Parte 26_Desirè

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Desirè e Andrea si erano sposati tre anni prima. Si frequentavano da pochi mesi quando lui, innamorato perso, le aveva chiesto la mano. Erano una coppia esteticamente ben assortita e anche per questo invidiata da tutti.

Nell'ambiente i maligni dicevano che lei lo avesse circuito con la sua avvenenza per salvarsi dall'ambiente marcio in cui viveva.

Si diceva anche che, per via dello stile di vita che conduceva ben al di sopra delle sue possibilità, fosse ridotta sul lastrico prima di incontrare il figlio di Mario Morone.

Desirè era una donna che difficilmente passava inosservata e non era assurdo pensare che Andrea, che a quel tempo era una scapolo molto corteggiato, fosse rimasto folgorato da tanta perfezione. All'epoca lei faceva la modella e viveva a Milano. Aveva iniziato sfilando per alcuni nomi della moda internazionale ma poi, quando il lavoro aveva cominciato a scarseggiare, si era vista costretta sempre più spesso ad accettare di fare la ragazza immagine nei locali di grido della città.

Non era una di quelle che ballava sul cubo ma veniva pagata dalle agenzie per fare la finta cliente insieme ad altre ragazze, attraenti come lei, in modo da attirare e aumentare la clientela, soprattutto maschile. Che poi era quella che ai banconi del bar consumava di più.

Per carità, la pagavano bene ma non era quello che lei desiderava fare e temeva che il tempo a sua disposizione per sfondare in quel mondo stesse ormai scadendo senza che fosse riuscita a tagliare il traguardo.

Il suo non era un ambiente per nulla facile, specialmente quando avevi venticinque anni e tutti cominciavano a farti sentire vecchia per quel lavoro: continui casting, shooting interminabili, anni e anni trascorsi costringendosi a vivere in una taglia innaturale, competizione folle con ragazzine di sedici anni che ti passavano davanti soffiandoti il posto.

Ma a lei, tenace e caparbia, quel mondo piaceva e continuava a restare aggrappata ai suoi sogni e alle sue ambizioni.

Prima o poi sarebbe arrivato anche il suo momento.

Arrivava per tutti, prima o poi, no? Si ripeteva ogni giorno come un mantra.

E per lei era arrivato Andrea.

Era una sera come tante altre in cui annoiata sorseggiava champagne insieme ad altre sue colleghe, seduta a un tavolo riservato per loro dall'agenzia che le aveva ingaggiate. Lei stava lavorando e il locale come sempre era affollatissimo. Calciatori, veline, personaggi del mondo dello spettacolo e gente di tutti i tipi desiderosa di mostrare di potersi permettere di volatilizzare in alcool e coca un mucchio di soldi in una sola serata.

Andrea si trovava a Milano per lavoro e aveva deciso di prolungare la sua permanenza per tutto il weekend in quella che un tempo era stata la sua città universitaria, organizzandosi con alcuni suoi vecchi colleghi del Politecnico, di uno dei quali era ospite per quelle due giornate di totale svago. Sarebbe stata una rimpatriata tra amici.

Era sabato, i ragazzi avevano iniziato la movida milanese intorno alle sette di sera e avevano deciso di terminare la nottata in uno dei locali più frequentati della città.

Quella sera erano dichiaratamente "a caccia" e, forti delle numerose tappe alcoliche precedentemente fatte, avevano deciso di fermarsi in quella rinomata discoteca dove, sosteneva Andrea, avrebbero avuto solo l'imbarazzo della scelta.

Lui non era il classico belloccio e a prima vista non si sarebbe potuto dire che fosse carino, piuttosto un "tipo intrigante". Aveva, quello sì, una corporatura longilinea che insieme ai capelli e alla carnagione aveva ereditato dal padre, ma, a differenza della sorella, i lineamenti del viso erano esattamente quelli della madre: mascella sporgente, zigomi pronunciati, occhi non troppo grandi e vagamente orientali, labbra sottili e una leggera gobbetta sul naso. Nel complesso aveva il suo fascino.

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