Parte I_Puzzle

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Ho sempre avuto quella strana e, diciamoci la verità, anche fastidiosa sensazione che prima o poi colpisce un po' tutti nel tortuoso cammino che è la nostra esistenza. Ed è in quei momenti imbevuti di quotidianità allo stato puro che si insinua nella mente, portandoti a pensare che nella tua vita, a un certo punto, manchi qualcosa. Quella stessa fastidiosa sensazione che si prova quando stai per finire un intricatissimo puzzle fatto di piccoli e infiniti tasselli... e poi alla fine ti accorgi di avere perso l'ultimo.

Non credo di affermare chissà quale incredibile novità quando affermo che è proprio dell'essere umano il sentirsi a volte inappagato, insoddisfatto o frustrato. È la costante e perpetua tensione al soddisfacimento di sé che ingloba i germi insidiosi dell'insoddisfazione. L'uomo non sarebbe uomo se non fosse accompagnato da quella estenuante quanto inutile ricerca della fumosa felicità, che altro non è se non la illusoria convinzione dell'avvenuta realizzazione di un nostro desiderio. Altalenante quanto contingente apoteosi visto che il momento del raggiungimento della cosa concupita suggella la fine della felicità stessa.

Sì, lo so, forse mi sono lasciata trascinare dalla retorica filosofica, da quegli inutili retaggi (inutili ai fini pratici per intenderci) dell'età scolare avanzata, ma in realtà non era nelle mie intenzioni cercare di penetrare nei meandri dell'animo umano, riuscire a decifrarne quei meccanismi ai più occulti che governano i distinti sentimenti che stanno a fondamento del nostro conscio e, soprattutto, inconscio.

Anche perché, visti i risultati personali raggiunti, la traduzione in chiave empirica dei miei vaneggiamenti filosofici è stata finora un'impresa epica quanto disastrosa.

Dunque che stavo dicendo? Ah, ecco... quella sensazione che accompagna sempre più spesso i miei pensieri : "ciò che fai non è ciò che sei", "c'è una parte di te che vuole essere ovunque ma non qui". Alle volte mi capita di avvertire contorcersi dentro la mia anima prigioniera, urlante di non sentirsi un tutt'uno con il mio corpo. Ma questo succede, credo, a coloro che non hanno avuto nel corso della loro vita la capacità di guardare bene in se stessi, di scrutarsi e di osservarsi con costanza dentro con un animo distaccato e sereno, per ritrovare poi quella verità assoluta che è dentro ciascuno di noi sin dal nostro concepimento. Nell'intimità silenziosa dell'utero materno. E ascoltarla senza se e senza ma.

Esiste una spiegazione razionale al perché nel corso del nostro breve o lungo cammino veniamo distratti da quello che è il compito di ciascuno di noi? La ricerca di Sé potrebbe essere così semplice se come Narciso ci si spogliasse di quegli inutili e falsi legami che ci tengono uniti a una altrettanto inutile e falsa trasposizione della realtà, assumendoci il rischio di intraprendere una strada totalmente diversa da quella in cui ci siamo venuti a trovare. Per volere nostro o altrui, poco importa. Ma, ad ogni modo, nessuno di noi può scampare prima o poi al confronto intimo con se stessi ed è inevitabile la riflessione sulla reale non coincidenza tra ciò che siamo e ciò di cui ci vestiamo.

Ecco, io sottoscritta Lara Fabiani faccio parte di quella schiera di persone che al giorno d'oggi amano definirsi, per così dire, "frustrate" e "insoddisfatte". Sono una studentessa perditempo di Scienze dell'Amministrazione, un inutile corso di laurea scegliendo il quale già sai a priori il destino che ti attende. Ne consegue che mi ritrovo a 26 anni piuttosto fuori corso con i miei studi e che, come molti altri, vivo ancora con i miei adorati borghesi genitori in un paesino sperduto dell'entroterra toscano. Eppure, non so se per la giovane età, sento che non tutto si è ancora definitivamente spento dentro. Che sotto la cenere qualche vecchio tizzone arde ancora e anela verso una vita nuova e stimolante. Ma al tempo stesso sono certa che, andando avanti di questo passo, presto o tardi anche questi segnali di vita mi abbandoneranno e a me non resterà che omologarmi al modus vivendi di buona parte della popolazione mondiale.

Quella era per l'appunto una di quelle sere particolari, in cui il serpeggiante male di vivere, accompagnato dalle sane semi-leopardiane riflessioni del lunedì sera, proprio non ne volevano che sapere di consegnare Lara alle cure di Morfeo. Il suo fedele amico notebook era entrato in stand by da un pezzo, l'orologio indicava che erano le 02.16 del mattino e a furia di fare zapping col telecomando aveva finito col rimetterci seriamente il pollice destro.

E per giunta aveva perso l'ispirazione...

Lui era l'unico e il solo in grado di tirarla su di morale.

La prospettiva di doversi alzare e abbandonare il confortevole tepore della insormontabile coltre di lenzuola, coperta, contro-coperta e piumone era l'unico ostacolo che poteva scongiurare quella idea effettivamente un po' balzana, data l'ora forse discutibile. Ma quell'amato e odiato cellulare era fin troppo a portata di mano. Così, senza poi neanche tanti scrupoli, gli si avventò determinata e compose il suo numero di telefono preferito.

All'infuori di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora