Capitolo 45 - Cooperation (part 1)

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  - Zabini, devi calmarti.-
La voce nemmeno lo raggiunse, perso com'era nei meandri della propria pazzia. Intento ad attraversare la Sala Comune di Serpeverde con grandi falcate cariche di rabbia e frustrazione, Blaise Zabini era l'immagine perfetta della disperazione.
Il tempo, il tempo era sempre stato il suo più grande nemico. Adesso, tuttavia, diveniva il centro dell'odio più assoluto, totale e pericoloso che un Serpeverde potesse mai provare. Perché il tempo gli stava sottraendo, scorrendo inesorabile, istanti della vita con Daphne Greengrass.
Possibilità. Scelte. Decisioni.
Sebbene fosse ben conscio dello sguardo preoccupato dei suoi miglior amici su di sé, Blaise non accennava a rallentare quella maratona personale e interiore: fermarsi sarebbe equivalso a crollare. Andare in pezzi, frantumarsi. Come poteva disprezzare a tal punto se stesso? Vanesio com'era, quell'idea gli era parsa inconcepibile durante i primi istanti di sgomento. Eppure, d'un tratto, Zabini detestava la superficiale indifferenza del suo carattere: "Ecco a voi, signori e signore, l'esempio più lampante dell'inetto Decadente.", gli stava urlando una voce che pareva la sua – seppur più squillante e acida – nella mente.
Proprio così: Blaise Zabini aveva lasciato scorrere la sua vita come un fiume. Inesorabile, indifferente a qualsivoglia ostacolo o sollecitazione. Senza mai prenderne in mano le redini per cambiare direzione e, magari, sostare in un luogo sicuro e amato. A casa.
Dov'erano finite le possibilità? Dov'erano le responsabilità da cui aveva scelto di fuggire? Dov'era l'ingranaggio che gli faceva battere il cuore più forte?
Dov'era colei che un cuore gli aveva fatto scoprire di possederlo?
Daphne. Daphne. Daphne. La invocava, come se ripeterne il nome potesse ricrearne la consistenza, lì, davanti ai suoi occhi iniettati di sangue.
D'un tratto le domande che, nel corso della giovane vita, non avevano mai superato il confine del suo inconscio per attirare violentemente la sua attenzione, si riversavano come un fiume impetuoso nella mente agitata: cosa aveva fatto per diciotto anni? Che vita era stata la sua? Quali erano le sue priorità? Di cosa – o chi - non poteva fare a meno? Quali rimpianti aveva, quali rimorsi?
Ma, soprattutto: quale diritto aveva di soffrire come un cane per ciò che era capitato a Daphne? Proprio lui che aveva tracciato una linea netta a separare mente e cuore, spingendo ciò che sentiva per la ragazza lontano da sé e dalla sua vita agiata. Lui, che aveva preferito il buon vino all'ubriacatura di passione che Daphne avrebbe comportato. Lui, che si era trincerato dietro un muro di lusso e sfarzo che lei non avrebbe potuto sfondare con l'ariete del sentimento che entrambi provavano.
Che diritto aveva di sentirsi in pezzi, poiché la bionda sirena che aveva odiato - in quanto capace di risvegliare in lui qualcosa rimasto da sempre sopito- e amato, – poiché, alla fine dei giochi, Zabini non riusciva più a mentire a sé stesso - d'un tratto non era più lì, accanto a lui?
Eppure, da codardo qual era, il Serpeverde si ritrovava a combattere con quella parte egoista di sé che urlava, cercando di imporsi sulle altre: "Se anche lei tornasse, saresti disposto a cambiare la tua vita per lei?".
Si sentiva frustrato, a causa dell'apparente – e ingannevole – calma dei suoi compari. Salazar, era sua cugina quella addormentata in modo irreversibile, perché diamine Theodor non aveva fracassato ogni cosa, lì dentro?
E Draco? Andava tanto blaterando in giro su quanto fossero amici, ostentando l'affetto fraterno che nutriva per lei, ed ora? Possibile che gli importasse soltanto di essere nuovamente libero?
Arrestò il suo marciare, concentrando lo sguardo incandescente sul duo, in piedi accanto al camino spento.
- Non statevene con le mani in mano! Dobbiamo fare qualcosa.- affermò, con tanta aggressività nel tono di voce da far tendere i muscoli di Draco.
- Stai perdendo la testa.- fece, lapidario, questi. Si soppesarono con uno sguardo tagliente.L'amicizia che li legava, per quanto forte e intrisa di solidare complicità e affetto, si basava, principalmente, sul rispetto reciproco.
C'erano confini da non oltrepassare, a Serpeverde, perfino nelle relazioni tra miglior amici. Poiché le Serpi nascevano tali e tale era la loro indole: attaccare per non essere attaccati, mai doversi difendere.
