ricordo perduto

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Un portiere li accolse nel palazzo e presero l'ascensore fino al tredicesimo piano. L'appartamento di Fujimoto era di gran lusso, un perfetto bilanciamento fra la morbida eleganza giapponese e lo stile minimalista occidentale. L'appartamento era strategicamente illuminato da gruppi di tozze candele al bergamotto che creavano ombre sfuggenti e gettavano effimeri ventagli di luce ambrata sui muri e sugli oggetti. Dopo un corridoio, Webe ed Ernest arrivarono in una sala ampia. La luce della skyline di Manhattan penetrava la grande vetrata e si rifletteva sui volti della decina di persone sedute sui tatami a piedi nudi e sugli occhiali del professor Fujimoto.

<<Benvenuto, Webe-san>> disse, la voce sottile come un giunco. <<E benvenuto al tuo amico.>>

Ernest si sedette con gli altri, l'emozione che quasi gli impediva di trovare una posizione comoda. Gli altri sedevano in silenzio, avvolti nell'ombra. Non c'erano candele in quella stanza e la sola luce, tenue e azzurrata, veniva dall'esterno, come da un altro mondo.

Fujimoto era un giapponese sulla sessantina, minuscolo, secco. Indossava un kimono semplice di colore scuro.

<<La tematica della seduta di questa sera sarà la paura>> esordì nel suo inglese privo di accento. <<Grazie all'ipnosi risveglierò il ricordo più spaventoso che serbate nella memoria. Tu>> - si volse a guardare Ernest, che trasalì - <<sarai il primo. Prendi posto di fronte a me, prego.>>

Ernest lanciò a Webe uno sguardo ansioso e l'amico lo incoraggiò con un cenno del capo, così fece come gli era stato detto. Intanto, Fujimoto aveva estratto dalle pieghe del suo kimono un ciondolo di bronzo agganciato a una catenella. Lo fece oscillare di fronte al viso di Ernest, che ne seguiva il movimento con gli occhi.

<<Ascolta la mia voce. Esiste solo quella, adesso. Il tuo corpo è appesantito. La tua mente rallentata. Hai sonno. Vuoi solo dormire.>>

Ernest si sentì come invaso da una droga soporifera. Le parole di Fujimoto gli riecheggiavano nel cranio. Si stava addormentando.

<<Ora sei In un corridoio e In fondo c'è una porta. Quella è la porta della memoria. Ora, tu avanzi nel corridoio e apri la porta.>>

Ernest allungò un braccio In avanti e fece il movimento di abbassare una maniglia.

<<Oltre la porta c'è il tuo ricordo più terrificante>> mormorò il professore con voce atona, spettrale. <<Rivela dove sei.>>

Ernest parlò con tono appesantito. <<Sono nella mia cameretta>>

<<Quanti anni hai?>>

<<Ho cinque anni>>

<<Che ora è?>>

<<È notte. È tutto buio.>>

<<Descrivi ciò che vedi>>

<<Vedo poco e quel che vedo è verde. C'è un lumino notturno vicino al mio letto e la sua luce è verde. C'è il tavolino di plastica dove disegno; il baule dove tengo i giocattoli; la libreria; l'armadio>> La voce di Ernest tremula. <<E c'è lui.>>

I presenti si scambiano lunghe occhiate.

<<Non sei da solo?>> chiese Fujimoto.

<<No>> gemette Ernest, le mani strette alle ginocchia, teso. <<No, lui arriva sempre, come ogni notte. Sta fra l'armadio e il muro, dove la luce non riesce ad arrivare. Mi fissa>>

<<Chi è?>>

<<Non lo so>>

<<Fa parte della tua famiglia?>>

<<No. Non è una persona.>> Un singhiozzo querulo. <<Non è umano.>>

Altri sguardi perplessi. Fujimoto fissava il volto contratto e sofferente di Ernest senza mostrare emozione.

<<Descrivilo>> ordinò.

<<Non lo vedo bene, sta nell'angolo e non si muove. Ho paura di guardarlo. Tengo gli occhi chiusi e ogni tanto sbircio per vedere se è ancora lì>>

<<È ancora lì?>>

<> Ernest stava piangendo. <<Ho paura. Non riesco quasi a respirare>>

<<Che aspetto ha?>> insistette Fujimoto.

<<Alto, molto alto. Tocca quasi il soffitto con la testa, è più alto dell'armadio. Sembra quasi un uomo, ma non lo è. Ha la testa grossa e tonda, senza capelli. Il volto buio. Non ha la faccia, ma vedo che ha occhi minuscoli. Sembrano lucciole rosse. Ho paura. Voglio che vada via ...>> Ernest prese a boccheggiare.

<<Cosa succede?>> chiese il giapponese, tranquillo.

<<Si sta ... si sta ...>>

<<Si avvicina a te?>>

<<Viene avanti ... non voglio! Vattene via! VATTENE VIA!>>

<<Cosa sta facendo?>>

<<Non lo so, sono sotto le coperte!>>

I presenti si guardarono l'un l'altro con evidente sconcerto: non era mai capitata una cosa del genere nelle precedenti sedute. Ernest era chiaramente sconvolto, il viso rigato di lacrime di terrore che scorrevano da sotto le palpebre serrate.

<<Lo senti?>>

<<Lo sento. È ... è accanto al letto, mio Dio! Lo ascolto che respira. Tocca le coperte ... sta controllando>>

<<Che cosa?>>

<<Che non ci sia un piede fuori. Se lo trova, mi potrà prendere. Controlla ogni sera, per potermi prendere e mi porterà nell'angolo e poi ... >> respirava con affanno, risucchiando l'aria con vigore.

<<Mi sta toccando ... mi sta toccando, MI STA TOCCANDO!!!>>

Ernest iniziò a urlare e agitarsi selvaggiamente. Fujimoto lo fece uscire dall'ipnosi e l'uomo restò sul pavimento, In un bagno di sudore, il corpo percorso da spasmi, gli occhi allucinati.

<<Mi ricordo ...>> bofonchiava e mezza voce. <<Mi ricordo ... mi ricordo>>

<<Sicuro di stare bene?>> chiese Webe dubbioso.

<<Ora sto bene>> assicurò Ernest, ancora pallido. <<Grazie per il passaggio a casa.>> Scese dall'auto e si allontanò verso il condominio dove abitava. Webe tornò a casa; il giorno successivo, il giornale gli rivelò una notizia sconvolgente:

La polizia ancora non ha accertato le cause del decesso del quarantacinquenne Ernest McNolan.Una donna dell'appartamento dirimpetto a quello della vittima ha chiamato il 911 dopo aver sentito delle urla spaventose. All'arrivo, la polizia ha trovato McNolan morto nel proprio letto, senza tracce di ferite d'arma da fuoco o da taglio. Sulla parete sopra il letto il messaggio "Ora ricordo anch'io" scritto con un carboncino ...

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