Capitolo 16

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Pov Ian

< Allora come ti senti? > Mi domanda Sam, non appena usciamo dall'ospedale. Due piccole rughe si sono formate tra le sopracciglia, sfiorandole a pena e il suo naso è arricciato, la sua tipica espressione preoccupata. La sento sospirare. Chiudo gli occhi, cercando di reprimere il leggero dolore ancora persistente. È come se un piccolissimo essere martellasse incessantemente la superficie dell'osso.  Osservo la stretta fascia di cotone blu che ricopre il mio braccio, finalmente ho tolto quel cavolo di gesso ingombrante. Era impossibile vivere con quel coso che bloccava ogni mia mossa, per non parlare poi dell'odore. Devo ammettere però che grazie all'aiuto della mia sorellina, queste settimane sono passate molto più velocemente di come avrei immaginato. Appena mi avvolsero il braccio con il gesso, la prima cosa che pensai fu a come avrei fatto ad andare a lavoro, due settimane di convalescenza era fin troppo per le nostre condizioni economiche, ma mi rincuorai subito, non appena la telefonata del mio dirigente arrivò, informandomi che grazie al mio duro lavoro mi sarei meritato due settimane di ferie pagate. Beh, meglio di niente, almeno avevamo due settimane coperte, poi c'era anche il lavoro di Sam, che per quanto potesse essere precaria la sua paga, ci avrebbe permesso di andare avanti per altre due settimane. Poi la seconda preoccupazione fu un po' più personale. Solo il pensiero di passare tutto quel tempo senza sesso si prospettava alquanto duro, tutto questo perché Nina si era messa intesta che il mio braccio ne avrebbe risentito altrimenti, non riuscivo a muoverlo dal dolore e quindi lei si sarebbe mortificata se fosse successo un "imprevisto". Per fortuna che la sua presenza e quella di Sam sono riuscite a farmi distrarre da quel lungo, periodo di convalescenza.  Forse me ne sono anche approfittato un po', ma ehi, ero pur sempre malato. Il braccio non mi fa quasi più male, il dottore ha detto che dovrò stare così per un mesetto, ma posso già usarlo, senza ovviamente sforzarlo troppo. Questo è il miglior modo di fare riabilitazione, così mi ha detto il Dr Bauer, un medico sulla sessantina, alto e dal fisico asciutto, con un evidente accento tedesco. Arrivò dalla Germania circa vent'anni fa e d'allora divenne il medico fidato degli Wood, la mia famiglia.  Stringo i denti, rimasti scoperti a causa del grande sorriso dipinto sulle mie labbra, sono così eccitato all'idea di poter andare da altre parti che non siano casa o l'ospedale. Si, proprio così, in un mese non sono riuscito a mettere piede fuori casa, a causa di quelle donne, per i miei gusti troppo apprensive.

Annuisco distratto, ricordando vagamente la domanda fattami da Sam pochi secondi prima, per poi accennargli un leggero sorriso, cercando di convincerla. Con un'ampia falcata, poggio il piede oltre la linea di confine dell'ospedale, passando per il piccolo cancelletto verde, un po' arrugginito, accanto a quello dei veicoli. Lascio sfuggire un piccolo sospiro, ormai è passato un po' di tempo dall'incidente, ma quelle brutte sensazioni si fanno ancora sentire sulla mia pelle. Il volante grigio piombo della mia auto, il camion pericolosamente vicino, poi buio totale, interrotto dalla luce accecante e fredda della grande lampada della sala operatoria che dondolava, proprio sopra la mia testa, a un metro di distanza. Un brivido di terrore vaga lungo la linea della mia spina dorsale, ma è subito bloccato dalla piccola mano di Sam, che dolcemente mi accarezza la schiena, mentre con l'altra, fa una lieve pressione sulla spalla destra, incitandomi ad avanzare. Probabilmente si è accorta della mia tensione. La osservo con la coda dell'occhio, un rivolo di sudore bagna la sua fronte, rendendola luccicante ai raggi del sole, sorrido, è così bella, mi sembra ieri di vederla bambina, ancora con quelle graziose scarpette nere lucide che tanto amava e con i suoi piccoli jeans, era così orgogliosa di indossarli, perché in questo modo si sentiva più grande. Usciamo dal cancello principale che porta al grande cortile dietro l'ospedale. Osservo attentamente il marciapiede, contornato da una lunga fila di macchine parcheggiate, i miei occhi guizzano, cercando quasi con disperazione il suo volto. È lì, ed è bellissima. Una ragazza longilinea dai capelli lisci e il profilo perfetto, ci sta aspettando a circa cento metri di distanza. Posso notare la sua pelle ambrata essere colpita da alcuni raggi di sole che riescono a passare tra il fitto fogliame del grande albero che s'innalza sopra di lei. Una leggera brezza calda sposta alcune ciocche della sua chioma castana, scoprendo il suo viso dolce e regolare, accarezzato da quella luce proveniente dal cielo. Sospiro, geloso di questi ultimi, dovrei essere io a infilare le mie dita tra i suoi capelli di seta per spostarglieli dal viso, doveri essere io a passare le mie labbra sulla sua pelle così morbida e calda, accarezzando il suo zigomo destro, proprio quello che ora viene baciato dal sole. Incredibile, sono davvero geloso della luce e del vento? Forse sono gli effetti degli antidolorifici, che mi stanno facendo dei brutti scherzi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 04, 2015 ⏰

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