In quell'istante, più che mai, l'assenza della presenza mitigatrice di Daphne, che di certo sarebbe saltata su con una delle sue solite ramanzine sull'ego e i maschi alfa – di cui il perno principale, tuttavia, sarebbe rimasto l'indubbia stupidità del genere maschile – si fece sentire prepotente. Dov'era il contro peso che equilibrava la loro relazione? Dov'era l'intuito che avrebbe percepito la sofferenza – espressa in maniera diversa e sopportata allo stesso modo – di ognuno dei tre ragazzi in quella Sala?
I pensieri di questi ultimi parvero accomunati da quest'unica domanda, sottile eppure prepotente, che galleggiò nell'aria sopra di loro, quasi a voler mostrare quanto connessi fossero nonostante la tensione del momento.
Un sospiro di Theodor, l'imprecazione mal trattenuta di Draco, l'accasciarsi sul divano – sfinito – di Blaise: il litigio era concluso.
Pansy Parkinson, intenta a sfogliare, per nulla interessata, una rivista, seduta ad un tavolino diversi metri più in là, attirò l'attenzione del biondo Serpeverde. Draco strinse i pugni, serrando la mascella. La sua tensione non passò inosservata ai due amici, poiché lo spirito d'osservazione era tipico delle Serpi.
- Hai ragione, Blaise.- esordì Draco, d'improvviso, richiamando a sé gli sguardi, curiosi, degli amici. – Dobbiamo fare qualcosa.- aggiunse, solenne, tornando a volgere la sua attenzione alla bruna.



Quel sabato mattina aveva dell'incredibile. Un giorno da segnare in rosso sul calendario, con tanto di cerchi e frecce a sottolinearne l'importanza. Ciò a causa di due semplici – quanto allucinanti – motivi: il primo di essi era la presenza, alle otto del mattino, del signor Harry James Potter e del suo compare Ronald Bilius Weasley, svegli, nella Sala Comune dei Grifondoro; il secondo, non per importanza, era il fatto che la coppia sopracitata stava nientedimeno che leggendo un libro a testa. Un libro vero, niente riviste di Quidditch o giornalini di barzellette.
Nessuno, invece, si sarebbe sorpreso ad osservare Hermione Jean Granger – capelli raccolti sopra la testa in una crocchia disordinata, rughe da concentrazione sulla fronte, una matita tra le dita – con la faccia affondata dentro tre grossi tomi sul tavolino davanti alla poltrona ove sedeva.
La notte prima, rientrati tutti a Grifondoro dopo il ritrovamento di Daphne, superata la fase "Tribunale dell'inquisizione", Harry e Ron avevano illustrato alla più intelligente del loro gruppetto la mappa e il suo nuovo modo di comportarsi.
Osservando i nomi sulla mappa in quel momento, nessuno strano cambiamento era stato rilevato dai tre, eppure Hermione riteneva che la descrizione di ciò che Harry e Ron avevano visto fosse davvero illuminante: qualcuno o qualcosa era all'interno della scuola, si muoveva indisturbato per i corridoi di Hogwarts, aggredendo gli studenti e fin qui tutto chiaro. Il fatto, tuttavia, che la mappa fosse in grado di rilevare questo "qualcuno/qualcosa" e, addirittura, riuscisse a cogliere i cambiamenti di "stato" o "essenza" che esso attraversava, poteva voler dire solo una cosa: che questo qualcuno doveva essere umano. I fantasmi, gli spiriti, i demoni, non comparivano sulla mappa.* Di conseguenza, qualsiasi cosa fosse ciò che Harry e Ron avevano visto, doveva possedere un corpo – seppur preso in "prestito". Questa riflessione l'aveva condotta, con un ragionamento logico, a immaginare che, un qualsiasi estraneo, all'interno della scuola, sarebbe stato di certo notato da Preside, Professori, fantasmi e alunni stessi. Di conseguenza, ovviamente, "l'ospite" di questa essenza (chiunque essa fosse) doveva essere una persona della scuola. Era stato allora che Hermione, dopo aver dato la buona notte ad Harry e Ron ed essersi infilata sotto le coperte, cercando un calore ormai perduto – o forse lasciato da qualche parte – aveva messo a lavorare freneticamente il suo ingegnoso cervello.
Non aveva certo dubbi sul fatto che l'ospite fosse Pansy Parkinson: Draco Malfoy le aveva confermato che era l'unica assente, la notte durante la quale loro tre – Daphne, Ginny e lei stessa – avevano combattuto al fianco di Piton e della McGranitt contro quelle figure incappucciate; le bacchette utilizzate per colpire sia Ginny che Daphne appartenevano entrambe a dei Serpeverde ed Hermione – anche sforzandosi – davvero non riusciva a credere che Malfoy e Zabini potessero essere colpevoli dell'accaduto, di conseguenza le loro bacchette dovevano essere state rubate da qualcuno che vi aveva facile accesso. Un o una Serpeverde, quindi.
