Cap 9• Signor Wilson e...si considera una persona socievole?

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Touch - Little Mix

Elèna

Inspira, espira. Inspira, espira. Inspira, espira.
Recito il mio mantra per cercare di calmare i nervi. Sono troppo agitata e se continuo così mi verrà di certo un infarto.
Alle 10:30 in punto mi sento chiamare.

«Signorina Costa» mi chiama una voce femminile.
Seguo la voce e vedo una donna bionda sulla trentina inoltrata, molto bella e tirata a lucido. Tanto a lucido da farmi sentire inadeguata con l'abbigliamento per cui ho optato.

«Salve, io sono Caroline. Il signor Wilson la sta aspettando. Mi segua» dice la donna avviandosi verso l'ascensore senza neanche aspettarmi.
Io raccolgo le mie cose in fretta e furia e la seguo entrando dopo di lei.
Il tempo in ascensore scorre lento e imbarazzante e nessuna delle due apre bocca. Torno a respirare solo quando le porte si aprono. Sono sicura che prima di assumere qualcuno osservino ogni minimo dettaglio per cui mi sento già sotto esame.

«Venga» mi dice Caroline.
La seguo in un corridoio stretto e lungo. È un ufficio molto minimal e i colori dominanti sono il blu e il grigio.

Gli uffici sono separati da delle vetrate satinate che lasciano soltanto intravedere le sagome al loro interno. Passiamo davanti a un ufficio in cui riesco a scorgere due figure e delle voci maschili.
Caroline mi conduce verso una stanza vuota con un tavolo tondo e delle bottigliette di acqua sul tavolo.

«Prego, si accomodi. Il signor Wilson sarà qui a momenti» mi informa e se ne va lasciandomi sola nella stanza con una finestra che dà sul cortile esterno. Il panorama è bellissimo. Si vede tutta la città dall'alto e ogni cosa sembra piccola, anzi minuscola.

Prima regola in un colloquio: mai sedersi fino a quando non sono loro a farti segno di sederti. Per questo motivo rimango in piedi ad attendere il signor Wilson.
Passano dieci minuti o mezz'ora, ormai non lo so più, e non so più cosa osservare per far passare il tempo e l'ansia.

Sono rimasta a fissare la porta in attesa che si aprisse, ma nulla, così mi avvicino alla grande finestra e mi affaccio.
Guardo in basso e scorgo Adam accanto alla limousine. È ancora lì.
E se fosse il signor Wilson il capo di cui parlava? Sbatto la testa contro la finestra per la figuraccia fatta. Proprio in quel momento la porta si apre.

Mi giro di scatto e vedo un signore brizzolato sulla quarantina. Indossa i pantaloni blu di un vestito e una camicia bianca a maniche lunghe alle quali ha fatto dei risvolti. Il tutto completato da delle bretelle. Chiunque sarebbe sembrato un idiota alla sua età con le bretelle, ma quest'uomo ha un'aria talmente autorevole che potrebbe indossare anche un pigiama e risaltare comunque agli occhi come figura dominante. Noto che mi squadra e mi sento subito in imbarazzo. Istintivamente abbasso ancora più giù il tubino che già così è all'altezza delle ginocchia.

Lui sembra notare il mio gesto nervoso e così smette di fissarmi.

«Signorina Costa, buongiorno!» esclama sorridendo.

«B-Buongiorno!» rispondo io.

«Venga, si accomodi» mi fa cenno di sedermi su una delle poltrone attorno al tavolo. Mi accomodo e prendo posizione sulla sedia.

«Allora... È stato difficile trovarci?» mi chiede prendendo in mano un foglio sul quale riconosco la mia foto. È il mio curriculum.

«No, non direi, è stato molto facile, la zona è ben collegata e servita dai mezzi» sorrido.

«Meno male. Non so se ha notato la W sul tetto. È il faro della mia casa discografica ed è una cosa di cui vado molto fiero» dice gonfiandosi il petto come un pavone.

Underground Love (1). La mia ancora di salvezza ➳ H.S. [IN LIBRERIA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora