La dipendenza è una brutta bestia da combattere, ma la vittoria finale ti ripaga di qualunque sacrificio: ti restituisce la libertà. Da otto mesi questo era il suo primo pensiero quando usciva di casa. S'incamminava sotto il sole così come sotto la pioggia e tanta era la sua gioia che sogghignava alle auto ferme in coda. Quando ti liberi da una dipendenza ti senti un gradino sopra gli altri, perché tu ce l'hai fatta e ti domandi come possa il resto dell'umanità non capire. In una città difficile come Napoli quanto potrebbe cambiare se lei non fosse una mosca bianca? Aveva venduto l'automobile. Se ne era disfatta per disperazione. Quel trofeo, ambito da qualsiasi diciottenne, era diventato la sua croce: pagava l'equivalente di un affitto in provincia per tenerla in un garage del Vomero, neanche poi tanto vicino casa. Doveva comunicare i turni di lavoro al garagista ed avvisare per tempo se voleva uscire la sera. Se usciva o rientrava dopo mezzanotte pagava un extra al guardiano notturno. Tutto questo, unito alla benzina, l'assicurazione e la normale manutenzione, per non parlare delle spese straordinarie, l'avevano trasformata in un infernale mangiasoldi. Eppure, non era stato il fattore economico a convincerla di poterne fare a meno; solo a distanza di quattro mesi aveva cominciato a rendersi conto di quanto in più le rimaneva in tasca. A piegarla era stato il fattore tempo, unito allo stress. Con l'auto impiegava un'ora e venti per arrivare a lavoro: un'ora di traffico in condizioni di viabilità normali e venti minuti per trovare un parcheggio. In caso di pioggia era tutta un'altra storia. Poteva impiegare anche tre ore per percorrere l'anello degli ospedali Cardarelli, Policlinico, Pascale. Con la metropolitana le bastavano venti minuti, niente stress e, a conti fatti, un risparmio di circa seicento euro al mese che le permetteva di prendere il taxi all'occorrenza o noleggiare l'auto che preferiva per i weekend fuori porta o le vacanze. Adesso governava il suo tempo.
Erano le quindici e quaranta. I previdenti erano già in circolazione, quelli che preferiscono uscire mezz'ora e più prima dell'orario di punta, pur di non avere problemi a trovare parcheggio. I negozi riaprivano alle quattro e mezza ma a quel punto diventava un'impresa trovare un parcheggio anche a tre euro l'ora. Si era svegliata quando per tutti era ora di pranzo e dopo la telefonata giornaliera ai genitori, trasferitisi alle Canarie per godersi la pensione in un paese vivibile, era scesa a fare la spesa. Non avrebbe mangiato a casa né oggi, né nei prossimi quattro giorni, ma aveva bisogno di beni di primaria necessità: caffè, zucchero, sale, pasta, uova e carta igienica. I turni di notte le sfalsavano la giornata, ma ormai ci aveva fatto l'abitudine e tutto sommato non era male: rientrava alle sei e mezza del mattino quando lavoratori e studenti uscivano, faceva la spesa quando tutti erano in casa a mangiare o riposare e andava a lavorare quando gli altri tornavano a casa. Sempre contro corrente.
Quella sera il suo turno cominciava alle dieci. Aveva tutto il tempo per incontrare le ragazze in caffetteria alle sei e cenare con Nico alle otto e mezza. Le sue giornate erano sempre piene, il che è un bene quando si deve reggere una relazione a distanza: aiuta a far trascorrere il tempo più velocemente tra un incontro e l'altro.
Nel supermercato puntò dritta agli scaffali che la interessavano, senza indugiare o farsi attirare da quella valanga di prodotti inutili o peggio dannosi per la salute, seppure tanto gustosi. Mangiava troppo spesso fuori o pasti frugali in ospedale per permettersi di nutrirsi male anche quando aveva il piacere di cucinarsi a casa. Aveva bisogno di rilassarsi prima di affrontare l'incontro con le amiche: quella sera avrebbero saputo e non tutte l'avrebbero presa bene. Si mise in coda alla cassa dove c'era l'impiegata con la quale aveva più confidenza e quando pagò le chiese la cortesia di poterle lasciare la busta e passare a prenderla di lì a mezz'ora. Aveva una commissione da fare. Con le mani libere e la voglia di svagarsi si apprestò a fare l'unica cosa che sapeva l'avrebbe messa dell'umore giusto per affrontare le amiche e, come se non bastasse, le disavventure amorose di Nico: comprare un nuovo paio di sneakers. Le scarpe da ginnastica erano la sua passione, ne aveva un armadio pieno. Era meticolosa nella scelta, le provava tutte, ma alla fine acquistava immancabilmente quella che per prima aveva attirato la sua attenzione. Era il suo rito del buon umore e non durava mai meno di quaranta minuti dallo studio dei modelli in vetrina al pagamento alla cassa. L'unico rischio era non riuscire a trovare il modello giusto. In quel caso addio buon umore e benvenuta frustrazione, ma capitava di rado. Quel pomeriggio trovò una scarpa che aveva già adocchiato in un'inserzione pubblicitaria su di una rivista di moda. La sua spedizione era stata un successo. Gongolante, tornò a prendere la spesa al supermercato e andò a prepararsi per la caffetteria. Voleva arrivare per prima, solitamente era l'ultima.
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Qui fu Napoli
General FictionUno spaccato della vita di donne napoletane molto diverse tra loro per carattere ed età, le cui storie si intrecciano in una città in cui la più grande minaccia non è la camorra ma il Vesuvio. Rita apprende verità nascoste, Giulia affronta un tradim...