L'intuito di Hermione, tuttavia, non si limitò a quella conclusione. C'era dell'altro e la ragazza doveva soltanto arrivarci. Pensò e ripensò agli avvenimenti delle ultime settimane, partendo dalla lite di Theodor e Ginny – quando tutto aveva cominciato ad andare a rotoli. Perché avevano litigato? Si sforzò di ricordarlo...il bacio! Pansy e Theodor si stavano baciando fuori dagli spogliatoi, dopo la partita di Serpeverde e Grifondoro. La partita. Malfoy le aveva detto di non aver più trovato la bacchetta da dopo la partita. Possibile che ci fosse un collegamento tra le due cose? Le tornarono alla mente le parole che Daphne le aveva detto la sera prima: "Io sono quella che sono. Non rinnegherò la Casa da cui vengo e i principi che ne sono la base per la nostra amicizia. Non posso essere come Ginny e te, tanto candida e trasparente, fiduciosa. Io sono nata per il calcolo, la manipolazione, l'ingegno. Questo, però, mi ha permesso di notare qualcosa, di comprendere qualcosa che a te, proprio per questo motivo, è sfuggito...".
E l'intuizione arrivò.
Daphne. Non era una vittima designata. Non era stata scelta come Ginny. Il suo coinvolgimento era stato obbligato, perché di sicuro Daphne – come aveva ammesso con Hermione la sera prima – aveva capito qualcuno che era sfuggito a tutti gli altri. Aveva messo insieme i pezzi e voleva condividere con la Grifondoro la sua scoperta, il suo sospetto. Quel qualcuno doveva averlo scoperto e l'aveva aggredita. La domanda che Hermione si faceva era, però, la seguente: chi, oltre Daphne e lei stessa, poteva sapere che la Serpeverde stava uscendo, quella notte, per incontrarla? Harry e Ron, certo, ma loro erano da escludere per ovvie ragioni dalla lista dei sospetti. Inoltre, dando per ovvio anche il fatto che Daphne doveva essere stata di certo attenta a non farsi beccare in giro per la Sala Comune da nessun compagno di Casa, rimaneva un'unica possibilità: solo chi condivideva con lei la camera da letto poteva notarne l'assenza, nessun altro.
Pansy Parkinson e Millicent Blustrode, quindi.
E quel ragionamento filava anche per un altro motivo: se Pansy era la colpevole, di certo non avrebbe potuto ridurre in quello stato Daphne a Serpeverde, in camera loro o, comunque, all'interno dei sotterranei. Perché, altrimenti, sarebbe diventato chiaro a tutti che era un Serpeverde il colpevole di quanto stava accadendo. Bisognava, quindi, che Daphne fosse fuori dai sotterranei e sola.
Chi aveva ridotto in quello stato Ginevra aveva tutta l'intenzione di farlo: ci aveva lavorato per giorni, probabilmente, rubando la bacchetta di Draco, studiando il momento adatto e, probabilmente, anche il modo per far ricadere la colpa su...Theodor. Era Theodor ad essere con Ginny, quella notte. Possibile che, chiunque fosse stato, credesse che far ritrovare i due insieme, avrebbe equivalso a far passare Theodor per carnefice? Ma la storia della bacchetta non tornava: insomma, far ritrovare sulla scena la bacchetta di Malfoy, impregnata dell'incantesimo scagliato a Ginny, di certo avrebbe scagionato Nott. O questa persona sperava forse che Nott fosse accusato di aver rubato la bacchetta a Malfoy? Ma, in tal caso, chi avrebbe poi, in seguito, schiantato Nott? Il Serpeverde si sarebbe auto affatturato? Con quale bacchetta poi? Quella di Ginny, dato che sulla sua non era stata rinvenuta traccia di alcun incantesimo quella notte? Doveva chiedere alla McGranitt di analizzare la bacchetta di Ginny e scoprire quale fosse stato l'ultimo incantesimo usato. Se nemmeno la bacchetta di Ginny avesse riportato tracce di schiantesimo, quella sarebbe stata la prova che, oltre i due ragazzi, durante l'aggressione era presente una terza persona. Qualcuno la cui bacchetta aveva schiantato Theodor e poi gli aveva cancellato la memoria.
Le prove della colpevolezza di Pansy Parkinson erano, per Hermione, lampanti, eppure sapeva bene che non avrebbero retto con la Preside e gli Auror in quanto soltanto "indiziarie". Molte di esse, tra cui sospetti e teorie, si basavano sui ricordi di Hermione stessa, su ciò che Draco Malfoy le aveva confidato durante quella notte e sull'interpretazione delle parole che Daphne le aveva detto la sera precedente. Troppo poco per un'accusa tanto grave.
Erano ancora molte le domande a cui Hermione non aveva trovato risposta, eppure sapeva perfettamente cosa bisognava fare, dato che il tempo a loro disposizione era tanto esiguo: dando per buono il sospetto che dietro tutto vi fosse Pansy, dovevano scoprire cosa o chi fosse l'essenza che aveva preso possesso del corpo della Serpeverde, prima di tutto. Per fare ciò sarebbe occorso uno studio intenso di tutti i testi di magia antica scritti in latino che la scuola potesse offrire ed Hermione aveva intenzione di irrompere in biblioteca quanto prima, nonostante questa fosse chiusa, per cercare nel reparto libri proibiti. Inoltre avrebbe chiesto a Luna Lovegood di procurarle qualche altra informazione riguardo la storia del Mago, della sua collezione e del libro andato perduto. Doveva poi recarsi a parlare con la McGranitt e obbligarla a lasciarla andare in ospedale per visitare Teddy, fare un prelievo e accertarsi che fosse stabile, senza che Harry lo scoprisse. Ancora – cosa che l'agitava parecchio – c'era da parlare con Malfoy, Nott e Zabini per chiedere loro se Daphne gli avesse confidato i suoi sospetti, quella sera, prima di uscire per incontrare Hermione. Magari ne aveva parlato in Sala Comune, mentre Pansy era nella stanza, senza accorgersi che stava origliando.
Per quanto poco le facesse piacere l'idea, Hermione sapeva di dover coinvolgere le Serpi in quella disperata ricerca, poiché lei, Harry e Ron erano un gruppo troppo piccolo per il tempo a disposizione. In pratica dovevano fidarsi dei Serpeverde e, in particolare, di Malfoy, cosa che gettava Hermione nel panico più totale: tremava all'idea del loro primo, vero, confronto, dopo...quello.
Il mattino seguente la ragazza, reduce da appena quattro ore di sonno, si era precipitata al dormitorio maschile e aveva tirato giù dal letto Harry e Ron – sorprendendosi del fatto che questi si alzassero senza storie – e si erano messi all'opera, nella speranza di scoprire qualcosa delle parole comparse sulla mappa, scavando tra i libri di Antiche Rune che aveva collezionato fin da ragazzina.
In cuor suo, Hermione sentiva che i nomi sulla mappa e ciò che minacciava Hogwarts e il Mondo Magico a tal punto da spingere il Ministro della Magia a rispedire gli studenti a casa, avrebbero coinciso.





- Stai dicendo che Pansy sarebbe stata in grado di fare tutto questo?- chiese Zabini, con espressione sorpresa e cinica al contempo, intento ad abbottonarsi la camicia di seta chiara.Draco, sulla porta del bagno, con indosso solo i pantaloni dal taglio perfetto, intendo a frizionarsi i capelli umidi con un asciugamani, alzò le spalle in un gesto frustrato. – Sto dicendo che Pansy non c'era, la sera in cui le ragazze erano nella Foresta Nera e noi eravamo tutti rinchiusi con quel Mezzo Gigante in Sala Grande.- rispose, gettando sul letto il telo bagnato e aprendo un'anta del suo armadio. Si sentiva terribilmente a suo agio, pulito, fresco di doccia, sbarbato e con indosso dei vestiti perfettamente stirati. Era assurdo pensare che per quasi due settimane aveva dovuto rimanere rinchiuso in un buco, solo perché la sua bacchetta – che nemmeno era sua, poi – era stata rinvenuta sulla scena di un crimine e che era servito l'incidente capitato a Daphne per far capire a quella iena della McGranitt che lui non c'entrava niente con l'accaduto. Assurdo: invece di cercare il vero colpevole, avevano trovato più conveniente accusare il figlio di un ex Mangiamorte, accecati dai pregiudizi, dando libero spazio all'aggressore di continuare ad agire indisturbato.
Draco scosse la testa evitando il suo stesso sguardo nello specchio incastrato all'anta dell'armadio: non voleva pensare a ciò che era capitato a Daphne perché la rabbia e il senso di colpa si sarebbero fatti sentire troppo violenti e temeva di non riuscire a gestirli.
Rabbia, perché considerava Daphne alla strenua di una sorella e l'idea che qualcuno avesse osato farle del male lo mandava in bestia; senso di colpa, perché una piccola parte di lui – era pur sempre un Serpeverde – era contento che fosse avvenuta una nuova aggressione che l'avesse scagionato.
- Vorrei capire come diamine avrebbe fatto a prendere la tua bacchetta, Zabini.- intervenne Nott, urlando, dal bagno.Blaise assunse un'espressione pensosa. – Questo davvero non me lo spiego: non lascio mai la bacchetta, come tutti noi, del resto. – fece, in un sospiro. – L'unica possibilità sarebbe stata quella di entrare mentre dormivo o...- arrestò per un attimo il suo parlare, perché qualcosa gli era tornato alla memoria. Fino a quando Draco non li aveva messi a parte dei suoi sospetti su Pansy, non gli era mai passato per la testa che potesse esserci un Serpeverde dietro quelle aggressioni: Blaise era sempre stato convinto che c'entrasse qualcuno di esterno alla scuola. Adesso, tuttavia, l'idea che tra i loro potesse nascondersi un traditore, gli aveva aperto gli occhi: nessuno studente di nessun'altra Casa avrebbe potuto avvicinarsi tanto a uno di loro – Draco, Theo o lo stesso Blaise – da sapere quando e come agire per rubare le loro bacchette e farli apparire colpevoli.
