CAPITOLO 17: FULIGGINE

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-Stupido pollo troppo cresciuto!- urlò Jenny dando inutilmente un calcio ad una delle sbarre. Lo spuntone di ferro vibrò appena. Jenny pensò che non sarebbe riuscita ad uscire da dove era entrata; doveva trovare un'altra strada. Per la prima volta da quando era in quella cella, si guardò intorno.
Polverose ragnatele penzolavano dal soffitto roccioso irregolare mentre il suolo era ricoperto da foglie secche dall'origine sconosciuta, dato che lì non c'erano alberi da cui avrebbero potuto cadere. La luce soffusa era data dalle torce di fuoco violaceo che avevano illuminato fino a quel momento il suo percorso, ma un paio degli angoli della cella restavano bui, la luce respinta, quasi intimorita, come un gatto che evita l'acqua. Jenny strizzò gli occhi sperando di vedere qualcosa senza doversi avvicinare troppo, ma quando mise a fuoco quello che stava scrutando, fece qualche passo indietro, inorridita. Ciò che sulle prime era sembrato un grosso ramo nodoso, si rivelò essere un braccio umano con annessa una mano rinsecchita dai polpastrelli anneriti. Sicuramente, nascosto nel buio, c'era anche il resto del corpo del prigioniero morto in cella. Jenny restò a fissarlo per qualche secondo, pensando al da farsi. Poi, presa una decisione, allungò una mano fuori dalla cella e riuscì ad afferrare una torcia. Con uno strattone, la sradicò dal suo sostegno e la portò nella cella con sé. Stringendo il paletto che sosteneva la fiamma fino a farsi sbiancare le nocche, avanzò con passo incerto verso l'angolo dal quale si intravedeva la mano; forse il defunto aveva qualche oggetto utile con sé, al momento della morte. L'aveva quasi raggiunto quando qualcos'altro attirò la sua attenzione.
La torcia illuminò di sfuggita la parete sul fondo della cella e Jenny la notò per caso, grazie ad un guizzo dell'occhio. Quando posò nuovamente lo sguardo sulla parete, ma con più attenzione, la fiamma violacea iniziò ad ardere con meno intensità e a Jenny sembrò di sentire qualcuno bisbigliare. Si avvicinò automaticamente di qualche passo alla parete.
Il muro roccioso era completamento ricoperto da parole scritte con il carbone, ma nonostante la diversità del carattere o, addirittura, della lingua, Jenny capì comunque che dicevano tutte la stessa cosa:

"E forse il fuoco non è solo sinonimo di morte
Forse il fuoco può portare nuova vita
Dalle ceneri la Fenice può risorgere
Ma c'è un problema:
è solo una bambina".

Questa frase era stata scritta e riscritta sino allo sfinimento, come una sorta di cantilena.
I bisbigli aumentarono d'intensità e sembravano quasi urla private del suono. Jenny, con il cuore a mille, sentiva che erano solo nella sua testa e infatti, quando spaventata si sfiorò l'orecchio, i sussurri cessarono di colpo. Il silenzio che cadde nella cella era diverso da quello di prima, ora si sentiva la presenza di tante anime in insopportabile attesa.
"Ma in attesa di cosa?" si chiese Jenny interrompendo il flusso dei suoi pensieri. E in quell'istante un'impulso (anche se sembrava una vera e propria spinta) la fece avvicinare alla parete. A quel punto, esitante , la ragazza appoggiò l'indice della mano libera sulla prima lettera di quella che si potrebbe definire una profezia e la lettera si illuminò, come se magma puro avesse iniziato a scorrerle dentro, rendendola viva. Jenny fece scorrere due dita sul resto della frase scritta con caratteri chiari e cubitali e le lettere brillarono, rosse, ed esalarono piccoli sbuffi di fuliggine. Infine, una dopo l'altra, si staccarono dalla parete leggere come piume e sottili come foglie, ma luminose come il cuore pulsante di un vulcano.
Come rispondendo ad un comando, anche tutte le altre lettere si accesero ed iniziarono a separarsi dalla parete. Jenny arretrò, non credendo ai propri occhi. Le lettere, che ormai non componevano più alcuna frase, iniziarono a vorticarle intorno, leggere, apparentemente innocue. La ragazza appoggiò la torcia sulla pietra, lontana dalle foglie secche, e poi, incuriosita, toccò una "A" ondeggiante.
In una frazione di secondo, in seguito al suo tocco, tutte le lettere si trasformarono in fuliggine, tutte tranne una "H" scritta con un carattere pieno di ricciolini e svolazzi. La lettera rimasta cominciò la sua ascesa, come se si fosse d'un tratto ricordata dell'esistenza della forza di gravità, e Jenny, paralizzata per la sorpresa, non poté fare altro che fissarla affascinata. L'elegante "H" si depositò delicatamente sul palmo della mano destra di Jenny e lì si unì con la pelle, diventando un tutt'uno con la ragazza, la quale preoccupata constatò che quel segno assomigliava spaventosamente ad un tatuaggio, cosa imperdonabile per i suoi genitori. Si rese distrattamente conto di essere talmente ricoperta di fuliggine da sembrare uno spazzacamini, poi studiò la lettera con sguardo incuriosito e chiese a voce alta, come se rivolta ai sussurri, -E adesso?-. Quasi in risposta alla sua domanda, la mano iniziò a formicolarle e a diventare sempre più calda. Jenny la tese impulsivamente verso le sbarre e una vampata di fuoco, la più grande che fosse mai stata in grado di evocare, si sprigionò abbattendosi sugli spuntoni e fondendoli completamente. La ragazza sbattè gli occhi basita, poi si guardò il palmo ancora fumante e mormorò tra sè -Beh, comodo!-.
Poi uscì dalla cella facendo attenzione a non sfiorare il metallo bollente e fece per dirigersi verso le scale, ma si ricordò del professor Cremly, che era laggiù, da qualche parte. Per un attimo pensò che se avesse risalito le scale senza nemmeno cercarlo, avrebbe potuto dire addio la sue infernali verifiche. Poi si rese conto che la vita di una persona vale molto più di qualche brutto voto a scuola ed iniziò a vagare per i sotterranei.
Avrebbe dovuto cercare il professore da sola.
O almeno, così credeva.

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