Capitolo 6~

347 51 139
                                    

- Ne è davvero sicuro?

La locanda era una baraonda di suoni e urla, balli su tavoli e canti di vecchi amici ubriachi. La notte si stava facendo sempre più buia, ma questo sembrava solo eccitare ancora di più la clientela, che continuava a bere e a festeggiare per chissà quale motivo.

- Ma certo, bella fanciulla! Hic! - l'uomo ubriaco davanti a lei strabuzzò gli occhi, colto da un altro singhiozzo improvviso. - È da un paio di giorni che hanno messo questa taglia su dei mocciosi – si volse verso di lei, sognante. - Così taaaanti soldi per due ragazzini indifesi – un risolino isterico lo interruppe, e sobbalzò di nuovo a causa del singhiozzo. - Chissà cosa gira per la testa ai nobili di questo Regno. Buttano al vento tanti di quei soldi come se fossero foglie. Ma sai che ti dico, bella signorina? Meglio per noi delle Gilde, frutteremo così tanto denaro per una quest facilissima! - gridò, per poi scoppiare a ridere.

Elvia lo guardò con uno sguardo misto di disgusto e compatimento, prima di fargli la domanda che più le premeva. - E che mi dice di Seynar, la città degli Urphel?

L'uomo le lanciò un'occhiata, poi scoppiò di nuovo a ridere. Non si rendeva conto di quello che stava facendo e dicendo, con tutto quel l'alcol in corpo. - Ma se ci hanno detto di sorvegliare tutte le strade principali che vanno in quella città! - poi si abbassò, facendo cenno alla ragazza di avvicinarsi, e si guardò intorno per poi sussurrarle: - Questi due mocciosi sembrano essere diretti proprio in quella città fondata da quegli strani esseri. Io li disprezzo, quegli stupidi animali mutaforma. Così pieni e sicuri di sé. Presto si pentiranno di aver anche solo messo piede nella nostra terra – il volto dell'uomo si era oscurato, nel nominare gli Asfer, ma poi si rimise a ridere.

Elvia, al contrario, era arrabbiata per come li aveva definiti quell'uomo. Come si permetteva di parlarne così male? Xerxes l'aveva avvertita, dicendole che non tutti apprezzavano la presenza degli Asfer. Ma, nonostante ciò, un sentimento di ribrezzo verso gli esseri umani aveva iniziato a crescere dentro di lei, a causa di poche e semplici parole di un uomo ubriaco. Scosse la testa, decisa a togliersi quel pensiero dalla mente: ognuno aveva vissuto esperienze diverse che ne avevano caratterizzato le scelte e la vita stessa. Non doveva arrabbiarsi per così poco.

Lanciò un'occhiata a Xerxes. Il ragazzo si trovava a un tavolo in fondo alla locanda, insieme a due uomini anziani, e aveva stranamente le spalle tese. Ma in quel momento non aveva tempo per pensarci; si sarebbero raccontati tutto più tardi.

La ragazza continuò a servire ai tavoli, con un accenno di preoccupazione sul viso a causa delle parole di quell'uomo che continuavano a risuonarle nella testa.

Presto si pentiranno di aver anche solo messo piede nella nostra terra.

Krir e Akemi la guardavano dal bancone, attenti ad ogni sua mossa, mentre l'omone lavava e riempiva i boccali. A nessuno dei due piaceva quella situazione: l'odore nauseabondo dell'alcol che faceva impazzire i loro sensi, le urla che si alzavano dai tavoli, e la leggera tensione che si sentiva nell'aria. Non era niente di buono.

- Ci hai pensato bene? - Akemi coprì le grosse orecchie con le zampe, quasi assordato da tutta quella confusione.

Krir volse il muso leggermente verso il Manfeel, per poi ritornare a guardare Elvia e, ogni tanto, anche Xerxes.

- Sì. Penso che sia la scelta migliore.

- Ho una missione da compiere, ricordatelo.

Krir guardò l'Allevatrice, i capelli che sembravano un fuoco, vivo e imperturbabile, gli occhi chiari che continuavano a guardare tutto quello che la circondava con un misto di gioia e sorpresa, il tatuaggio sulla sua spalla. - Anche io.

L'AllevatriceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora