Capitolo 45~

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Manuel quasi corse su per le scale, due gradini alla volta, la pila di fogli che vacillava pericolosamente tra le sue mani. Aveva impiegato più del previsto a sistemarli e non ci teneva proprio a dover ricominciare da capo, non dopo essere già in ritardo di un'ora. Rabbrividì quando pensò al professore e alla punizione che gli avrebbe inferto, ma non si lasciò distrarre troppo da quei pensieri, non quando aveva un'Allevatrice in carne ed ossa che lo attendeva a chissà quanti metri sottoterra.

- Quel vecchiaccio mi vuole morto – ansimò il ragazzo, il fiato corto dopo solo sette rampe di scale. In quelle settimane in cui non aveva fatto niente se non starsene chiuso nella sua stanza a revisionare ciò che si era appuntato, aveva trascurato il proprio corpo e ora ne pagava il prezzo. – Perché la Cupoletta...? – piagnucolò, i muscoli delle braccia che tremavano a causa dello sforzo.

Se il suo alloggio era collocato nei sotterranei, lontano da qualsiasi fonte di luce naturale, la Cupoletta era una piccola stanza accogliente che si trovava all'ultimo piano, illuminato per tutto l'arco della giornata dai raggi del sole. Solitamente, nessuno vi si recava proprio per evitare lo sforzo necessario a compiere tutte quelle scale; tuttavia, ogni tanto comparivano ospiti intrepidi che invece richiedevano di essere accolti proprio in essa.

Come se fosse un caso, si lamentò Manuel. Era certo che il professor Willmston fosse stufo di attendere la consegna, e quindi avesse già iniziato a punirlo.

- Ancora qualche scalino, ragazzo – lo incitò una voce maschile. Manuel alzò lo sguardo verso l'alto, ritrovandosi a qualche metro di distanza il volto di un uomo nel pieno dei suoi cinquanta. – Se ce l'ho fatta io, un giovanotto come te è in grado di fare qualche passo in più.

Manuel avrebbe voluto sbuffare, ma si trattenne quando notò la divisa che questi portava: i colori oro e verde campeggiavano, intersecati secondo un preciso motivo, simbolo della casata dei de Sar. Che il professor Willmston stesse trattenendo il Signore di quella città?

Eppure dovrebbe essere ancora troppo debilitato anche per solo lasciare le proprie stanze, constatò, compiendo le ultime faticosissime falcate che lo separavano dal soldato. Sul volto di quest'ultimo comparve un sorriso di compassione e il ragazzo fu certo che stesse deridendo le condizioni in cui verteva il suo fisico. Benché non fosse propenso alle armi, Manuel era comunque un giovane e, come tale, sentì nascere, inevitabile, un senso di imbarazzo misto a vergogna. Gli sembrò ancora avere su di sé gli sguardi spacconi che era solito ricevere da bambino quando, dopo un duello, finiva a terra in mezzo alla polvere.

Quei ricordi riuscivano sempre a metterlo di cattivo umore, nonostante il passare degli anni.

Il soldato dovette interpretare male il cipiglio che si era creato sul suo volto, e gli tirò una una pacca energica sulla spalla. Manuel quasi imprecò, cercando di non far finire sul pavimento di pietra i fogli, non adesso che aveva la meta proprio a pochi metri di distanza. Per quanto avesse studiato, non riusciva ancora a comprendere quella tendenza alle mani che i soldati acquisivano nel corso dell'addestramento. Era troppo se chiedeva di non essere malmenato ogni volta che incontrava uno di loro?

Il soldato sbuffò divertito di fronte a quello spettacolo e, con un cenno del capo, ordinò al compagno d'armi di guardia alla porta di lasciarlo passare. – Il nostro Signore ti attende insieme al professor Wilmston – lo informò, confermando qualcosa che il ragazzo aveva già intuito. – Non avere paura. Con lui basta essere educati e sei a posto.

Manuel annuì a quelle parole. Sì, aveva decisamente frainteso, ma gli sembrava fin troppa fatica dover dimostrare il contrario. Così si lasciò alle spalle i due soldati ed entrò all'interno del piccolo spazio che veniva da sempre soprannominato la Cupoletta.

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