche parte a fare qualcosa, non ho idea di cosa si tratti. No, non l'abbiamo lasciata andare da sola, c'è Draco con lei", gli aveva detto Zabini e, a quel punto, Potter si era trasformato in un vegetale. Catatonico, pallido, scosso di tanto in tanto da spasmi e tremori, non faceva altro che aprire e chiudere convulsamente i pugni, serrare la mascella e stringere gli occhi.
Harry, rifugiatosi in quel silenzio che tante volte gli era pesato addosso come il più grande simbolo della sua solitudine, tremò. Hermione, colei che, ogni giorno della sua vita dal compimento dei suoi undici anni in poi, era stata la sua roccia e il suo porto sicuro, l'integrità e la lealtà, la sicurezza di un rifugio, caldo e familiare come solo casa poteva essere, l'aveva ingannato. Gli aveva mentito, l'aveva raggirato, l'aveva tradito. Ed era andata via con lui.
La rabbia fluì velocemente nelle vene, facendogli pulsare le tempie in modo selvaggio.
L'ira che provava nei confronti della ragazza, era pari soltanto alla preoccupazione per la stessa e non faceva che maledirla e pregare che stesse bene.
Un sentimento, sopra tutti, si stagliava, fiero e prepotente, inarrestabile: l'odio furibondo per Draco Malfoy. Quel viscido, vile, bastardo Mangiamorte non si era accontentato del sangue che la sua famiglia aveva versato, del tormento di sette lunghi anni, del dolore già inferto fino a strappare la carne a brandelli, no; Draco Malfoy aveva voluto sottrargli ciò che di più caro aveva al mondo: la fiducia incondizionata nei suoi migliori amici.
Draco Malfoy era e sarebbe sempre rimasto il ponte tra i precedenti anni, fatti di morte e distruzione e dolore e sofferenza e quel nuovo inizio, pieno si speranza e amore.
I Serpeverde si erano insinuati nelle loro vite, strisciando com'era loro consuetudine e avvelenando tutto ciò che avevano trovato lungo il cammino.
Tre domande gli vorticavano, a folle velocità, nella mente: perché? Come? Per chi?
Perché, Hermione gli aveva mentito? Perché si era allontanata da lui al punto di preferire la protezione e la compagnia di Malfoy alla sua? Perché Hermione si era fidata di un essere tanto vile e malvagio, generato dalla cattiveria di generazioni e impregnato del sangue di persone innocenti? Perché Hermione era cambiata, trasformandosi in una creatura tanto fragile e manipolabile, di cui una Serpe si era presa facilmente gioco, proprio lei, che era sempre stata motivo di vanto per la sua intelligenza e la sua morale inattaccabile?
Perché Hermione aveva rotto la catena dorata che sempre aveva tenuto legati lei stessa, Ron e Harry? Nessun perché, decise, sarebbe stato sufficiente a giustificare ciò che aveva fatto.
Come, come poteva non essersene accorto? Come poteva non aver intuito quel cambiamento, leggero quanto repentino, apparentemente insignificante eppure tanto prepotente? Come aveva fatto a permetterle di allontanarsi da lui, di respingerlo, di tagliarlo fuori? Come aveva potuto essere tanto sciocco da non capire che lei stava prendendo una direzione così rischiosa, sacrilega, assurda e impensabile? Come aveva potuto, Hermione, percorrere quella strada con tanta leggerezza e senza mai vacillare, senza che il senso di colpa la divorasse? Come aveva messo a tacere la sua coscienza? Come li aveva guardati negli occhi, lui e Ron, in quelle ultime settimane senza tremare sotto il peso di un segreto tanto grande?
Nessun modo sarebbe stato quello giusto per dir loro una cosa del genere, poiché quella stessa cosa non avrebbe mai dovuto esistere e quindi non sarebbe mai dovuto essere necessario parlarne.
Per chi aveva tradito, ingannato, mentito ai suoi migliori amici, i suoi fratelli? Per chi aveva tradito se stessa e la sua morale, la lealtà dei suoi sentimenti, la purezza del suo spirito?
