Parte 32_Scelte

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Come molti studenti non residenti, Marco aveva preso un appartamentino in affitto, insieme a un altro ragazzo di Foggia, in via Quirico Filopanti, nel quartiere San Vitale. Stessa casa e stesso compagno da quando, otto anni prima, si era trasferito a Bologna per iscriversi alla facoltà di Scienze della Comunicazione.

I primi anni erano stati molto produttivi per lui. Era stata dura ma dopo pochi mesi sembrava che fosse riuscito a trovare un buon compromesso tra gli appuntamenti universitari e le tante, troppe opportunità di svago che la vita notturna bolognese aveva da offrire.

Probabilmente sentiva forte su di sé la responsabilità di vivere fuori e di dover pesare sul bilancio familiare e questo, insieme alla voglia di diventare il prima possibile indipendente, doveva essere stato per lui un grosso stimolo a rispettare con una certa costanza quasi tutte le scadenze.

Per un carattere forte e ingombrante come il suo, non era stato facile all'inizio ricostruirsi una vita nella nuova città, trovare gli spazi per i propri interessi, farsi dei nuovi amici.

Essere una persona che preferiva fare affidamento solo su stesso piuttosto che chiedere aiuto agli altri, avere bisogno di molto tempo prima di fidarsi completamente di qualcuno e avere difficoltà nell'aprirsi a nuove conoscenze, avrebbe potuto rappresentare per chiunque un notevole ostacolo per il completo ambientamento a un nuovo contesto di vita.

Ma non per lui.

Perché se Marco era piuttosto introverso e diffidente, negli altri quel suo essere silenzioso e mai invadente suscitava invece un senso di rispetto e di istintiva fiducia.

Forse i tipi come lui, gli diceva certe volte Lara, davano l'impressione di persona su cui poter contare e che sapeva farsi rispettare.

Marco era il leader che non sapeva di essere tale, la persona che rifuggiva la gente senza mai riuscire a trovare veramente la solitudine.

In poco tempo il suo numero di cellulare finì nella memoria di molte rubriche, più di quelle che lui stesso ricordasse: colleghi universitari, ragazze conosciute nei bar, musicisti e occasionali frequentatori di locali notturni che diventavano per qualche ora affidabili compagni di serate indimenticabili  durante le quali si condivideva tutto. Donne e vino, chitarre e fumo.

Come molti ragazzi della sua età, illusi di essere padroni del proprio destino e di poter avere sempre tutto sotto  il pieno controllo, aveva trovato un lavoro serale da cameriere in un'osteria, prima, e da barman in uno jazz-café del centro, poi.

Ma quello che era iniziato come uno stratagemma per potersi pagare alcuni extra senza dover chiedere aiuto ai genitori, vuoi per gli orari che era costretto a fare vuoi perché la clientela era sempre tanta e di conseguenza il lavoro intenso, aveva finito con il rallentare poco alla volta la corsa verso il suo traguardo finale.

I primi tempi tutto sembrava andasse benone ma poi Marco aveva cominciato a decelerare, passando dalla quinta alla quarta e così via. Sì, ci aveva provato a fare qualche sacrificio in più tentando di svegliarsi presto la mattina nonostante la sera prima avesse staccato molto tardi dal lavoro. Ma era stato inutile. A lezione non riusciva a tenere gli occhi aperti e il pomeriggio non trovava la concentrazione sufficiente per studiare.

E inevitabilmente quella motivazione e i sogni da ragazzo liceale che erano stati la sua molle iniziale cominciarono a perdersi per strada.

La meta era diventata sempre più lontana e l'università era stata relegata ad essere solo uno tra i tanti pezzi di un enorme collage dove avevano trovato posto stimoli e interessi diversi.

Troppi e troppo diversi.

E che ruolo occupasse Lara in questo insieme disordinato e caotico di elementi non era affatto chiaro.

I due ragazzi avevano vissuto insieme una parte importante e delicata della loro esistenza. Si erano conosciuti sui banchi di scuola e dopo un avvio incerto la loro amicizia era decollata e non aveva mai subito battute d'arresto.

Eccezion fatta per quel piccolo screzio che i due avevano avuto prima che Lara partisse.
Non era la prima volta che i ragazzi avevano uno scontro. Gli era già capitato di discutere, a volte anche con toni accessi, e di avere, su molte questioni, punti di vista completamente opposti.
Ma era la prima volta che sulla loro amicizia calava un silenzio così spettrale e così lungo. Non era mai passato più di un giorno tra un battibecco e l'altro prima di allora e tutto era sempre rientrato nei ranghi. Ma questo aveva qualcosa di diverso.

Forse perché diversi, ormai, erano loro. Diversi e distanti. E non solo fisicamente.

Perché con la distanza erano cresciute anche le cose non dette.
Come il senso di abbandono che Lara aveva provato quando Marco in totale autonomia aveva deciso di andare via per studiare a Bologna, quando i due ragazzi avevano giurato e spergiurato che una scelta simile, così determinate per la loro amicizia, sarebbe stata presa di comune accordo.

Questo, quindi, come poi tante altre cose, aveva contribuito ad allentare il legame che li teneva uniti rendendo ancora più grande quel divario.

E poco importava quanto impossibile sarebbe stato il veder realizzato il sogno di andare via insieme.
Lara alle promesse di Marco aveva creduto.

Quante volte tra le lacrime, dopo averlo visto partire con i suoi genitori quel giorno, la macchina stracolma di valigie, si era data della stupida per non avere fatto nulla come al solito!
Per non avergli urlato in faccia quanto si fosse sentita ferita da quel comportamento.

Quanto si fosse sentita tradita da lui.

L'amarezza aveva un sapore che la sua bocca aveva imparato bene a riconoscere col tempo.

Ma quello era diverso. Perché dietro una decisione così importante non c'era semplicemente una scelta, ma tutto un percorso che lui aveva elaborato e infine maturato.

E dal quale la ragazza era stata esclusa senza neppure una spiegazione.

Non aveva mai trovato il coraggio di affrontarlo, neanche con la protezione che potevano dare il telefono e la distanza.

Troppa la paura di dimostrarsi vulnerabile ai suoi occhi, di lasciarsi trascinare dalla rabbia e dalle recriminazioni, con il serio pericolo che la conversazione degenerasse. Terrorizzata al solo pensiero che l'amico potesse intuire che dietro la sua delusione si nascondesse qualcosa di più del semplice affetto fraterno che fino ad allora aveva dichiarato nei suoi riguardi.

E lei non se la sentiva di aprirgli il suo cuore rischiando di  ferita o, peggio, di poterlo perdere per sempre.

Così aveva fatto quello che da sempre le riusciva meglio: aveva taciuto.

E lo aveva lasciato andare.

Ma in fondo non lo aveva perso comunque? Si era domandata una sera dopo aver riattaccato, al termine di una loro telefonata in cui avevano chiacchierato come al solito di tutto e di niente.

La loro amicizia, fu un bel giorno costretta ad ammettere, in realtà si era già corrosa quando entrambi avevano smesso di essere totalmente sinceri, l'uno con l'altra.

Era stato fin troppo comodo nascondersi dietro telefonate sporadiche in cui si raccontavano le vicissitudini quotidiane, senza mai esporsi, senza mai entrare nei particolari, nei meandri dei loro pensieri più autentici.

Persino a un estraneo quel loro comportamento avrebbe dato la sensazione di un rapporto poco spontaneo.

Eppure, nonostante questo, Lara non riusciva a fare a meno di quegli appuntamenti, che fossero ogni due giorni, una volta alla settimana o una volta al mese, che durassero due ore o solo cinque minuti, il tempo sufficiente per un vago "Ciao, cosa fai?", non importava.

Quella telefonata era per Lara l'unico modo per non spezzare quel filo che la teneva ancora legata a lui.

All'infuori di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora