Tutto ciò che accade nei minuti successivi al nostro arrivo era confuso. Un po' per tutta la confusione che avevo in testa, un po' per il baccano che c'era tutto intorno a me: migliaia di turisti radunati all'ingresso per visitare il palazzo; altrettanta gente camminava per strada; ma soprattutto i miei compagni di scuola che si misero a discutere animatamente tra loro e con un altro uomo.
Quest'ultimo mi guardò e mi fece un sorriso cordiale. Quest'uomo dal viso gentile sembrava un tipo giovane, con quei suoi occhi marroni che ti infondevano sicurezza, le labbra sottili e i capelli neri. Sono le rughe che si formavano agli angoli degli occhi della bocca mentre sorrideva tradivano la sua età più matura.
Quanti anni poteva avere? Trenta? Forse quaranta? Probabilmente non sfiorava nemmeno cinquanta.
Furono queste le cose a cui pensai mentre mi scortavano all'interno del palazzo. Della strada mi ricordavo soltanto l'immenso atrio elegante e un enorme ascensore. Non ricordavo ciò che mi dissero, non ricordavo neppure il piano in cui eravamo scesi dall'ascensore. Ricordavo soltanto di aver attraversato un paio di enormi uffici stipati di gente fino ad arrivare nella sala in cui mi trovavo adesso.
Ovviamente ancora sotto choc per ciò che mi stava accadendo, non sentii niente di ciò che dissero le persone in quella stanza. Le voci mi arrivavano con me un brusio lontano, come attutito da una campana di vetro.
Mi guardai intorno. L'ufficio era veramente molto ampio. Eravamo in sette e c'era posto per altre trenta persone. Doveva essere collocato in un angolo dell'edificio, poiché due pareti della stanza erano completamente fatte di vetro e davano su uno skyline mozzafiato della Grande Mela.
Su una delle altre due pareti era situata un enorme libreria piena zeppa di libri dall'aria antica. Davanti a questa c'erano due divani di pelle nera di quattro posti ciascuno e rivolti uno di fronte all'altro. In mezzo ai due divani vi era un basso tavolino.
Davanti all'altra parete vi era un enorme tavolo, di quelli che si usavano per le riunioni di un'importante società, con almeno venti posti a sedere. Oltre il tavolo, sulla parete, il mio sguardo fu attratto da un quadro.
Il mio corpo si mosse da solo, avvicinandosi piano a quel dipinto. Non avevo mai visto niente del genere! Era ritratta una donna, o almeno così sembrava, avvolta in un candido abito bianco, dalla cui schiena spuntava qualcosa come delle ali... Un angelo, forse?
Inclinai la testa di lato, continuando ad avvicinarmi lentamente. No, non un angelo.
Guarda di nuovo il suo abito, aveva un che di... soffice. Come se fosse interamente coperto di morbide piume.
Civetta, mi sussurrò il mio istinto. Una civetta bianca.
Guardai il volto della donna: non era definito, era... confuso! L'unica cosa che si distingueva da quella carnagione chiara erano quei capelli scuri che le fluttuarono intorno.
Benché lineamenti fossero tutti confusi, quella donna aveva un aspetto familiare e sconosciuto allo stesso tempo...
«Alexia Reed!», esclamò una voce calma.
Mi bloccai come ero. Non mi ero resa conto di aver allungato il braccio finché non ritrova in sospeso a qualche centimetro dalla faccia della donna-civetta. Ritrassi la mano immediatamente e mi voltai.
I quattro ragazzi erano riuniti intorno a una scrivania – posta davanti alla parete-finestra – di cui non mi ero resa conto prima, insieme a due uomini.
«Accomodati, ti prego», disse un uomo dietro la scrivania indicando una delle due sedi di fronte a lui.
Mi avvicinai con gambe tremanti, i passi attutiti dalla moquette chiara. Quando arrivai di fronte a lui mi porse la mano. Io gliela afferrai.
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Destiny's Choise
FantasíaAlexia Reed non è una ragazza come le altre: lei non parla. Ha smesso di parlare dodici anni prima, quando, a sette anni, ha avuto un incidente. Da allora la sua vita è avvolta nel silenzio. Ma è a Manhattan, città in cui i suoi genitori hanno decis...