Capitolo 25

11.4K 497 248
                                    

Harry's pov

Il primo incubo arriva come un uragano improvviso, un turbine di ricordi raccapriccianti e odore di sangue e urla mai emesse. Spazza via ogni traccia di solidità costruita, perché ti spacca. Ti divide in due.

Attacca a livello dello stomaco come una scarica di frustate, portandoti inevitabilmente a crollare a terra con ginocchia fracassate e pelle aperta da ferite mai ricucite.

Chiudo gli occhi e la mia mente si aliena, torna indietro di qualche anno e mi sembra di essere di nuovo in macchina, il fischio ricomincia e sento la lingua lacerata dai vetri rotti che mi spaccano i denti e le ossa. Volto lo sguardo e rivedo mia madre falciata con gli occhi rivolti al cielo, vittima di una preghiera silenziosa e raccapricciante che mi rimarrà addosso come il peggiore dei ricordi.

Apro gli occhi ma non mi sveglio, perché vedo il suo corpo tagliato in due dalle lamiere proprio a livello delle cosce su cui ero solito posare il capo. L'odore pungente e ferreo del suo sangue che mi macchia il corpo e l'innocenza. Mi ha rovinato la vita.

Arriva la prima botta di reni, perché scatto sul letto e le lenzuola mi rimangono appiccicate addosso. E fa un freddo cane, cazzo, ma voglio solo strapparmi la pelle di dosso.
Sopraggiunge anche il primo grido, la cicatrice che si strappa come se avessi le mani avvolte intorno alle sue estremità, dividendo la carne affamato di sangue e interiora.

Mi ritrovo piegato in due con la testa dentro il cesso. Singhiozzando mentre vomito, con il ventre a contrarsi come se stessi assorbendo martellate nello stomaco. Il rumore osceno che la gola provoca spalancandosi, l'acido che risale alle guance e la salivazione fastidiosa che ti avvisa. Che ti dice stai affondando, smetti di piangere.

Sbatto i pugni a terra e la bocca bugiarda urla blasfemie mai pensate né appoggiate, il dolore è qualcosa che non si può spiegare né assorbire. È troppo poco riassumerlo in semplici sei lettere, perché non ne basterebbero mille.

Inizio strappandomi i capelli e finisco sdraiato sul pavimento del bagno, con le mani a premere gli occhi e la voglia di urlare che aumenta ogni attimo e ogni secondo. Benjamin che non si azzarda ad avvicinarsi, a frapporsi tra me e il fuoco che mi scioglie dall'interno. E io continuo a urlare e a piangere, finché non mi aggrappo ad un mobilio e i singhiozzi si trasformano in sussurri, i sussurri in silenzio e il silenzio in altro silenzio.
La notte passa e io rimango a fissare il soffitto con le pupille corrose dall'acido.

Non mi sento il corpo, non mi percepisco i miei movimenti né i miei pensieri.
Trascorre un giorno, poi ne passano dieci e la notte non mi ha mai fatto più paura.

Ho smesso di mangiare e dormire. Le ore si fanno piccole con me che rimango sdraiato a letto, con gli occhi rivolti al soffitto e la stanchezza appiccicata addosso come afa estiva.

Mi ripeto che va bene così, che soffrire è normale - anche se ciò che mi tormenta non è normale. Non lo è affatto. Mi ripeto che va bene piangere e vomitare anche se ho smesso di mangiare.

L'undicesima notte provo a chiudere gli occhi. Respiro con naso e bocca e deglutisco prima di crollare, sentendo il corpo completamente abbandonato alla stanchezza che lo stravolge. Tutto si ripete. Arriva la prima botta di reni, il caldo che ti avvolge anche se stai tremando. Confuso. Poi arriva il pianto, e cominci a chiederti a cosa serva sopportare il peggior supplizio.

Cominci a domandarti perché sia successo a te e non a qualcun'altro. Ti chiedi, ma cosa ho fatto di male, per meritarlo? La testa si riempie di stronzate, ma non ti sei mai sentito più vuoto.

Il dodicesimo giorno è oggi.
Quando entro in cucina Benjamin mi lancia un sguardo e mi chiede come sto, eppure mi basta guardarlo e lui ha già capito che ho bisogno di silenzio. Solo e unicamente di silenzio.

Dangerous [hs]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora