Invettiva

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Nello spento bianco di un cielo freddo, chiaro e malinconico,

infuria possente la tempesta, e il vento furioso: posseduto;

per la cui ira ceca e folle piange convulsa la volta lontana.

Non che un'inerme gracile donna, torturata dal gelo e dall'aria,

avanza, ma voi immense intemperie, impotenti diventate per la vostra cecità.

E' triste e sola quella tetra figura, non un pazzo per la via,

non un poeta desideroso di sfidare, assaporare l'immenso.

Tu popolo civile, popolo nuovo, cieco e sordo, menomato;

tu riscaldati nella tua calda dimora, dove la selvaggia tenebra non avanza.

Non senti questo iracondo grido, simile al ruggito della tempesta?

Non vi è un demone assetato che chiede refrigerio?

Non un fuoco sacro arde possente e chiede di essere lenito?

Perdono venti, perdono intemperie, perdono burrasca, perdono fango, perdono soffice melma.

Perdonate i giovani ubriachi, che spensierati, non vi sentono nell'osteria,

perdonate lo scienziato che studia le correnti e si ritira dal vostro frastuono,

perdonate il politico curato che non ama bagnarsi e protegge la sua immagine dal vostro sfregio,

perdonate il frate che non riconosce in voi alcun Dio.

Si sono estinti i falò sulla spiaggia e con loro i loro vecchi culti,

i riti di un tempo si sono dissolti e non benedicono più la vostra potenza,

le sacerdotesse nude non ballano in estasi tra le vostre gocce.

La colta città si rifugia infreddolita nella sua calda dimora.

Vetuste stelle, care vecchie amanti, solo voi rimanete tra le piogge,

non temete di essere sfregiate dal vento,

e l'orrore rivestite di un mistero romantico, innalzando questa devastazione a poesia.

Un Anima Decadente Uno Spirito DannatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora