Capitolo Tre

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In quel momento dalla porta del bagno entrò una ragazza. Guardandola meglio mi accorsi che era quella seduta al tavolo di Jason. Da vicino notai che era bassa soltanto messa a confronto con i suoi amici, perché mi superava di cinque centimetri buoni – il mio metro e sessantacinque non sembrava abbastanza per questo posto, tutti erano più alti di me – e sugli zigomi vi erano delle leggere lentiggini che stranamente le donavano. Aveva un sorriso cordiale e negli occhi vi era solo preoccupazione, niente a che fare con lo sguardo che aveva avuto poco prima a pranzo.

«Ciao», disse con voce allegra.

Io la fissai, sconcertata. Come mai tutta quella cordialità dopo quelle occhiate?

«Io sono Caroline, tu sei Alexia, giusto?», chiese porgendomi la mano. Io la guardai con aria interrogativa e alzai un sopracciglio. Perché tutta quella gentilezza?

«Siamo insieme nella classe di spagnolo», si giustificò lei con un sorriso.

Okay, siamo insieme nella classe di spagnolo, ma ciò non toglie il fatto che tu mi abbia esaminata come i tuoi amici, poco prima, pensai. Continuai a guardarla perplessa.

Lei abbassò la mano, un po dispiaciuta dal fatto che non l'avessi stretta, ma continuò a sorridere, anche se un po' meno allegramente. Io presi ad asciugarmi il viso e le mani, come se lei non ci fosse, finché non mi chiese «Va tutto bene?».

Io la guardai con aria interrogativa, aggrottando le sopracciglia, e lei si affrettò ad aggiungere «Ho visto che eri un po' sconvolta quando sei uscita dalla mesa, per questo te l'ho chiesto», si giustificò appoggiandomi una mano sul braccio.

Mi sentivo perplessa. Perché tutto quell'interesse da parte sua? Che le importava? Rimasi a fissarla per qualche istante e poi mi limitai ad annuire. Nei suoi occhi vedevo solo puro interesse.

Lei sorrise, contenta che fosse tutto a posto e levò la mano dal mio  braccio.

«Bene», disse soddisfatta, «Ora torno dai miei amici, spero di avere altre lezioni insieme a te, sembri una tipa apposto», il suo sorriso si allargò scoprendo una perfetta fila di denti bianchi. «Spero che tu ti trovi bene in questo posto!», sorrise ancora prima di voltarsi e saltellare via.

Diamine! Ma dove ero capitata!?

La mia lezione dopo pranzo era fisica con il professor Jonson. Raggiunsi la classe prima che suonasse la campanella, sperando di evitare almeno per questa lezione l'umiliante presentazione davanti alla classe. Meno male lui si limitò a firmare il foglio e restituirmelo insieme al materiale, dicendomi di trovare un posto in cui sedermi. I banconi del laboratorio erano formati da tre posti ognuno. Io scrutai i tavoli, ma era difficile capire quale fosse occupato o no, poiché tutti gli studenti avrebbero dovuto avere almeno un compagno di laboratorio.

«Alexia!», sentii chiamare da una voce trillante.

Cercai di trovare la fonte di quella voce familiare.

«Alexia qui! Sono qui!», disse la ragazza.

Guardai a giro per la stanza e, in fondo, dietro a un gruppetto di ragazzi, vidi Caroline che si sbracciava per farsi vedere da me. Le sorrisi cortesemente.

«Vieni qui! Accanto a me c'è un posto libero!», stava dicendo. Avrei voluto rifiutare, ma non sapevo come, allora mi incamminai verso la ragazza. Lei intanto indicava con la mano il posto libero alla sua destra. Io posai le mie cose sul bancone e mi lasciai scivolare sulla sedia.

«Hai visto? Che fortuna che abbiamo avuto! Siamo insieme anche a questa lezione. Sei brava in questa materia?», chiese.

Annuii, ero abbastanza portata per la fisica, o meglio per la logica. Per me la fisica non era altro che logica: con un po' di ragionamento riuscivo ad arrivare facilmente e più in fretta degli altri alla soluzione.

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