- Un momento!- esclamò, balzando in piedi dal letto e rischiando di strozzarsi col nodo che stava facendo alla cravatta. – Theodor? –Richiamato dall'amico, il ragazzo comparve sulla porta del bagno, con un asciugamani intorno alla vita e un altro tra le mani.
- Ricordi ieri sera, prima che succedesse il finimondo?- chiese, evitando accuratamente le parole "Daphne", "Incidente", "Sonno eterno". L'altro annuì. – Quando Daphne ci ha detto di avere un sospetto e di volerle parlare con la Granger?- fece, interrogativo.Al sentir pronunciare quel cognome, Draco ebbe un sussulto che, sperò, fosse stato nascosto dall'anta dell'armadio.
- Esatto. – disse Zabini, avvicinandosi all'amico. – Poco dopo io e te siamo usciti per andare a parlare con Piton, ricordi?-
- E gli Auror ci hanno quasi fatto il culo, rispedendoci al dormitorio.- completò Theodor, mentre Blaise gli posava le mani sulle spalle con un gesto euforico e solenne. – Ecco! Non capisci?- esclamò, con una luce vittoriosa che gli brillava negli occhi cobalto.
- No.- rispose, sincero, Theodor, intento a grattarsi la massa di riccioli scuri sopra la testa.
- La bacchetta, Theodor! E' stato allora che l'ho lasciata in stanza! Siamo usciti di corsa e non ho minimamente pensato a prenderla!- quasi gridò.
- Va bene, Zabini, adesso sai quando Pansy – se è stata lei – ti ha preso la bacchetta: perché sei tanto euforico?- chiese Theo, confuso.
- Perché è la prova che io non ho fatto assolutamente niente a Daphne! Che ho detto la verità!- esclamò Blaise, con una tale energia e passione da lasciare di stucco gli amici.
- Blaise.- scosse la testa Nott. – A nessuno di noi è mai passato per l'anticamera del cervello che fossi stato tu.- gli disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Draco, dall'altro lato della stanza, annuì, mentre si allacciava i polsini della camicia scura.Zabini chinò il capo, per un attimo privo della maschera di vanesio indifferente dietro cui amava tanto nascondersi. Non poteva certo confessare ai suoi amici la repulsione che aveva provato a sentirsi accusato di aver fatto del male alla persona che più amava al mondo.
- Zabini, sono davvero estasiato dalla tua dimostrazione d'affetto, ma devo ricordarti che preferisco le rosse?- fece, divertito, Nott, dato che l'altro non aveva ancora lasciato la presa ferrea sulle sue spalle. Blaise sorrise, grato di quello smorzo alla tensione.
- Il mio cuore andrà in pezzi, ora.- rise, lasciando l'amico per avvicinarsi a Draco, scansarlo dallo specchio e prendere a pettinarsi.
- Quella cella sarà stata anche piccola, ma ti giuro, Zabini, senza la tua presenza ingombrante, sembrava una reggia!- sbottò quest'ultimo. Il termine "cella" prese a richiamargli alla mente concetti meno astratti, come ad esempio un respiro sulle labbra, degli occhi agitati, una carezza rovente.Il repentino cambio d'espressione non sfuggì a Blaise. – Perché credete che Daphne volesse parlare proprio con la Granger?- chiese, in una stoccata ben studiata. Per quanto Draco fosse padrone del proprio corpo e delle proprie reazioni, non poté impedire alle sue sopracciglia di sollevarsi per la frazione di un istante. Istante che fu sufficiente a Zabini per confermare i sospetti coltivati in quell'ultimo mese e mezzo.
- Si fida di lei. – alzò le spalle Theodor, ormai vestito. – Insomma, la Granger sarò anche una rompipalle stratosferica, ma bisogna ammettere che ha sangue freddo.- aggiunse, scavando nel suo cassetto. – E comunque sempre meglio di Potter e Weasley.-
- Credo non sia solo questo.- fece, pensoso, Zabini. – Insomma: la Granger sapeva perfettamente che Draco era stato accusato di ciò che è accaduto alla Weasley, eppure deve aver tenuto la bocca chiusa con i suoi protettori, dato che né Potter né Weasley hanno tentato di uccidere uno di noi. Perché? Deve avere avuto un motivo per non spifferare tutto e credere all'innocenza di Draco.- disse, riflettendo ad alta voce.Draco si ritrovò con la gola secca: aveva scordato che, in quanto ad acume, Blaise era secondo solo alla persona di cui stava parlando. Possibile che avesse capito che lei era andata da lui, durante la prigionia? Non poteva essere. Non temeva certo che i suoi amici lo scoprissero e accusassero di tradimento verso il suo sangue, quello no. Potter e Weasley di sicuro lo avrebbero massacrato, ma non era nemmeno questo a terrorizzarlo. Il fatto era che Draco non aveva ancora ben chiaro cosa diamine fosse successo, come aveva potuto cadere in tentazione proprio con lei, con la Granger, arrivando a desiderarla a tal punto. E, ancora più grave, l'attrazione che aveva sperato di sentir scemare fino a cessare una volta libero – in fondo, poteva essere stata la prigionia a trarlo in inganno, no? – si era invece ulteriormente amplificata, grazie ad affluenti quali gelosia, ossessione, rabbia e frustrazione.