Per chi aveva tradito la memoria delle persone cadute in Guerra o di quelli che, ancora in vita, sopravvivevano? Per chi aveva tramato, manipolato, peccato, perdendosi lungo un cammino che mai avrebbe dovuto iniziare? Per chi aveva rischiato, gettandosi a capofitto, senza pensare alle conseguenze? Per chi aveva sacrificato la fiducia, l'affetto, la tenerezza, la purezza, la dolcezza, l'eternità del legame tra loro? Per chi sarebbe rimasta sola, rinnegata, esiliata dal cuore delle persone che sempre l'avevano amata e accettata? Per chi si era tramutata in un'altra, sottraendo loro l'Hermione pilastro delle loro esistenze?
Per chi era cambiata, sputando sulla Grifondoro impeccabile e coraggiosa che era stata?
Una cosa era perfettamente chiara a Harry: per chiunque lei avesse potuto arrivare a tanto, non sarebbe mai riuscito a perdonarglielo, ma, ad affondare la lama più a fondo nella ferita, c'era quel "per chi", che una risposta l'aveva. Malfoy.
Colui che l'aveva chiamata Sangue Sporco da che le aveva posato addosso lo sguardo,
colui che l'aveva tormentata, col suo scherno crudele e razzista, colui che l'aveva desiderata morta per mano del Basilisco, colui che l'aveva umiliata e derisa, colui che l'aveva guardata contorcersi sotto l'effetto di una Cruciatus nel salotto di casa sua.
Lo stesso Malfoy, la cui famiglia era colpevole della morte di Sirius.
Per chi Hermione, hai spezzato il mio cuore, il mio affetto, la mia fiducia e quel legame eterno e più forte del sangue stesso, che mi legava a te? Ti ho affidato la vita, lo avrei fatto altre mille volte.
Ora, non più.



- Basta.- decretò, spingendo di lato il vassoio e bevendo un lungo sorso d'acqua. Si sentiva piena e, al contempo, esausta, eppure decisamente più in forze di mezz'ora prima.
Malfoy le lanciò un'occhiataccia, dato che non aveva finito il vassoio come ordinato da "quel tizio" come aveva gentilmente rinominato Cole, primario di chirurgia.
- Granger, hai una predilezione a dir poco malsana per il cioccolato.- commentò, indicando con una scrollata di spalle i biscotti al burro rimasti intatti nella ciotola.
Lei sorrise. – E' vero, mi piace il cioccolato, quindi?- domandò, incrociando il suo sguardo. Quel contatto, divenuto tanto abituale tra loro, le provocò ugualmente un brivido lungo la schiena; non si sarebbe mai abituata agli occhi di Malfoy.
- Dobbiamo andare prima che quel tizio torni. Non credo ci lascerebbe tornare a scuola da soli. Pensi di farcela? Come ti senti?- le chiese, sviando la sua domanda. L'aveva osservata mangiare con una grazia che, ad altre, sarebbero occorsi decenni per apprendere e, comunque, non sarebbe stata pari alla sua, naturale. Aveva dita sottili con cui staccava pezzetti di biscotto, che portava alle labbra con tale lentezza da spingere Malfoy a domandarsi se fosse in preda ad una Imperius. Invece, si era reso conto, la Granger pensava. Di continuo, senza sosta, come lo scorrere del tempo, inesorabile, inarrestabile; poteva quasi leggerle nello sguardo quel susseguirsi rapido e dinamico di idee, pensieri, persone, luoghi, come un labirinto infinito in cui, chiunque, si sarebbe perso. Lui, sicuramente, volentieri.
E, allora, gli erano tornate in mente le parole della Weasley, quel giorno di molte settimane prima: "Hermione è una ragazza molto difficile. Difficile da superare in arguzia, intelligenza e generosità. Difficile da eguagliare in lealtà, affetto e onestà. Difficile da conoscere e conquistare. Difficile da trattare. Hermione è così difficile che quando ti lasci catturare dalla sua mente labirintica non sei più capace di uscirne", aveva detto. E lui, da grandissimo idiota, quasi non l'aveva ascoltata, perché dilei non gli interessava nulla.
