Parte 2 Capitolo I Rita - False verità

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Elena accarezzava il gatto che le si era accoccolato in grembo e fumava l'ennesima sigaretta. Si era riseduta al tavolo della cucina dove aveva avuto quel brutto confronto con la figlia più di un'ora prima e con lo sguardo perso nella campagna inglese della stampa che abbelliva la parete di fronte, pensava che si era cacciata in un vicolo senza uscita. Sentiva l'angoscia attanagliarle la gola. Quando aveva imboccato la via sbagliata? Roberto era stato un incidente, Rita una sorpresa spaventosa rivelatasi una grande gioia, il marito un grave errore, eppure era sempre rimasta padrona della sua vita. Oppure no?

Dopo la nascita della bambina il suo corpo aveva fatto irruzione nell'età adulta. Perso il peso della gravidanza si era ritrovata donna e improvvisamente consapevole dell'effetto che aveva sugli uomini. Era alta un metro e settanta, occhi grandi con ciglia lunghe e folte, zigomi alti e labbra carnose, lunghi capelli castano scuro leggermente ondulati, una quarta di reggiseno, vita stretta e fianchi generosi. Sfogliando avidamente le riviste di moda aveva imparato a scegliere abiti e scarpe per esaltare la sua figura, lontana dai canoni di bellezza anoressica che imperversava su giornali e TV. Lei era formosa, rassicurante, materna e terribilmente giovane. Le sue esperienze sessuali si erano fermate a Roberto, con l'appendice spiacevole dell'unico rapporto avuto con il futuro marito per giustificare la gravidanza. I suoi sensi erano rimasti assopiti fino a quasi un anno dopo il parto. Tutte le sue attenzioni erano rivolte alla figlia che aveva amato dal primo istante in cui aveva posato lo sguardo su di lei e i suoi sforzi convogliati a respingere il marito che non riusciva a farsi una ragione dello stato delle cose. Un giorno era al supermercato del quartiere a comprare i pannolini e la pastina per la figlia in un orario di bassa affluenza. Come ogni giorno il ragazzo in divisa blu, alto e con lineamenti regolari, era al lavoro nelle corsie a sistemare la merce sugli scaffali. Il suo viso le era ormai familiare ma non si erano mai parlati, solo un sorriso di cortesia in un paio di occasioni in cui si erano intralciati a vicenda. Con il carrello ancora vuoto si affrettava a raggiungere il corridoio delle pappe per i neonati. Lui era lì, all'inizio della corsia, intento a sistemare le confezioni di omogeneizzati e non diede segno di averla notata. Gli passò di fianco rallentando per cercare la forma di pastina che la figlia prediligeva e qualcosa in lei inaspettatamente scattò. Avvertì l'odore della pelle dell'uomo che sapeva di lavato, pur non essendo profumata e vide la contrazione del bicipite mentre sollevava una confezione di quaranta vasetti sullo scaffale all'altezza del petto. Lentamente gli si fermò di fianco ma non ebbe il coraggio di guardarlo mentre sentiva il basso ventre contrarsi per lasciarle una sensazione di languore che presto le inumidì le mutandine. Era così scioccata dalla reazione del suo corpo che non sentì neanche la voce del ragazzo quando le rivolse la parola.

"Ti serve qualcosa che non è sullo scaffale?" le chiese due volte per semplice cortesia. Elena si voltò a guardarlo, conscia del fatto che il suo corpo l'avrebbe tradita mostrando fin troppo chiaramente quello che le stava accadendo: voleva disperatamente che la toccasse. Il ragazzo l'aveva notata da tempo, era sicuramente la più bella cliente del supermercato ma non lo aveva mai dato ad intendere. Mai aveva immaginato che lei lo avrebbe guardato così come in quel momento. Non gli aveva risposto e non sembrava neanche che avesse capito le sue parole ma aveva gli occhi lucidi, le guance arrossate, la bocca appena schiusa e un'espressione fascinosamente perplessa come se stesse cercando di decidere se lui fosse il diavolo in persona o l'arcangelo Gabriele. Attese, ma lei continuava a guardarlo senza proferire parola. Pensava di aver capito e cercò una conferma: le prese la mano e la sentì trasalire senza ritrarsi. La corsia davanti a lui era sgombra, si voltò e non vide nessuno e con l'irruenza dei suoi diciotto anni l'attirò a sé e la baciò, ignaro di trovarsi di fronte ad una donna sposata e madre. Si staccarono a fatica,  con il fiato corto e un attimo dopo Elena si ritrovò a seguirlo in un angusto e breve corridoio del retro magazzino che dava in un vano senza finestre, stipato all'inverosimile di scatoloni. Si chiese spesso in seguito quanto tempo fossero rimasti in quella stanza, senza riuscire tuttavia a quantificare la durata di quella che, senza ombra di dubbio, era stata la sua emancipazione. La consapevolezza di aver cercato e voluto il rapporto sessuale con uno sconosciuto la fece sentire libera e padrona del suo corpo e della sua mente. Il ragazzo la penetrava con foga e ad ogni spinta Elena si sentiva più leggera come se la pressione di quel corpo estraneo, eppure così urgentemente desiderato, espellesse dalla sua anima l'umiliazione subita da Roberto, la rabbia provocata dalla reazione della madre alla gravidanza, la vergogna dell'inganno perpetrato ai danni del marito, il ribrezzo per la vita coniugale con un uomo che non avrebbe mai potuto amare. Raggiunse l'orgasmo quasi subito e il giovane uomo la seguì a ruota premurandosi di non eiaculare nel corpo fertile della sua occasionale compagna. Lo avevano fatto in piedi, Elena contro la parete. Rimasero a prendere fiato guardandosi negli occhi per qualche minuto poi Gennaro, questo era il suo nome che solo ora leggeva sulla targhetta illuminata dal neon bianco fissato alla parete cui era appoggiata, la prese per mano e la condusse vicino ad una pila di casse di legno. La sollevò e la fece sedere in cima. Le ginocchia di Elena toccavano i pettorali allenati del giovane amante che le allargò le gambe, la prese per i glutei e la avvicinò al bordo delle casse, infilò la testa sotto la gonna e cominciò a leccarla. Elena andò in apnea per la sorpresa del gesto e del piacere scottante che provava. Ricominciò a respirare solo quando si rese conto che il suo bacino aveva cominciato a roteare per assecondare il movimento lento e circolare della lingua di Gennaro. Che rivelazione. Come aveva potuto avere una figlia e scoprire solo adesso cosa era davvero il sesso? Roberto lo aveva subito, Gennaro se lo stava gustando. Arrivò un'altra ondata di piacere, totale come la precedente eppure diversa. Si rese subito conto che aveva avuto un altro punto di origine. Stava cominciando a chiedersi cos'altro si potesse fare che lei non sapesse quando Gennaro la prese per i fianchi, la tirò giù, si riabbassò i pantaloni e le mise nella mano il membro di nuovo pronto. Elena lo guardò incerta. Cominciò a muovere il braccio e lo vide chiudere gli occhi. Sentì la mano di lui posarsi sulla sua spalla e spingere verso il basso. Non capì immediatamente, il tempo di fare due più due e si inginocchiò. Aprì la bocca con la curiosità di chi sperimenta e fu assalita da un vortice di sensazioni: la pienezza, l'odore, il sapore, la pelle vellutata. La posizione era scomoda e sebbene fisicamente sottomessa prese coscienza di avere il potere di controllare l'evidente piacere e il possibile dolore di un altro essere umano, mentre cresceva in lei la sensazione di riprendere le redini della propria vita. A quindici anni era caduta in errore pensando che l'amore di Roberto l'avrebbe liberata dallo squallore della periferia e le avrebbe regalato la vita agiata del mondo perbene che conosceva solo attraverso le pubblicità e i serial televisivi. Aveva sognato una bella casa sul mare, un marito importante e lo shopping in via Calabritto. A diciassette, lasciandosi alle spalle il supermercato dove non avrebbe più rimesso piede e Gennaro che non avrebbe più rivisto, aveva deciso che dove aveva fallito l'amore sarebbe arrivato il sesso, ma lei la casa a Marechiaro l'avrebbe avuta.

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