Capitolo Sedici.

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Sono pronto finalmente per dirglielo, ma lui è pronto per ascoltarmi?
È passato qualche giorno dalla visita di Lindsey e per la cronaca, ho cercato di chiudere ogni rapporto con lei; ho ignorato le sue chiamate e a scuola le sto lontano, non ne vale la pena averla attorno.
A proposito di ignorare. Frank non è più venuto a scuola e la cosa mi preoccupa parecchio, non lo vedo da quel giorno e non ce la faccio più, mi manca terribilmente. Non riesco più a stare seduto dietro a questo banco, il nostro banco, ad ascoltare questa vecchia che parla. È stato questo il posto in cui ci siamo incontrati per la prima volta, in modo piuttosto bizzarro aggiungerei. Anche se a dire il vero io l'avevo notato in precedenza.

Dopo quelle che sembrarono ore, la campanella che segnava la fine delle lezioni suonò e mi precipitai fuori dall'aula, andando persino a sbattere contro alcune persone, ma non me ne curai più di tanto, borbottai dei semplici "scusa", ero troppo impegnato a pensare a cosa avrei detto a Frank quando l'avrei visto.

Erano le cinque quando uscì di casa per andare a quella di lui, ero a metà strada mentre la consapevolezza di ciò che stavo andando a fare, insieme a una strana sensazione invadero il mio corpo. Non mi ero mai sentito così in ansia per una persona. Le ginocchia mi tremavano leggermente e le mani mi sudavano, facevo fatica a tenere il passo svelto, ma il pensiero di poter sistemare le cose con lui mo dava il coraggio per continuare.

Arrivai alla porta di casa sua ma sembrava non esserci nessuno a caso, o forse lui era dentro e mi stava completamente ignorando. Suonai ancora un paio di volte il campanello ma non ricevetti alcuna risposta, non avevo intenzione di andarmene però, ero andato là per parlargli e non me ne sarei senza averlo fatto.
Aspettai per parecchio tempo fuori da casa sua, stava diventando buio ormai e le mie speranze di poterci parlare quel giorno si affievolirono, mi sentivo abbattuto. Era questa la fine della nostra storia? Lui che mi odiava e io che mi porto questo peso addosso?
Ero quasi deciso ad andarmene ormai, quando vidi delle luci provenienti da una macchina e solo in quel momento mi accorsi che si era fatto completamente buio: ma quanto tempo sono stato qua? Sicuramente quando sarei tornato a casa mia madre avrebbe avuto da dire su questa cosa, ma al momento è l'ultimo dei miei pensieri.
La macchina parcheggiò nel vialetto e da essa un Frank, dalla testa bassa coperta dal cappuccio della felpa nera che indossava, scese seguito da una donna che si affrettò ad andare vicino a lui per aiutarlo, probabilmente si trattava della madre.
Mi alzai mentre loro si avvicinavano alla porta di casa, e quindi a me. Frank alzò lo sguardo e rimase a fissarmi per qualche secondo, aveva il volto pallido e sembrava non essere molto in forma. Mi dovetti trattenere dall'abbracciarlo e chiedergli se andava tutto bene, di prendermi cura di lui.
-Oh ciao, non mi sembra di averti mai visto. Sei..? - parlò la donna quando si accorse della mia presenza.
-Sono Gerard, salve. Un..em..un amico di Frank - Sforzai un sorriso - Frank possiamo parlare un secondo? - chiesi rivolgendomi a lui che fece per dire qualcosa ma fu interrotto dalla madre.
-Scusa, Gerard, ma non mi sembra il caso. Frank è appena uscito dall'ospedale e deve riposare.
Sentì il cuore sobbalzare nel petto quando menzionò l'ospedale.
-No, va bene mamma. Ci metterò solo qualche minuto ed è importante - la rassicurò lui.
La donna sospirò - D'accordo, ma fate in fretta, per favore - Si raccomandò lei, mi rivolse un sorriso e si congedò entrando in casa.
Ci fu qualche momento di imbarazzante silenzio.
-Allora? - Iniziò lui - Non ho tutta la serata e non sono sicuramente rimasto qua fuori per fissarti.
-Perché eri all'ospedale? - chiesi premuroso, cercando di avvicinarmi a lui che fece un passo indietro all'istante.
-Affari miei. - Alzò gli occhi al cielo - Tutto qua? - Iniziò ad avvicinarsi a casa.
-No! - lo fermai prendendolo per un braccio e lo avvicinai a me, forse un po' troppo bruscamente. Mi accorsi quanto al mio corpo era mancato il contatto con il suo. I suoi muscoli, contratti, si rilassarono dopo pochi istanti. -Ti prego, lascia che ti spieghi cosa è veramente successo quel giorno a casa mia. -
Lui tirò via il suo braccio dalla mia presa. - Non sono affari miei quello che tu fai con la tua ragazza. - Sospirai e anche lui. - Vattene ora, devo rientrare.
Senza aggiungere io, Gerard il codardo che non sa mai cosa dire, mi girai ed iniziai a camminare.
-Gerard! - Lo sentì chiamare il mio nome e, stupidamenre, un barlume di speranza si accese dentro di me. Mi girai a guardarlo. - Quando staró meglio, - Prese un lungo respiro. - passerò a riprendermi la chitarra. - Detto questo entrò a casa sua, e quel poco di speranza svanì, buttandomi in faccia la realtà che mi arrivo come uno schiaffo.
Tornai a casa e dovetti subire il terzo grado di mia madre, ma quando capirà che non ho più dodici anni e che mi so prendere cura di me stesso.

I giorni senza vedere Frank sembravano non passare mai. Ogni giorno pregavo perché venisse a riprendersi la chitarra, ma al tempo stesso speravo non succedesse. Avevo paura che sarebbe stata l'ultima volta che l'avrei visto.
Ogni volta che suonavano al campanello avevo un po' di speranze. Questa volta non andò diversamente.
Aprì la porta e lo vidi lì, sembrava stare meglio rispetto all'ultima volta. Non era più pallido e non dava più l'impressione che ti potesse svenire davanti da un momento all'altro.
-Ciao. - Lo salutai, come risposta ottenni un semplice cenno del capo. Sospirai. - La chitarra sta di sopra, in camera mia. Seguimi. - Lui semplicemente annuii.
Salimmo le scale in silenzio religioso ed entrammo in camera mia. Fece per avvicinarsi alla chitarra poggiata al muro, ma lo fermai e lo trascinai verso di me, lo intrappolai tra le mie braccia e gli accarezzai il viso. I nostri sguardi si scontrarono e, per la prima volta, vidi in lui uno sguardo privo di sentimento alcuno. I suoi erano sempre stati vivaci, avevano una luce particolare, non ostante tutto. Quella volta era diverso e mi sentii sprofondare al pensiero che la colpa potesse essere mia.
-Frank...- sussurrai vicino al suo volto. Volevo baciarlo, avevo bisogno cheble sue labbra fossero mie di nuovo. - Ti prego. - Aggiunsi con solo un filo di voce. Mise una mano sul mio petto e mi spinse via. Si affrettò a prendere la sua chitarra e se ne andò dalla camera sbattendo la porta.
Questa volta però gli corsi dietro. - FRANK! ASCOLTAMI... per favore. - lo raggiunsi e lui si fermò.
-Perché dovrei?
-Perché io ti amo! Ti amo Frank Iero. Sei arruvato tu e hai distrutto tutto ciò in cui credevo e mi hai fatto innamorare, e non posso, non voglio.. io non riesco a vivere senza di te. Io ti amo!
Le lacrime iniziarono a rigargli il volto, e anche a me. Si allontanò da me bruscamente.
Fu solo in quell'istante della mia vita che capì veramente cosa significasse avere il cuore spezzato, e faceva talmente tanto male da sentire il dolore fisico lacerarmi il petto.
-Tieniti il tuo amore per te, Gerard.

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