21. Due accompagnatori

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“Non potete fregarmi

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“Non potete fregarmi.”

“Non lo volevamo fare” mormoro, mentre i brividi si quietano.

Erin si sistema sulla poltrona e mi osserva con calma, con una strana espressione di potenza che le illumina gli occhi verdastri, ora simili a due pozzi neri. Sorrido, sperando che lei faccia lo stesso. Quando non ha la sua solita espressione giocosa non sembra lei.

“Tra il non volere e l’agire ignorando il buonsenso c’è un abisso.” Alza le spalle. “Hai programmi per Natale, bambina?”

“Non ancora.” Mentirle mi viene istintivo. L’averla trovata nella stanza mi ha stordita.

Ed ecco che il sorriso le nasce improvvisamente tra le labbra, come un lampo in un cielo limpido, che mi fa socchiudere gli occhi per non rimanere accecata. “Allora sarai felice di sapere che lo passeremo insieme.”

“Eh?” È il momento di gettare la maschera. “In verità… penso andrò a una festa coi miei. L’ho saputo oggi. È una buona opportunità per incontrare Pauline.”

Annuisce. “Non pensavo si sarebbe mosso così in fretta. La festa sarà un’ottima opportunità per riallacciare i rapporti generali, compresi quelli con la tua amica. L’unico problema è la messa di Natale, non penso ci faranno assistere.”

“Perché?”

“Ovvio! Siamo maestri, noi, e dei bravi inquisitori non ci permetterebbero mai di…”

“No. Perché continui a parlare al plurale?”

Inclina la testa. “Sei andata a trovare tuo padre?” Annuisco con esitazione. “Come fai a non saperlo allora…” Lascia la frase in sospeso e si chiude nelle sue contorte meditazioni.

“Cosa non so?”

“Che i tuoi genitori non andranno alla festa… ma non perché qualcuno di noi abbia fatto qualcosa.” Si affretta ad aggiungere. “Il signor Byrne ha chiamato Nathan e ha declinato l’invito a causa di un malanno. Se non mi credi, prova pure” mi sprona, indicando la tasca dove tengo il cellulare.

In meno di tre secondi il piccolo oggetto elettronico comincia a ronzare, accompagnato dal ghigno di sfida di Erin, che non lascia la più piccola ombra di dubbio riguardo la sua affermazione. Se fossi entrata dentro casa, invece di limitarmi a osservarli da quello spiraglio, avrei sentito la loro conversazione e non mi sarei ritrovata impreparata.

“Papà, come stai?” È più un’accusa che una domanda.

“Stai diventando asfissiante come tua madre?” Anche se non posso vederlo sono certa che si stia allontanando dalla cucina dove mia madre starà preparando la cena, in modo da non essere sentito. “Ho una leggera… sì, una leggera ricaduta. L’influenza non perdona.”

“Cosa ne pensa mamma?”

“Che sono in punto di morte, come la volta in cui mi tagliai un dito, quella in cui ho starnutito troppe volte… come sempre, insomma.”

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