Capitolo Quattro

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Mi trascinai senza troppa fretta verso la palestra, con l'aria di una che stava andando al patibolo.

Arrivata nella sala delle torture la coach Sanders mi diede una tuta e, sfortunatamente per me, mi mandò a cambiarmi – figuriamoci se, per almeno il primo giorno di scuola, avessi potuto evitare questa umiliazione.

Dopo essermi cambiata con la tuta – composta da un paio di pantaloncini corti e canottiera viola coi bordi bianchi, che sono i colori della nostra scuola – mi avviai in palestra.

La palestra era molto spaziosa e al lato del campo c'erano delle tribune che avrebbero potuto ospitare centinaia di tifosi durante le partite. Al centro del campo c'era una rete da pallavolo, il che mi fece intuire che oggi ci saremmo dovuti allenare proprio in quello.

All'inizio della lezione la coach ci fece correre lungo il campo e poi fare degli esercizi di riscaldamento, dopodiché ci divise in squadre.

Io non mi accorsi della presenza di Jason finché la professoressa non lo nominò per metterlo nella squadra di cui avrei fatto parte io. All'inizio della partita a me spettò il posto in fondo di mezzo, proprio dietro a Jason e, proprio in quel momento, mi accorsi di un rossore che gli spuntava da sotto la canottiera sulla spalla destra. Cercavo di mettere a fuoco quel rossore, chiedendomi da che cosa fosse dato, quando la coach fischiò e la squadra avversaria fece la prima battuta.

Ironia della sorte il destino volle che quella palla fosse indirizzata proprio a me, così io portai le mani davanti al viso di istinto. La palla rimbalzò sulle mie mani e la ragazza che stava alla mia destra si buttò per salvare la palla.

Quando, dopo una serie di passaggi, la palla toccò terra sul nostro campo, la ragazza che aveva inizialmente salvato la palla mi chiese gentilmente: «Non sai giocare, vero?».

Io, un po' imbarazzata arrossii e scossi la testa.

«Okay, basta saperlo, così ti copriamo!», disse questa, e avvertii il resto della squadra.

«Ma che strano, non lo avrei mai detto!», disse in tono sarcastico Jason.

Oh, ma che rabbia! Possibile che aveva sempre qualcosa da ridire con quel suo odioso tono sarcastico!? Quanto desideravo che quel suo sedere presuntuoso finisse a terra con un bel tonfo!

In quel momento ci fu un altro fischio e la palla puntava dritto verso di me, ancora! A quanto pare anche la squadra avversaria aveva individuato in me l'anello debole.

Il ragazzo alla mia sinistra si parò subito davanti a me, bloccando la palla prima che mi arrivasse addosso. Jason fece qualche passo indietro per prendere a sua volta la palla.

«Ma che..?», disse un secondo prima di perdere l'equilibrio e finire a sedere in terra. Con la schiena urtò le mie gambe così anche io caddi in avanti, proprio sopra di lui. La palla mi rimbalzò sulla testa prima di finire per terra e dare un altro punto agli avversari.

La coach ci raggiunse. «Tutto okay ragazzi?», chiese.

Io cercai di levarmi da sopra di Jason e mi misi a sedere per terra accanto a lui. Durante la caduta avevo picchiato lo zigomo destro sul suo ginocchio, perciò presi a massaggiarmelo sentendolo indolenzito. Avevo preso proprio una bella botta! Di sicuro mi sarebbe venuto un bel livido.

«Non proprio tutto okay», disse Jason.

«Come sei caduto?», chiese la coach.

«Non so come mai, ma c'è dell'acqua, proprio qui sul pavimento», disse Jason. «Ci sono scivolato sopra».

«Dell'acqua? Mmm... Che strano! Ma vi siete fatti male?», chiese la donna guardando prima me, poi Jason.

«Io un po'», ammise Jason. «Reed mi è caduta addosso, e per di più mi ha preso pure il ginocchio. Penso sia meglio se ci metto sopra del ghiaccio, per evitare che si gonfi. Sa, quarantacinque chili, per quanto leggeri, sono sempre quarantacinque chili!». Quest'ultima frase la disse fulminandomi con lo sguardo.

Adesso la colpa era mia? Serrai i denti.

«E tu, Alexia? Hai picchiato la guancia?», la professoressa mi esaminò la parte destra del viso. «Meglio se ci metti del ghiaccio sopra anche tu», sentenziò.

Il resto dell'ora di ginnastica la passai a sedere sulla tribuna a premermi un pacco di ghiaccio istantaneo sul viso e a contemplare la schiena di Jason, seduto qualche gradino più in basso di me.

Okay, era stato per lo più presuntuoso e arrogante con me, ma dovevo ammettere che quel rossore mi intrigava. Non era il classico rossore da irritazione o cose del genere ma, avvicinandosi al centro della schiena diventava più violaceo...

Mentre ancora stavo a domandarmi la provenienza di quel rossore la coach richiamò la mia attenzione mandandoci tutti negli spogliatoi a cambiarci.

Finalmente era arrivata la fine delle lezione e potevamo andare a casa!

Dopo essere tornata ai miei comodi jeans uscii dallo spogliatoio e mi avviai verso la segreteria per riportare il foglio firmato da tutti i professori alla segretaria. Questa, appena mi vide, mi salutò subito con un enorme sorriso.

«Allora come è andato il primo giorno di scuola?», mi chiese.

Io alzai le spalle. Finalmente è finito, pensai.

«Vedrai, domani andrà meglio», disse la donna facendomi l'occhiolino.

Beh, certamente peggio di oggi non poteva andare.

All'uscita c'erano Caroline e Jason che stavano parlando con gli altri due ragazzi che avevo visto a mensa. Quando mi avvicinai a loro si zittirono subito.

«Alexia, loro sono Matthew e Richard», disse Caroline indicando prima il biondo e poi il moro. «Matt e Riky, lei è Alexia».

Salutai i ragazzi con un cenno e loro risposero con un «Ehi».

«Adesso dobbiamo andare, ci vediamo domani ragazzi!», li salutò Caroline, e insieme a Jason ci avviammo verso la mia macchina.

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