Era ossessionato dal ricordo del loro bacio, geloso fino allo stremo di Potter e Weasley e della naturalezza con cui le stavano accanto, arrabbiato in modo indicibile con se stesso – per essersi invaghito di lei – e con la Granger che rinnegava l'accaduto, sfuggendolo. Frustrato, perché si sentiva incapace della solita lucidità solo a causa di quella.
- La Granger è intelligente, Zabini. Avrà capito che le prove contro Draco erano inesistenti e ha preferito indagare da sola, tenendo fuori quei disastri di Potter e Weasley, in modo da trovare il vero colpevole e aiutare la sua amica.- intervenne Theodor, seduto sul bordo del letto. Draco notò che non pronunciava il nome di Ginny, perché, probabilmente, gli procurava troppo dolore.Perso com'era nella sua crociata interna contro ciò che provava per la Granger, non si era accorto di quanto a fondo la Weasley fosse entrata dentro il suo amico. Possibile che nessuno riuscisse più a mantenere un barlume di lucidità e sanità mentale a Serpeverde?!
- Può anche essere.- ammise, intanto, Blaise, chiudendo l'armadio di Draco. – Ma quella lì nasconde qualcosa, lo sento.- aggiunse.
- Non cominciare, Zabini.- lo freddò Draco, incapace di zittirsi.L'amico gli rivolse un'occhiata che era tutta un programma. – I Grifondoro sanno qualcosa che noi non sappiamo. E, per quanto mi costi ammetterlo, abbiamo bisogno del loro aiuto se vogliamo aiutare Daphne.- disse.
- E la Weasley.- corresse Theodor, alzandosi.
- E la Weasley.- sospirò Zabini. Entrambi si voltarono a guardare Draco. – Cosa?- chiese questi, allarmato.
- Dobbiamo parlare col trio delle meraviglie.- fece Theodor, incrociando le braccia.Draco deglutì.







Le lezioni erano state sospese per tutti gli studenti e questi ultimi avevano occasione di lasciare le proprie Case solo ed esclusivamente durante i tre pasti principali, sempre scortati dagli Auror.
Convincere Harry e Ron della necessità di coinvolgere i Serpeverde nel tentativo di scoprire quale fosse la minaccia per il Mondo magico e chi avesse ridotto in quello stato Ginny e Daphne, si rivelò più difficile che eludere la sorveglianza del Dipartimento degli Auror e trovare un modo per parlare con Malfoy e la sua cricca lontano da orecchie indiscrete. I due Grifondoro, infatti, continuavano a ripetere, supportandosi l'un l'altro, quanto fosse irresponsabile e imprudente dare tanta fiducia a delle Serpi. Hermione trovò estremamente difficile sorvolare più e più volte su parole come "logica", "coerenza", "responsabilità", pronunciate da Harry e Ron, i due esseri viventi che meno rispecchiavano il concetto di "utilizzare il cervello". Facendo affidamento su tutta la sua lucidità mentale e sulle orazioni degne di Cicerone, la giovane Grifondoro riuscì a far capire ai due ragazzi che non c'era altra possibilità, se desideravano davvero salvare Ginny e rimanere ad Hogwarts. Chi meglio dei Serpeverde, infatti, poteva accertarsi della colpevolezza di Pansy?
Superato il primo scoglio, bisognava, adesso, trovare il modo di far incontrare il trio delle meraviglie con quello degli incubi e, per Hermione, affrontare il terrore che tutti le leggessero in faccia il senso di colpa e tradimento che provava alla sola presenza di Malfoy in una stanza.
L'occasione si presentò quando, a metà pranzo, un gruppetto di Corvi prese a mischiarsi tra le varie fila di tavoli delle altre Case per chiedere informazioni sul motivo della sospensione delle lezioni. Approfittando dell'improvviso brusio concitato che andava diffondendosi in Sala, che attirava l'attenzione degli Auror, Hermione si alzò, gettando il tovagliolo sul tavolo, e, scambiandosi un cenno di intesa con Harry e Ron, raggiunse a grandi falcate il tavolo delle Serpi. Praticamente nello stesso istante, Draco era stato spinto in piedi da Theodor e Zabini ed era quasi caduto sul tavolo.
