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MEREDITH

Ho caldo. Tanto caldo.
Apro gli occhi e mi ritrovo stesa nello stesso letto d'ospedale, mi sembra di impazzire. La flebo mi prude e il fatto che mi tengano sorvegliata tutto il tempo come se stessi per esplodere mi ricorda il reparto psichiatrico. Forse è proprio qui che sono, non mi stupirei in fin dei conti. Continuano a ripetere che sono instabile, che ho perso sensibilità e che il trauma sia troppo pesante per me.
Ma alla fine io ho solo caldo.
«Meredith, vuoi ricevere visite oggi?» ecco questa è la domanda preferita delle infermiere. Ogni giorno, ormai da quindici giorni mi chiedono se voglio ricevere visite. E da chi poi? Preferivo quando mi tenevano sedata e non mi chiedevano nulla.
Dato che ogni volta le uccido con uno sguardo se ne vanno con la testa china.
Se potessi me ne andrei ora da questo buco. Pieno di gente che fa finta di essere interessata a te ma il punto è che tutti su questa fottuta terra pensano solo a se stessi, è sempre stato così e sempre sarà così.
Voglio solo uscire da qui e non avere più caldo e non avere un costante fastidio al braccio e non vedere più quella grassa infermiera che mi fa sorrisi falsi quasi come il suo interesse per me. Voglio solo andare via.

ADAM

Meredith è il mio chiodo fisso. Ogni giorno vado in ospedale sperando che me la facciano vedere ma ogni giorno mi rispondono che lei non vuole vedere nessuno. Dicono che è impazzita e i farmaci che gli stanno dando la rendono instabile. Meglio di così si muore.
Amanda è già a casa da un po' e probabilmente tra poco ritornerà all'università.
Anche la madre di Meredith sta meglio ma è sotto processo, che si terrà tra una vita.
Ma ora unica cosa che mi interessa è Meredith. La sto perdendo e questo mi fa impazzire. Vorrei tanto starle vicino e aiutarla ma a quanto pare lei non vuole l'aiuto di nessuno.
La sto perdendo. È quello che penso tutto il giorno.
Più di una volta ho usato il whisky per tentare di sistemare i miei pensieri incasinati ma passato il torpore dell'alcol l'ansia torna più forte e cattiva di prima.
Non so se ho le forze per reggere ancora questa situazione.
«Amico...credo sia ora che tu vada a dormire» dice Luke dopo che anche l'ultima bottiglia della nostra riserva cade atterra affianco al mio letto.
«Non rompere i coglioni» brontolo uscendo dalla stanza.
Domani ho lezione ma non posso andare avanti senza vederla e anche se è mezzanotte devo vederla a costo di litigare con i medici di quel fottuto posto.
Mi incammino a piedi e dopo non so quanto giungo di fronte l'edificio con una grossa scritta rossa.
«Voglio vistare la paziente Meredith Murphy e non ho intenzione di sentire un no come risposta, sappiatelo» sorrido alla ragazza che sta facendo il turno notturno.
«Mi dispiace ma non è orario di visita, i pazienti ora riposano. E credo che lei sia ubriaco quindi la prego di uscire, non vorrei chiamare la sicurezza» mi sorride e torna a guardare il computer disinteressata.
«Forse non ha capito» dico appoggiando le mani sul bancone «Io la devo vedere assolutamente.» lei sbuffa e digita qualcosa sulla tastiera.
«Meredith Murphy uscirà di qui tra cinque giorni, almeno è quello che dicono qui. Dovrà stare a risposo e aver un continuo controllo. Lei è un parente giusto?» è evidente che non le interessa realmente quindi annuisco solo perché voglio sapere di più.
«Sa dirmi qualcos'altro?» cerco di essere gentile.
«Si...sarà obbligata a frequentare uno psicologo per lavorare sul suo trauma» mi guarda per un attimo «Ora può andare? Le assicuro che il turno di notte è una seccatura, quindi se ne vada, puzza come una distilleria» senza aggiungere altro esco contento e torno verso i dormitori. Solo cinque giorni.

MEREDITH

Oggi esco. Ci sono voluti solo venticinque giorni per capire che non ho nulla che non va.
Firmo gli ultimi fogli per le dimissioni e sorridendo alla stupida infermiera mi dirigo verso il parcheggio con una borsa che Amanda mi aveva fatto avere i primi giorni. Non l'ho nemmeno aperta.
«Mer» Adam mi viene incontro sorridente e con le braccia aperte e io lo guardo stranita.
«Che c'è?» chiedo cercando una caramella nelle tasche del giubbotto.
Il suo sorriso sfuma ma si riprende velocemente «Sono felice che tu sia fuori» dice mettendo le mani nelle tasche.
«Si anche io» lo sorpasso e mi avvio verso l'università, almeno credo sia in quella direzione.
Lui mi segue. Che cazzo ha oggi?
«Ho la macchina» mi corre dietro «Così non devi fare tanta fatica»
«Sono stata stesa su un futtuto letto per giorni» inizia a piovere, d'altronde siamo sempre a Seattle. Ma ora mi piace la pioggia sul viso.
«Ora piove pure, ti prego fatti portare a casa» ripete scocciandomi.
«Basta, vattene ho voglia di camminare» non dice più nulla ma continua a seguirmi, finché non parla può fare quello che vuole.

Quando entro in camera mia c'è Amanda stesa a letto che scatta in piedi e mi abbraccia.
«Mi sei mancata un sacco» mi stringe «Cazzo sei fradicia, credevo Adam venisse a prenderti in auto. Te la sei fatta tutta a piedi?» quasi urla infastidendo i miei timpani.
Alzo le spalle e butto il borsone pieno sotto al letto.
«Ascolta abbiamo una marea di cose di cui parlare, ma prima di tutto, vuoi cambiare stanza? Hanno già detto che se vogliamo non ci sono problemi» mi stringe la mano.
«E perché dovremmo? Non ho voglia di spostare tutto, sai che fatica» rido ed esco dalla stanza. «Mer che ti prende? Dove vai?» domanda Amanda.
Non le rispondo, non sono sicuramente affari suoi. Cosa cazzo hanno tutti oggi?

<<mine story>>

Per una voltaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora