25. Nemici e alleati

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Raggiungere Claire, la madre di Pauline, passa in secondo piano

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Raggiungere Claire, la madre di Pauline, passa in secondo piano. Il mio corpo è congelato. Il solo tentare di muovere le dita delle mani o articolare delle parole mi risulta impossibile.

L’aggressore del pub è sorpreso quanto me, ma ciò non gli impedisce di fare la prima mossa. Fa un passo indietro, inserendosi nel mezzo di un gruppo di uomini, tra i quali non riconosco gli altri due che erano con lui quella sera. La vicinanza di altri inquisitori lo rassicura.

Il ragazzo che gli sta alla destra ha notato la sua reazione, oltre che la mia, e gli chiede cosa stia succedendo. Al che, l’inquisitore risponde con una smorfia simile a un ghigno, facendo qualche commento poco lusinghiero che non riesco a cogliere.

Il mondo è ovattato. Nonostante sappia di essere l’attrazione da circo di questa festa, mi sento più vulnerabile che mai. Il sospetto che, se lui cercasse di fare nuovamente qualcosa, nessuno verrebbe a fermarlo, si insinua nel mio corpo, facendomi tremare le gambe.

Mentre il mio aggressore ride di me, vorrei distogliere lo sguardo dalla sua mascella che si muove, da quegli occhi vuoti che mi considerano alla stregua di un oggetto. Tuttavia, scappare da lui non lo farebbe scomparire. Lo so bene. Allontanarmi di un passo o di cento metri non cambierebbe il fatto che lui si trovi in questa stanza, impunito, come se fosse una persona degna di essere definita tale.

Il sangue ricomincia a circolare e le mani riprendono calore, accompagnate da un forte prurito che la mia mente interpreta come un desiderio di colpirlo.

“Questa cagna poi ha…”

“Sta zitto, stronzo” gli intimo, puntandogli l’indice contro.

L’inquisitore ammutolisce per la sorpresa. Gli bastano pochi secondi per riprendersi e avvicinarmisi a tal punto che devo reclinare il busto all’indietro per non sbattere col viso contro la sua spalla. Nel farlo, mi accorgo di un cameriere a poca distanza. Lo stesso che prima osservava confuso la reazione degli invitati al nostro arrivo. Deve essere un umano normale, ignaro di tutto, a giudicare dal modo in cui sta reagendo al mio scontro verbale con l’aggressore del pub.
Sul vassoio che tiene in mano sono rimasti ancora un paio di bicchieri.

Di nuovo padrona del mio corpo, faccio un passo. Prendo uno dei calici e mi volto con l’intenzione di rovesciarne il contenuto addosso all’inquisitore, il braccio già proteso. L’aggressore capisce le mie intenzioni e prova a fermarmi, ma nel farlo il suo avambraccio impatta col bicchiere, frantumandolo. La manica gli si macchia, così come parte del mio vestito, ma il tessuto della camicia lo salva dalle schegge.
Sorpresi dalla svolta degli eventi, entrambi urliamo.

Il silenzio è di nuovo calato sulla sala, insieme all’ostilità. Il gruppo di uomini che circondava l’aggressore è pronto a ingaggiare un combattimento. Ci sono due inquisitori con i cristalli protesi verso di me, un altro con i pugni serrati alzati e un altro ancora che ha inserito la mano nella giacca, il che mi porta a pensare che non abbia solo un cristallo come arma.

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