L'uomo rosso- parte 2

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Ho fatto il turno di notte la sera scorsa, e sono esausto. Comunque, noto spesso che il mio tempo libero si riempie di pensieri dalla mia specializzazione in psichiatria. Vi ho già raccontato parte di questo, e penso che approfondirò un po' la cosa. È stato tutto riportato dalle news e dai giornali, non ricordate? Penso comunque che non guasterebbe raccontarlo ancora.

La polizia arrivò rapidamente, e parlai loro rantolando di tutto l'accaduto.

Diedi loro la nota che Jane diede a me. La lessero tutti, passandosela tra di loro. Il mio caporeparto arrivò, fingendo che Jane fosse una sua paziente. Lasciai con piacere che si riprendesse il caso. La polizia entrò ed esaminò Jane. Uno di loro, un ragazzo grosso, burbero, indossava un cartellino di riconoscimento sul quale si leggeva JORDAN.

Jordan spinse il mio caporeparto e me fuori nel corridoio, non volendo che Jane ci sentisse. "Questa ragazza è palesemente molto malata", disse, accennando allo spesso vetro che gli stava dietro.

L'altro agente stava girando attorno al letto di Jane nella stanza. Lo osservai da vicino quando Jordan entrò. "So che questo non è territorio familiare per voi in quanto dottori, ma essendo nelle forze dell'ordine, vedo cose del genere di continuo. È solo una qualche ragazza senzatetto in cerca di attenzioni. È tutto." Il mio capo e Jordan si incamminarono fuori insieme attraverso il corridoio, parlando tranquillamente.

Ma io non stavo ascoltando.

L'altro agente era inginocchiato accanto al letto di Jane. Le sue labbra si muovevano molto velocemente, gli occhi chiusi. Come se stesse pregando. La testa di Jane era tesa di lato. Stava cercando di allontanarsi dall'uomo. Mi si rizzarono i peli del collo. Qualcosa sembrava non essere in ordine. Girai l'angolo, aprii la porta, ed entrai nella stanza. L'altro agente se n'era andato.

L'altra porta della stanza si chiuse gentilmente. Controllai le pulsazioni di Jane per accertarmi che la sua situazione fosse stabile, poi mi incamminai verso l'altra porta. Immediatamente, il mio piede colpì qualcosa. Mi piegai e raccolsi i pezzi di una divisa della polizia abbandonata. Il mio cuore batteva all'impazzata. Chiamai la sicurezza.

Arrivarono.

Raccontai loro quanto avevo visto, poi mostrai loro le parti dell'uniforme che stavo stringendo. Jordan tornò, ascoltò la mia spiegazione, e ne rimase sconcertato. Dopo una ricerca dentro l'ospedale, Jordan se ne andò. Era un "problema esterno", ci disse. Mi sentii a disagio e chiesi di essere sollevato dal caso. Il mio capo rifiutò, dicendo che non era niente. Presto, Jane sarebbe stata trasferita in un istituto in un'area più urbana, e il suo caso non sarebbe più stato nelle nostre mani. Guardai quella povera ragazza. Il suo petto si alzava e abbassava rapidamente.

Mi sedetti accanto a lei quella notte, parlandole. I suoi occhi rimasero aperti e vuoti. Lessi di nuovo la nota, lo stomaco in subbuglio ogni volta. Probabilmente mi addormentai, perché l'unica cosa che ricordo essere accaduta subito dopo è l'aver sentito una mano sfiorarmi la guancia. Iniziai a svegliarmi, incontrando con lo sguardo un paio di occhi luminosi. La stanza era completamente buia; i monitor erano spenti, le tende erano chiuse. C'eravamo solo io e quegli occhi. I suoi occhi. Jane stava strofinando gentilmente la mia guancia, come se fossi il suo animale domestico; qualcosa di estraneo a lei. "Jane," mormorai, mandando giù il senso di disagio che mi saliva in gola. Sentii le sue dita ruvide tracciare i contorni del mio viso, per poi fermarsi sotto il mio mento. Nell'oscurità, potevo solo vedere lo scintillio dei suoi occhi. Sapevo che stavano brillando, e sapevo che poteva vedermi chiaramente.

Poi le sue unghie iniziarono lentamente a scavare nella mia guancia. Il suo respiro si fece più veloce. "È stato qui oggi", sussurrò. Avevo paura che avrebbe iniziato a prelevare sangue. Trasalii. "Sa dove sono. Tu sei il prossimo." La sua voce era profonda e nodosa, come quella di una vecchia donna che fuma sei pacchetti di sigarette al giorno.

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