capitolo 3

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Seattle casa Cross, ore 6:00

Caldo. Faceva tanto caldo. Mi sentivo soffocare, come se mi stessero schiacciando. Cos'era?
Aprii gli occhi e capii cos'era. Era Emma che dormiva sopra di me. Dovevo essermi addormentata. Ora come facevo a spostarla? La cosa peggiore era che aveva la sua gamba in mezzo alle mie. Rischiavo di impazzire se non si spostava, l'averla così vicina e non poterla avere mi uccideva. Incominciavo a sudare freddo, il suo contatto mi provocava brividi in tutto il corpo e il suo profumo mi annebbiava la mente. Dovevo trovare una soluzione, e in fretta, prima che non fossi più stata in grado di controllarmi. Cercai di sgusciare da sotto di lei, il più piano e delicatamente possibile per non svegliarla. Dopo un eternità, finalmente riuscii a liberarmi dalla sua morsa.
Andai in cucina per far colazione, e come mi aspettavo Greta non c'era. Misi il bollitore sul fuoco per prepararmi un tè e presi qualche briouche dalla dispensa.
<<Buongiorno, dormito bene?>>. Sussultai dallo spavento. Ero così assorta nei miei pensieri che neanche l'avevo sentita arrivare, non era da me.
<<Emma, per favore non sbucare più dal nulla, mi hai fatto prendere un colpo!>>. Cavolo, questa era la seconda volta che sbucava all'improvviso.
<<Scusa, almeno questa volta non ti ho beccato con le mani nel sacco>>, si sganasciò dalle risate.
<<Spiritosa>>, mi lagniai.
<<Ma dai, non sai stare allo scherzo, che antipatica>>, si lamentò.
<<Io sarei antipatica!? Ma senti chi parla>>.
Al mio commento mi rispose con una linguaccia. Una delle poche cose che non sopportavo in assoluto era quando mi si facevano la linguaccia.
Mi avvicinai a lei e le dissi: <<A chi fai la linguaccia?>>. Mi avvicinai ancora di più.
<<A te, mio caro>>, mi provocò.
Mi avvicinai ancora di più, quasi a sfiorarla. <<Ah, è così... allora ti conviene scappare>>.
Si girò e si mise a correre. La rincorsi fino al salone. La raggiunsi e nel modo di afferrarla, cademmo entrambe sul divano. Io mi trovavo sopra di lei, il cuore mi batteva a mille, probabilmente lei lo sentiva. Avvicinai il viso al suo, le nostre labbra stavano per incontrarsi.
<<Ti ho presa>>, le sussurai a fior di labbra.
<<Ce ne hai messo di tempo>>. Aveva il fiato corto e sapevo che non era dovuto alla corsa, ma alla mia vicinanza.
<<Le chiedo umilmente perdono>>.
<<La perdono>>.
Mi avvicinai per baciarla, quando ci fu un fischio.
<<No!>>, furono le parole di Emma nel momento in cui mi scaraventò sul pavimento, lasciandomi un po' confusa e dolorante.
<<Aih! Mi hai fatto male>>. Caspita, per essere magra come un chiodo era piuttosto forte.
<<Oh, scusami tanto, ma il bollitore ha fischiato e mi sono spaventata>>, tentò di scusarsi, ma sapevo che era un'altra la ragione per cui mi aveva scaraventato per terra.
<<Non ti preoccupare>>.
Mi alzai da terra a fatica per via del dolore, andai in cucina e spensi il fuoco. Alle mie spalle sentii il suo passo leggero e le chiesi, <<Ti va una tazza di tè?>>.
<<Come hai fatto!?>>, mi chiese stupita.
<<A fare cosa?>>, le chiesi confusa.
<<A sentirmi, e anche ieri, come hai fatto a capire che stava arrivando Greta?>>. Era decisamente confusa, ma infondo lei non sapeva.
<<Ah, quello. Sai, ho l'udito assoluto. Come riesco a cogliere ogni singola nota, riesco anche a distinguere ogni singolo rumore. Tutto qua, non è niente di speciale>>.
<<Tu suoni?>>, mi chiese.
<<Sì, non l'hai visto il piano a coda nel salone?>>.
<<Sì, ma credevo che fosse solo per bellezza>>, mi confessò un po' imbarazzata.
<<No, non è per arredamento, lo suono quando ho un po' di tempo libero... Allora, ti va questa tazza di tè o no?>>, le chiesi.
Ci pensò un po' su e mi disse: <<Sì, perché no>>.
<<Arriva subito>>.
Presi un vassoio e vi misi la zuccheriera, le brioche, due bustine di tè e infine due tazze piene d'acqua calda. Presi il vassoio e lo appoggiai sull'isola. <<Ecco qua, scusa se ci ho messo tanto>>, mi scusai.
<<Tranquillo... cioè tranquilla>>, si corresse.
<<Anche se sai che sono una ragazza, devi comunque fare finta che sono un ragazzo, quindi, tranquillo va benissimo>>, cercai di chiarirle le idee.
<<Capito>>. Mi guardò un po' torva.
<<È per non coffonderti quando c'è qualcuno che non sa di me>>, tentai di spiegarle.
<<Se ho capito bene, ti devo sempre chiamare al maschile, nel caso che io non sbagli quando c'è qualcuno che non sa di te>>.
<<Esattamente. Sei un tipo sveglio>>.
<<Perché, credevi il contrario?>>, si lagnò come una bambina piccola.
<<E chi a detto niente>>, la stuzzicai un po', <<su dai, bevi il tè, prima che si raffreddi>>, la rimproverai come una bambina per stuzzicarla.
Mi fece una smorfia per ripicca, ma prese la bustina di tè e l'immerse nell'acqua calda.
<<Sai, devo ringraziarti>>.
<<Per cosa?>>, mi chiese stupita.
<<Grazie a te ieri notte non ho fatto nessun incubo, be', in realtà non ho fatto nessun sogno>>.
<<Sarà stato un caso>>, mi disse imbarazzata.
<<No, non è stato un caso, vedi, da quando sono iniziati gli incubi, li ho avuti ogni notte>>, le spiegai.
<<Cosa, ogni notte!>>, esclamò incredula.
<<Sì, ogni mia notte è tormentata, ogni notte è peggiore delle altre>>. Quando accadeva era sempre terribile, a volte Tyler era perfino costretto a sedarmi.
<<Be', se la metti così, allora dormirò ogni notte con te>>.
<<No, non devi farlo>>.
<<Perché no?>>.
<<Perché non voglio essere compatito. È una cosa che riguarda solo me>>.
<<Ma io non ti sto compatendo! Io... voglio solo... che tu dorma serenamente>>, cercò di trovare le parole più adatte.
<<Ti ringrazio, ma sono anni che ci convivo e quindi non mi approfitterò della tua gentilezza>>, fui categorica con lei.
<<Ma...>>.
<<Niente, ma. Fine della storia, non ne voglio parlare più>>, le dissi interropendola.
Restammo in silenzio a scrutarci a vicenda. Sapevo che aveva qualcosa da ridire, però rimase in silenzio, di certo prima o poi sarebbe ritornata all'attacco.
Improvvisamente sentii il mio telefono vibrare, lo presi, guardai da chi proveniva la chiamata ed era Margaret.
Che cosa vuole!? Pensai irritata, ma decisi di risponderle.
<<Cosa c'è Margaret?>>, le chiesi cercando di mantenere un tono di voce pacato.
<<Signore, la volevo informare che sono arrivate le conferme degli invitati, per l'evento di beneficenza>>, mi informò.
Caspita, me né ero proprio dimenticata, con tutto quello che ho avuto per la testa.
<<Bene. Quante sono le conferme Margaret?>>, le chiesi.
<<Sono duecento>>.
<<Bene, c'è altro?>>.
<<Sì, il catering arriverà a casa vostra entro venti minuti, se tutto va bene. Invece gli stilisti dovrebbero arrivare per le dieci o anche prima>>, mi informò.
<<Bene, se è tutto ci vediamo domani>>.
<<Sì, è tutto signore>>.
<<Bene>>. Riattaccai. Notai che Emma era rimasta tutto il tempo ad osservarmi.
<<Che c'è?>>, le chiesi.
<<Niente, mi chiedevo solamente chi è questa, Margaret>>.
<<È la mia assistente. E poi, non devo dare spiegazione ne a te e ne a nessun altro>>, le dissi burberamente.
<<Sì, hai ragione. Ti chiedo scusa>>. Iniziò a tormentarsi le mani.
Mi avvicinai a lei, le misi una mano sulle sue per far si che smettesse di tormentarsele.<<Ti chiedo perdono, la mattina sono sempre nevrotico, ma poi so sempre come farmi perdonare>>, le feci il mio miglior sorriso che lei ricambiò. Il mio cuore mancò un colpo per quella meravigliosa visione. Credo che quella fu la prima volta che la vedevo sorridere ed ero stata io.
<<Dovrai impegnarti parecchio per riuscir a farti perdonare>>, mi disse riportandomi alla realtà.
<<Accetto la sfida, signorina Greene>>. Le presi la mano destra e me la portai alle labbra quasi a sfiorarla, come da bon ton, in segno che accettavo la sua sfida. Quando alzai lo sguardo vidi che era arrossita. Bene, allora non le ero poi così indifferente, pensai.
<<Se non ti dispiace, potresti stare in camera tua oppure in qualunque stanza del piano superiore, finché quelli del catering non se ne saranno andati?>>, le chiesi, cercando questa volta di essere gentile con lei.
<<Quelli del catering?>>, mi guardò confusa.
<<Poi ti spiego. Adesso va', prima che ti vedano>>.
<<Va bene>>. Si alzò dalla sedia e si incamminò.
<<Emma, puoi andare ovunque, eccetto nel mio studio, perché lì ci sono documenti molto importanti. Se vuoi andare nella mia stanza va bene, a patto che non ti metta troppo a curiosare>>.
<<Va bene, non guarderò fra le tue mutande>>. Mi fece una smorfia e se ne andò.
A malincuore ritornai alla realtà. Mi gaurdai intorno. Ma dov'era Tyler? Gli mandai un messaggio, scrivendogli dov'era finito. Un minuto dopo arrivò la sua risposta. Era in garage a pulire il SUV.
Uscii dalla cucina per dirigermi da lui.
Arrivata a destinazione mi avvicinai a lui.
<<Buongiorno, signore>>, mi salutò mentre era intento a pulire l'auto.
<< 'giorno Tyler. Mi dispiace interromperti, ma stanno per arrivare quelli del catering>>, lo informai.

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