La carezzò con lo sguardo, trattenendosi dallo scuotere la testa, perché, di certo, la Granger gli avrebbe fatto il terzo grado su quel gesto.
- Mi sento bene. – rispose, alzandosi. Era ancora pallida, ma almeno, le labbra erano tornate rosa e non erano più violacee.
- Malfoy.-
- Granger?-
- Voglio fare una deviazione, prima di rientrare.- gli disse. – Anzi, due.- continuò, sollevandogli due dita davanti al viso.
Draco provò il forte impulso di schiantarla; ma come le venivano in mente certe idee?
Perché non si limitava a fare la damigella in pericolo, non si lasciava prendere in braccio e portare in salvo come tutte le altre?
Perché altrimenti non sarebbe la Granger. Perché altrimenti non saresti pazzo di lei.
Idiota.
- Pronto? Malfoy, spiegami, io faccio la donazione e tu accusi lo stordimento?- lo schernì, scuotendo il capo con fare teatrale e, intanto, passandogli una mano davanti al viso.
Il ragazzo, assottigliando gli occhi, le afferrò la mano, portandosela alle labbra e mordendola appena. – Granger, prima o poi ti chiuderò quella bocca.- le disse, serio e, in tutta risposta, lei rise, cristallina.
- Dove vorresti andare, sentiamo?-
I suoi occhi brillarono di castano e nocciola, gli si avvicinò con fare da cospiratrice. – Primo, voglio vedere Daphne e Ginny.- disse, seria. – Secondo, voglio che tu veda Teddy, Malfoy.- lo sussurrò con molta dolcezza, quasi temesse di frantumare un cristallo pregiato con la sua voce.
- No.- fece, categorico, lui. Non aveva alcuna intenzione di avvicinarsi a quel bambino, di osservarne la fragilità e la sofferenza e rendersi conto di quanto male la sua famiglia gli aveva fatto, rinnegandolo solo per le "colpe" di sua nonna. Non l'avrebbe sopportato, non poteva chiederglielo.
- Malfoy.-
- No, Granger, ho detto no. E adesso smettila.- ribatté, secco e gelido, tagliente. Liberò la sua mano dalla propria e si scostò di qualche passo, passandosi una mano tra i capelli dorati.
Lei lo lasciò fare e rimase in attesa, fino a che non vide le sue spalle rilassarsi appena.
Lo raggiunse e lo guardò, incatenando il suo sguardo. – Malfoy. Teddy è tuo cugino. E' soltanto un bambino e non ha idea di cos'è accaduto finora. Non è abbastanza grande per ricordare chi non c'era nella sua vita. Un giorno, qualcuno gli racconterà di chi c'è stato, per lui, di chi lo ha amato e protetto e ha vegliato su di lui e ha lottato per lui. Suo padre, sua madre, sua nonna, Harry e tutti noi. Non lasciare che il tuo nome sia escluso dai suoi affetti. Non lasciare che la paura di affrontare il senso di colpa e il dolore che ti porti dentro ti impediscano di esserci per lui. Ha bisogno di te, così come ha bisogno di Harry. – gli disse, posandogli le mani sulle spalle.
Hermione desiderava che Draco superasse il limite che si era imposto, oltre il quale, il senso di colpa lo spingeva a tornare indietro sui suoi passi, come il rinculo di un incantesimo potente.
Per superare quegli anni e lasciarseli alle spalle davvero, doveva cominciare a vedere con i propri occhi l'innocenza in tutto ciò che aveva sempre considerato sbagliato e sporco.
Come lei, come Teddy.
Sapeva che, dentro di sé, Malfoy stava combattendo una guerra furiosa tra mente e cuore, quel cuore che, per troppo tempo, aveva rifiutato di ascoltare e percepire.
Era un primo passo e stava tutto a lui compierlo.
Draco, tremendamente angosciato all'idea di vedere i frutti di anni d'odio esplodere di fronte ai suoi occhi nell'innocenza infantile, indugiò. Quel viaggio era difficile e tremendamente doloroso. Eppure, quella ragazza di fronte a lui, che aveva sofferto più di quanto fosse umanamente concepibile, aveva una luce negli occhi, un fuoco eterno e indomabile che lo spingeva a chiedersi quanta forza si potesse trovare affrontando momenti del genere. Possibile che quella scintilla di vita e calore fosse generata dal trovarsi in situazioni del genere?
- Dovevo lasciarti cadere dalla scopa.- le disse, sospirando e cedendo.
Lei sorrise, illuminando l'intera stanza. Afferrò il mantello, depositato sulla spalliera della sedia e lo porse al ragazzo che coprì entrambi. Mentre si avviavano, guardinghi, lungo i corridoi, la voce della Granger fu solo un sussurro. – Mi avresti comunque ripresa in tempo - .


Il reparto dove erano state sistemate Ginevra, Daphne e le altre persone colpite da incantesimi generati dalla Magia Oscura, era lungo e aveva un unico accesso, una porta che lasciava passare solo i Medimaghi la cui bacchetta era riconosciuta dalla porta incantata.
Vi erano pochi infermieri addetti alla zona, poiché, come avevano sentito spiegare a Cole Smith, le vittime erano impregnate della stessa Magia e questa influenzava pesantemente chiunque venisse in contatto con loro.
Hermione e Draco dovettero attendere che qualcuno accedesse al reparto per entrare e si precipitarono dentro non appena la porta si aprì. Nascosti al riparo del Mantello di Harry, camminarono nel mezzo del corridoio, le cui pareti erano un susseguirsi di vetri da cui si potevano osservare alcune delle persone ricoverate. Un brivido corse dall'uno all'altra e si scambiarono uno sguardo, quando si resero conto di quante persone fossero vittime di quella potente Magia. D'improvviso si ritrovarono catapultati ad un anno prima, quando gli ospedali brulicavano di persone aggredite dai Mangiamorte.
Ginny e Daphne erano state sistemate in due stanza attigue, entrambe distese supine e pallide, vestite di squallide camice da notte a pois che le avrebbero fatte inorridire di sicuro.
Hermione si accostò al vetro di Ginny e osservò i capelli scarlatti stagliarsi in contrasto col candore del cuscino, le lentiggini spiccare sul visetto cereo e strani macchinari collegati al suo cuore e al suo cervello; sembrava così fragile e lontana. Posò una mano sul vetro, poi vi poggiò la fronte e chiuse gli occhi. "Ginny, Ginny, mi manchi moltissimo. Ho bisogno di te. Andrà tutto bene, te lo prometto", pensò, tentando di controllare piccole lacrime che minacciavano di straripare dalla diga degli occhi.
La mano di Draco fu dolce e ferma sulla sua spalla, le sue labbra sul capo, il suo petto contro la schiena. La stava consolando come sapeva lei avesse bisogno, senza parole, semplicemente con la sua presenza. Si voltò appena per abbozzare un sorriso triste, poi si spostarono di fronte alla stanza di Daphne.
Vi era un'infermiera all'interno, che, a distanza, faceva muovere la bacchetta con gesti secchi e rapidi; Draco si tese, il suo sguardo si fece attento e, senza accorgersene, smise di battere le palpebre. Daphne sembrava più pallida di Ginny, la pelle, un tempo diafana, aveva un preoccupante colorito grigiastro e i lunghi capelli d'oro si erano ulteriormente schiariti assumendo una vaga tonalità di bianco. Hermione, attenta osservatrice, si accorse di una sostanziale differenza tra i valori dei macchinari di Ginevra e quelli della Serpeverde.
Le risposte celebrali di Daphne parevano più deboli e sporadiche di quelle della Grifondoro e il battito del suo cuore era eccessivamente lento. Si guardò bene dal far notare a Draco la cosa, poiché, di certo, avrebbe gettato all'aria il Mantello, per fiondarsi nella stanza e sbraitare a tutti di fare qualcosa immediatamente.
In quel momento, dovettero scansarsi per lasciare accesso ad una Medimaga che entrava nella stanza della ragazza. La donna rivolse qualche domanda all'infermiera e le espressioni di entrambe si incupirono, preoccupate.
Draco, al fianco di Hermione, teneva i pugni stretti e lo sguardo fisso sulla giovane distesa, inerme, che pareva talmente sottile da scomparire tra le coperte.
Fu il turno di Hermione di stargli accanto, posandogli soltanto una mano sul braccio e stringendo la presa.
- Le salveremo. – promise a se stessa e anche a lui.
Draco Malfoy non rispose, eppure, qualcosa, nel suo sguardo quando si voltò a incrociare i suoi occhi, la convinse che le credeva e aveva fiducia in lei.
Seguirono la dottoressa, frustrati all'idea di dover lasciare così preso le due ragazze, ma ben consapevoli di avere poco tempo a disposizione. Hermione guidò il ragazzo lungo le scale e Draco la sostenne, quando si accorse della fatica che le costava salire ogni gradino.
Fitte fastidiose e dolorose le perforavano la schiena ogni volta che faceva un movimento di troppo.
Raggiunsero il reparto di Terapia Intensiva e la ragazza s'incamminò decisa verso una delle piccole camere. Draco, mezzo passo indietro, camminava incerto e si muoveva giusto per non rischiare di rimanere sprovvisto della protezione del Mantello.
Hermione spinse la porta ed entrò, guardandosi attorno circospetta; Malfoy si decise a sollevare lo sguardo, facendo appello a tutto il proprio sangue freddo.
Teddy giaceva in una sorta di incubatrice, lunga meno di un metro e larga quanto un lettino d'ospedale; alcuni tubicini erano avvolti dolcemente intorno al capo e gli finivano nel nasino; era un bimbo magro e decisamente alto per la sua età, con i capelli di una strana tonalità indefinibile, come un misto perfetto tra castano e porpora le cui punte si sfumavano nel viola.
Draco rimase ad osservare il suo cuginetto, rinchiuso in una teca di cristallo, il torace minuto a sollevarsi ritmicamente e le manine tese ai lati. Qualcosa si ruppe nel suo petto, come una diga sfondata da acque inarrestabili; avvertì un calore nuovo e mai conosciuto – prima dell'arrivo irruento della Granger nei suoi pensieri – scaldargli il cuore e avvolgerlo.
Una sensazione di responsabilità e istinto di protezione si fece strada con violenza dentro di lui e comprese che le parole della ragazza erano dannatamente giuste: Teddy aveva bisogno di lui. Aveva bisogno di qualcuno che lo amasse e lo facesse sentire essenziale, proprio ciò che Malfoy non aveva mai avuto. Suo padre non aveva esitato a gettarlo tra le fila del Signore Oscuro, pur consapevole del rischio reale di morire che suo figlio avrebbe corso. Sua madre, nonostante l'amore assoluto e incondizionato che provava per lui, non aveva avuto la forza o il desiderio sincero di abbandonare suo marito per salvaguardare il futuro di quell'unico figlio.
Draco si era sempre sentito utile, ma non necessario ai suoi genitori, come un qualcosa di apprezzato di cui, tuttavia, in casi estremi, si potesse fare a meno. Non avrebbe mai permesso che Teddy si sentisse a quel modo.
Hermione gli prese una mano, stringendola tra le sue. Il sorriso che gli regalò servì ad abbattere l'ultima barriera, quella della paura. La paura di fallire e sbagliare tutto, di nuovo.
Gli indicò una piccola apertura nella teca, nella quale infilò la mano per accarezzare quella di Teddy. Le dita del piccolo si mossero appena, incontrando quelle della ragazza.
- Non si può prenderlo in braccio.- gli disse, dedicando uno sguardo dolcissimo e carico di dolore al bambino. – Almeno così può avvertire un po' di calore umano.- spiegò, ritirando la mano dopo una carezza e concentrandosi su di lui; nel suo sguardo un muto invito.
Draco indugiò qualche istante, poi si decise ad avvicinare la mano a quell'apertura e, lentamente, raggiunse le dita del bambino. La sua manina era tiepida e morbida e presto le piccole dita si richiusero intorno al suo indice, avvolgendolo. Draco sussultò a quella stretta, teso e indeciso su cosa fare. Cercò la ragazza con lo sguardo, confuso e la vide sorridergli dolcissima e poi sentì la sua mano sul braccio; la Granger posò la testa contro la sua spalla.
- E' incredibile, vero? La scarica di energia e forza che una creatura tanto indifesa è capace di scatenare.- mormorò, avvicinando la propria mano alle loro. Draco ne carezzò il dorso col pollice.
D'improvviso la voce di Cole, amplificata in tutto l'ospedale, chiamò i loro nomi, chiedendo loro di tornare immediatamente all'ingresso. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo.
- Dobbiamo andare.- decretò Hermione. Draco annuì e, dopo un'ultima occhiata a Teddy, si affrettarono ad uscire. Lungo il corridoio, mentre si spostavano in fretta e attenti, videro sopraggiungere Cole, venuto a cercarli certo di trovarli lì. Lo evitarono passandogli di fianco e raggiunsero in fretta le scale. Hermione trattenne a stento una smorfia di dolore quando presero a scendere i gradini. Draco le passò un braccio intorno alla vita.
- Mi dispiace. Siamo quasi arrivati.- le disse.
Quando arrivarono all'ingresso, la prima cosa che notarono fu un gruppo di Auror che stava controllando il piano terra.
- Ha chiamato gli Auror!- sbottò la ragazza, accigliata.
Draco, lanciandole uno sguardo eloquente di soddisfazione e ironia misto ad una certa possessività, si limitò a tacere.
La scopa con la quale erano arrivati giaceva nell'angolo. Si mossero in fretta, raggiungendola e trascinandola fuori con loro. Draco salì per primo, gettando una gamba oltre il manico. Porse una mano ad Hermione. – Sali davanti.- le disse. Confusa, lo guardò, indugiando. Il ragazzo l'avvicinò sé e l'aiuto a scavalcare. La sistemò di fronte a lui, in modo da poterla guardare, poi le passo un braccio intorno alle spalle. Hermione nascoste il viso sul suo collo, aggrappandosi alla sua vita. Partirono immediatamente e la ragazza comprese il perché della richiesta di lui: non appena presero quota, la nausea si fece sentire, prepotente e ad ogni virata la testa le girava terribilmente. Per quanto Malfoy fosse bravo – volava perfettamente e la scopa rispondeva docilmente ad ogni sua manovra – sentiva che non sarebbe riuscita a restare a cavallo della scopa se lui non l'avesse tenuta. Anche il Serpeverde l'aveva intuito, osservandola e la stava sostenendo con un braccio, guidando la scopa con l'altro.
- Resisti, Granger. Siamo quasi arrivati.- le disse, mentendo.
La ragazza annuì sul suo petto, gli occhi stretti e le dita ad artigliare la camicia sulla schiena di lui.
Draco le posò il mento sul capo e strinse gli occhi, fendendo il cielo oltre il Mantello dell'Invisibilità.





La finestra, alta e lunga, si era spalancata sul cielo aranciato che faceva da sfondo al sole che tramontava. Una brezza si era riversata nella stanza, carezzando i suoi occupanti.
Harry Potter aveva fatto scattare gli occhi sull'aria trasparente e il suo corpo di era irrigidito; si era raddrizzato e aveva assottigliato lo sguardo, scrutando il nulla.
Qualche attimo dopo, il Mantello dell'Invisibilità era stato scostato dal braccio di Malfoy: la scopa docilmente adagiata in terra, ai loro piedi, il braccio libero del Serpeverde a cingere la vita di Hermione che, pallida e tremante, si era poggiata a lui.
Ron era scattato in piedi, Harry si era scostato appena dalla parete.
Hermione sollevò lo sguardo su di loro.








[1] E' un verso della canzone "Vita" di Gianni Morandi e Lucio Dalla.
[2] Shakespeare, Porzia, atto V, scena I.  


La mia rivale bellissimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora