I NEED YOU

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Erano diverse ore che la cercava, nel cuore della notte, ma per lei avrebbe fatto questo ed altro.
Aveva girato quasi tutta Parigi, tralasciando le strade più affollate che, conoscendola, sicuramente non aveva attraversato.
Era partito con l'intenzione di trovarla, riportarla a casa e chiederle scusa, per averle nascosto una simile informazione, ma soprattutto per averla delusa. Adesso però, iniziava a credere di non ritrovarla più, in una città tanto grande quanto pericolosa. Eppure continuava a sperare, perché la speranza è l'ultima a morire. Poi iniziò a pensare a cosa le avrebbe detto, una volta ritrovata, come l'avrebbe convinta a tornare a casa, e cosa lei gli avrebbe risposto. Erano circa le 4 del mattino, ed i suoi occhi si fecero piccoli e stanchi, finché non si ritrovò a vagare per una stradina buia e nascosta. D'un tratto, però, in lontananza scorse delle ombre che, man mano che si avvicinava, sembravano parlare molto animatamente. Una voce gli giunse famigliare. Ma certo, era il direttore Vance, quello squallido direttore!
Vance: "Perché mi hai fatto venire fino a Parigi?"
Poi riconobbe anche l'altra. Non si scorda la voce di un bastardo!
Ari: "Dovevo convincere una persona ad unirsi al nostro progetto"
Progetto? Ma di cosa stava parlando? E perché ha chiamato proprio Vance? Ziva aveva ragione, questa è una storia che va avanti da molto più tempo di quanto potessero solo immaginare. Quello che però continuava a chiedersi era come fosse possibile che Ari e Rivkin fossero ancora vivi dopo che l'uno era morto per opera della sua Ninja, e l'altro era morto sotto i suoi occhi.
Improvvisamente gli tornò in mente quello sguardo incredulo che aveva la sua amata quando entrando in casa vide Rivkin steso per terra e lui che gli puntava la pistola. Era lo stesso che le irruppe sul volto qualche ora prima, scoprendo che proprio lui le aveva mentito. Doveva trovarla, e chiederle scusa per tutte quelle volte in cui l'aveva ferita, per tutte quelle volte in cui le aveva nascosto qualcosa o l'aveva giudicata, per quella volta che era convinto di combattere per lei, quando invece era lei a combattere per lui.
Le ultime parole che sentì provenire dai due uomini, a pochi metri da lui, prima di ripartire furono
Ari: "Domani ci aspettano a Berlino"
Era convinto più che mai. Non sapeva se l'avrebbe perdonato, ma su una cosa era certo. Lui l'avrebbe protetta e avrebbe combattuto i fantasmi del suo passato, al suo fianco.
Non sapeva dove andare, e la stanchezza si faceva sentire, quando un lampo illuminò quella notte limpida. Seguirono altri due subito dopo. Poi una pausa e ripresero... Non erano lampi! Qualcuno stava chiedendo aiuto, qualcuno che disponeva di un oggetto catarifrangente come uno specchio, un diadema... Un coltello!

Gibbs aveva coperto la sua bambina, la sua piccola Ziva infreddolita, con la sua giacca. Non voleva farle male, e se non fosse stato per questo, probabilmente le avrebbe tirato uno scappellotto. Erano entrambi seduti per terra, appoggiati ad un albero. Ziva era ancora molto confusa dalla caduta, e non riusciva ancora a distinguere se tutto questo fosse un sogno oppure no.
Abby aveva trascinato McGee con lei a fare un giro di perlustrazione per essere pronti quando Tony sarebbe arrivato, e, secondo il suo piano, avrebbe salvato la sua donna da una triste fine... O almeno così gli avrebbe fatto credere.
Gibbs, invece, sembrava molto preoccupato, ma dato tutto quello che era successo, le risultava difficile capire perché; L'unica cosa certa era che dietro tutto questo c'era proprio lei.
Ziva: "Scusami papà" disse con un filo di voce, roca, mentre le labbra le tremavano
Gibbs si girò di scatto. L'aveva chiamato papà... Che avesse preso una botta in testa? O forse quello stato di confusione e stanchezza l'aveva portata a lasciarsi andare, a sentirsi libera, a non pensare razionalmente, ma con il cuore. Tutto quello che voleva fare adesso, vedendola così indifesa, in quello stato, era abbracciarla, ma lui era Leroy Jethro Gibbs, il capo, e doveva mantenere quel suo ruolo e quel suo carattere distaccato, così si limitò a parlarle con affetto.
Gibbs: "E con questa sono tre regole che infrangi... Numero tre: essere sempre reperibili, numero sei: mai chiedere scusa, e numero dod..."
Abby: "Sta arrivando, forza! Gibbs... Non le hai dato il Caf-Pow perché fosse più sveglia, vero? Tony deve trovarla come uno straccio... Hai sentito Ducky, no? Anche se è congelata, abbiamo 3 ore di tempo per agire... E poi probabilmente, domattina non ricorderà nulla dopo la caduta, le semb..."
Gibbs: "Abby! Prendi la mia giacca e andiamo" la interruppe sorridendo.

Ziva, ancora scombussolata, non riusciva proprio a capire cosa stesse succedendo, ma d'un tratto quando si vide comparire davanti l'uomo che amava, il cuore iniziò a battere più velocemente, i respiri si fecero più affannosi, e cominciò aragionare. Era sempre così, prima il buio totale, poi arrivava lui e tutto si faceva chiaro e semplice: lo amava.
Tony: "Ziva che ti è successo?" chiese ansioso di sapere, mentre le si avvicinava per prenderla e portarla in macchina.
Ziva: "Sto bene..." rispose tentando di alzarsi sulle sue gambe, appoggiata all'albero.
Quando però fece il primo passo, spostando il peso sulla gamba ferita, questa crollò, facendo cadere la ragazza fra le braccia di Tony.
Tony: "Sicura?" chiese sorridendole
Ziva: "Sono solo caduta dalla moto. Non ho bisogno di te"
Non voleva sembrare vulnerabile, non di fronte a lui, non dopo quello che era appena successo, non dopo che l'aveva vista essere debole e farsi sottomettere da un avvelenamento.  Stava mentendo spudoratamente, a lui ed a se stessa. Aveva bisogno di Tony, più dell'aria per respirare.
Tony: "E allora perché sei ancora fra le mie braccia?" fece sarcastico "Andiamo, ti porto in ospedale" disse avvolgendosi il collo con un suo braccio e sollevandola da terra.
Ziva: "Fammi scendere Tony! E non c'è bisogno che mi porti in ospedale, te l'ho detto, sto bene."
Quando l'aveva sollevata, per un attimo le era mancata l'aria, non se l'aspettava, e non riusciva a reagire... Non voleva.
Tony: "Ci saranno come minimo 30° e tu sei più fredda di un ghiacciolo, e non ti reggi nemmeno in piedi!"
Le punte delle sue orecchie arrossirono, e lei sperò con tutta se stessa che Tony non se ne accorgesse,
Ziva: "Tony non ce n'è bisogno. Ti prego, portami a casa"
Tony: "Come vuoi mia ninja!"

Appena la mise in macchina, Ziva iniziò a riprendere il suo normale colorito. Quel bosco le metteva i brividi... In tutti i sensi, e quando fu finalmente in auto, si sentì al sicuro, sotto lo sguardo attento di Tony.
Il ragazzo intanto pensava a come fosse potuto succedere. Perché la sua Ziva era caduta dalla moto? E se l'avesse voluto lei? No! Non era così! Non poteva essere così! Poi raccolse tutto il suo coraggio, e senza distogliere gli occhi dalla strada iniziò a parlarle.
Tony: "Ziva, volevo chiederti scusa per come mi sono comportato... Avrei dovuto dirtelo, e se non l'ho fatto è perché ti..."
Si voltò, ma quando la vide, aveva già preso sonno. Dormiva come un angioletto, tenero e indifeso, che vuole sembrare forte e vigoroso. Finalmente dopo tanto tempo la vedeva dormire serena, tranquilla, felice.
Le appoggiò delicatamente una mano sulla gamba, e la guardò con tutto l'amore che un uomo può provare per una donna.
Quando finalmente giunsero a casa, cercando di non svegliarla, la prese imbraccio appoggiandosi la testa tra il suo braccio ed il suo petto, come già aveva fatto qualche sera prima. Quanto l'amava. Amava il suo sorriso, i suoi occhi, i suoi capelli, le sue orecchie che diventavano rosse quando si sentiva in imbarazzo, amava sentire il suo cuoricino che batteva sul suo petto, amava tutto di lei, e quel bacio di poche ore prima gli si era impresso nella mente come un sogno bellissimo. Un sogno reale.

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