10. Perdita di controllo

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Bryan è immobile da quasi un minuto

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Bryan è immobile da quasi un minuto. Le sue spalle si sollevano al ritmo dei profondi respiri che prende. Ha il capo chinato verso il basso e, dalla mia posizione, non riesco a incrociare i suoi occhi per capire se stia guardando o meno i tre uomini, però posso vedere bene le sue braccia protese verso gli aggressori, le dita delle mani stese.

La persona che prima mi ha spinta contro il muro è la prima ad avanzare, facendo cenno al proprietario dell’auto di rimanere dov’è, e si avvicina a passo deciso. Tuttavia, il maestro dell’anima ancora non si muove, molto più concentrato su qualcos’altro che non riesco a cogliere.

Il suo atteggiamento non è minaccioso. Sembra quasi in meditazione.

Un lieve brezza ci accarezza, facendo ondeggiare i suoi capelli, ed ecco che noto qualcosa, un movimento impercettibile dell’indice destro che traccia piccole circonferenze, proprio nella direzione da cui proviene il vento.

Un urlo mi distrae dei suoi movimenti. L’aggressore ormai è a pochi metri da Bryan e ha accelerato il passo, alzando la mano chiusa a pugno, ma il suo tentativo fallisce quando una folata, così forte da costringermi a tenermi alla parete, lo investe.

Il tutto è accaduto in contemporanea a un fluido movimento delle braccia di Bryan, che hanno tracciato una semicirconferenza, seguendo la direzione del vento, e poi sono state protese verso l’aggressore.

Basta poco per rallentare la corsa dell’uomo a tal punto da costringerlo a fermarsi e a pararsi il viso con l’avambraccio, mentre tutto si placa con la stessa velocità con cui è cominciato.

“Che diavolo?!” Il secondo aggressore si avvicina.

“Era un segnale divino” esordisce Bryan, comportandosi come se nulla fosse. “Dovremmo proprio smetterla con questa rissa, non credete?”

“Cuciti quella boccaccia” gli ringhia l’uomo che è stato investito dalla folata e il maestro scuote la testa.

Il suo amico, che ormai lo ha raggiunto, lo supera e si para davanti a Bryan in tutta la sua altezza. Ora che siamo prossimi alla strada principale e che l’illuminazione è migliore, posso studiarlo per bene. È molto più alto del mio coinquilino e ben piazzato, dai tratti vagamente asiatici, a causa dei piccoli occhi neri, tagliati a mandorla. “Amico, lascia perdere e vattene."

“Me ne vado” concorda il maestro e poi mi indica. “Ma me ne vado con lei.”

L’energumeno non aggiunge più niente e sferra un gancio, che Bryan evita chinandosi verso il basso e spostandosi alla sua sinistra, in modo da evitare anche il montante che è seguito al primo colpo.

Il fatto che ora il maestro dell’anima sia serio, oltre che pallido, nonostante non si stia sforzando per schivare gli attacchi, mi fa preoccupare.

A dispetto del vantaggio dell’altezza, l’uomo non riesce a stare dietro ai movimenti di Bryan e, ormai stanco, tenta il tutto per tutto lanciando un ultimo gancio con il braccio destro. Questa volta il mio coinquilino lo schiva indietreggiando con il busto e successivamente gli afferra il polso, mentre ancora l’arto è in movimento, e lo costringe a deviare la traiettoria del colpo, che va a impattare sulla sua stessa spalla sinistra. Si sente uno scricchiolio e poi l’energumeno lancia un urlo.

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