Hermione, imbarazzata, tremante, ma stoicamente impassibile, alzò il mento, con più intraprendenza e indifferenza di quanto avesse creduto possibile.
- Zabini, Nott, Malfoy.- fece, a mo' di saluto, fermandosi alle spalle di Goyle che sussultò al suono della sua voce, stando bene attenta a non incontrare gli occhi del ragazzo in piedi.
- Granger.- salutò, educato, Nott.
- Hermione.- sorrise, amabile, Blaise, pronunciando quel nome per la prima volta nella sua vita – almeno in presenza della ragazza.Dopodiché, diede una bella gomitata al fianco di Draco, per niente velata o nascosta. – Draco ha qualcosa da dirti, guarda che coincidenza.- continuò.
Hermione, alzando le sopracciglia ironica, si sforzò di ignorare ulteriormente Draco, in virtù del fatto che Harry e Ron, con grande maestria, avevano girato intorno al tavolo dei Tassi per raggiungerla. Si fermarono alle sue spalle a braccia conserte e con uno sguardo per niente amichevole, ma, almeno, tacquero.
- Non hai bisogno della scorta, sai? Non abbiamo intensione di affatturarti.- si lasciò sfuggire Theodor, in uno schiocco di lingua.Harry e Ron, già carichi di tensione, si sporsero in avanti, pronti a ribattere. Hermione li fermò posando le mani sulle loro spalle.
La Grifondoro sorrise, inclinando di lato la testa, in una smorfia di dolce sadismo. – Non ho bisogno della scorta, sai?- imitò il tono fastidioso del Serpeverde, chinandosi appena verso di lui. – Nessuno di voi tre,- aggiunse, indicandoli uno per volta. – sarebbe in grado di affatturarmi. – sussurrò. Nott fece una smorfia, scambiandosi un'occhiataccia con Harry; Zabini sorrise, scuotendo appena la testa. – Somigli a Daphne.- commentò, incrociando le mani sotto il mento. – Ora capisco perché siete diventate amiche, Hermione.- aggiunse, strizzandole l'occhio. Al sentir pronunciare il nome di battesimo della loro favorita, Harry e Ron per poco non collassarono sul pavimento.
- Oh, lo prendo come un complimento, Blaise.- sorrise, squisita e finta, Hermione, calcando sul nome del ragazzo. Lui alzò le mani a mo' di resa, sorridendo.Draco, rimasto in silenzio durante tutto quel teatrino, si ritrovò infervorato dal fatto che lei non lo degnasse nemmeno di un'occhiata. E, poi, poteva vedere benissimo il fianco di San Potter sfiorarle la schiena, tanto le era vicino.
- Allora, Granger: - sputò, con entrambe la mani aperte sul tavolo. – si può sapere che vuoi?- fece, impetuoso e arrogante. Sentiva il bisogno di riversarle addosso la rabbia e la frustrazione che provava, il senso di fastidio che sentiva ad essere ignorato così blandamente.Gli occhi della ragazza scattarono nei suoi e, per quanto entrambi fossero perfettamente padroni delle proprie emozioni, l'uno non potè celare all'altra il nervosismo nascosta dietro quella calma apparente. – Parlare, Malfoy.- rispose lei e la sua voce suonò composta e fredda, gelida quanto il tono di lui poco prima.
- Cosa ti fa pensare che abbiamo qualcosa da dirci?- fece lui, senza rendersi conto di star portando il discorso su tutt'altro piano. Hermione, la cui presenza prepotente di Harry e Ron alle spalle serviva a tenerla coi piedi ben saldi per terra - nella sua vita – sorrise.
- E' quello che ha appena detto il tuo amico o sbaglio?- domandò, indicando con l'indice Zabini che, sotto di loro, li osservava con un sorrisetto mal celato. Draco, perso un istante nel sorriso di lei, aperto ma ironico, carico di quella insopportabile superiorità che la Granger ostentava in presenza di tutto il mondo, ghignò di rimando.
- Nessuno può parlare per me.- affermò, quasi piegandosi sul tavolo, verso di lei.Con il campo visivo invaso totalmente dai suoi occhi, Hermione fece un mezzo passo indietro, incerta: non si sentiva più sicura di se stessa, con lui troppo vicino e preferiva tenere una certa distanza, soprattutto in presenza di tanti testimoni.
- Dateci un taglio.- intervenne Theodor, totalmente estraneo alla discussione che i due stavano facendo interiormente, alzandosi.
- Granger, siamo tutti nella stessa situazione.- continuò il ragazzo moro, attirando su di sé lo sguardo castano della Grifondoro e sottraendolo a quello bramoso di Draco. – Abbiamo milioni di motivi per non fidarci l'uno dell'altro ma ne abbiamo almeno due per collaborare.- spiegò. Ron, alle spalle di Hermione, annuì in un sospiro. – Ha ragione. – disse, facendosi avanti. – Ginny e la Greengrass sono state colpite dalla stessa persona. Dobbiamo trovare il responsabile, prima che ci rispediscano a casa!- esclamò.Blaise e Draco si scambiarono uno sguardo allarmato. – Cosa? A casa?- fece il primo, adesso in piedi anche lui.
Harry, rimasto in disparte, annuì. – Sapete poco e niente di questa storia. – affermò, orgoglioso di essere, come sempre, colui che ne sapeva di più. – Non c'è solo ciò che è capitato a Ginny e la Greengrass: Hogwarts e il Mondo Magico sono in pericolo.- aggiunse.
Draco alzò un sopracciglio. – Ci risiamo, Potter: chi è che vuole farti la festa, stavolta?- sputò, scocciato.
- Idiota.-
- Attento a come parli!-
- Smettetela! Tutti e due!- intervenne Hermione, lanciando uno sguardo di fuoco ad entrambi. – Nel caso in cui ve ne foste dimenticati, avete entrambi due amiche in pericolo di vita! E, se ancora non bastasse, vi ricordo che la persona di cui tutti noi sospettiamo potrebbe essere proprio qui, in questo momento!- aggiunse, abbassando la voce e indicando con un'occhiata Pansy, seduta diversi metri più in là.Blaise osservò Hermione e poi Draco, scuotendo la testa e trattenendo un sorrisetto, gesto che non sfuggì ad Harry.
- Granger, dacci un taglio: non sei il nostro capo.- rispose Draco, incrociando le braccia e guadagnandosi una nuova occhiata rabbiosa.
- Hermione ne sa più di te, figlio di papà. Faresti bene a stare zitto e ascoltare.- intervenne Harry.
- Potter, non amo ripetermi: attento a come parli.-
- E' inutile, siete solo dei bambini.- commentò Hermione, scuotendo la testa, con le braccia conserte e un'espressione disgustata.
- Ma, Hermione...-
- No, Ronald. Niente "Ma, Hermione!"- saltò su la ragazza, facendo qualche passo indietro per scostarsi da tutti loro. – Tu ed Harry dovreste smetterla con gli insulti e ricordare il motivo per cui abbiamo deciso di collaborare con loro! – e, notando l'espressione divertita di Malfoy, aggiunse, rivolgendosi ai Serpeverde. – E' inutile che fai quel sorrisino, Malfoy! Tu dovresti smetterla di provocarli.- continuò, cercando di nascondere il tremore nella voce quando si rivolse a lui. – E così i tuoi compari.- indicò anche gli altri due ragazzi al tavolo. – Dato che non siete capaci di comportarvi da adulti, vi annuncio che io me ne chiamo fuori!- esclamò, lasciando tutti di sasso, con le medesime espressioni allibite. – Si, avete capito bene: continuate pure il gioco dell'ego, io farò da sola. Indagherò per conto mio e vi terrò fuori da qualsiasi decisione o scoperta.- concluse, guardandoli con sfida.Ovviamente i primi a riscuotersi furono Harry e Ron: non avrebbero mai permesso che lei si mettesse in pericolo, andando alla ricerca di quella cosa da sola. La raggiunsero, fermandosi di fronte a lei e sorridendo, bonari. – Andiamo, Hermione! Cercheremo di controllarci.- promisero, spintonandola un po'. Lei si arrese al loro sorriso, avendo ottenuto ciò che voleva: sapeva bene quali punti premere, nei cuori dei suoi miglior amici. – Però non arrabbiarti solo se ci offendiamo un po': è il minimo dovendo stare a stretto contatto con loro. – indicò Harry. Hermione annuì. – Basta che ne uscite tutti vivi.- sospirò.
I Serpeverde, rimasti in disparte ad osservarli, tacevano. Hermione si rivolse a loro. – Allora?- fece, interrogativa, come se stesse proponendo loro un prendere o lasciare.
Blaise, infastidito da quel modo di fare, era pronto a dirle in faccia che poteva convincere i suoi amichetti, lui non di certo, ma la mano di Theodor sulla sua spalla gli fece morire le parole in gola. – Anche noi ci impegneremo.- disse, a nome di tutti.
Hermione sorrise, vittoriosa. – Ma non promettiamo niente.- aggiunse Blaise, alzando il mento.
Il sorriso della ragazza si trasformò in una smorfia di fastidio. – Bene. Non credo di potermi aspettare di più da voi.- disse, in una stoccata perfetta al ragazzo biondo che la fissava carico di astio. La reazione, di fatti, non si fece attendere.
- Sbagli ancora, Granger.- sputò lui, assottigliando lo sguardo. – Non devi aspettarti assolutamente niente, da noi.- disse, in un sussurro carico di rabbia. Ancora una volta, fu chiaro a entrambi che si parlasse di tutt'altro.




La mia rivale bellissimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora