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Come ormai faceva da una settimana, Clarissa si mise seduta sulla panchina del parco ad aspettare Matteo di ritorno dagli allenamenti. Alla fine lui non era mai stato a trovarla al bar, ma si erano sempre incontrati nello stesso luogo, ogni giorno alla stessa ora. L'ora della sua pausa e l'ora a cui il ragazzo passava in quella via di ritorno dagli allenamenti.
Parlare con Matteo per Clarissa era un felice svago incluso in quello di osservare l'ambiente attorno a sè, o forse ormai stava sostituendo quella vecchia abitudine. Quando stava con lui era tranquilla e serena.
Come al solito, vide l'auto arrivare da destra e accostare a lato della strada. Lui scese e la cercò con lo sguardo. Nel momento in cui i loro occhi si incontrarono, Matteo le fece quel sorriso gentile che le riserva sempre.
Lei ricambiò.
Il ragazzo la raggiunse sulla panchina.

- Buon pomeriggio! - la salutò allegramente lui.

- A te! - ricambiò lei. Non avrebbe saputo dire nè interpretare il motivo per cui Matteo si fermasse praticamente ogni giorno a parlare con lei. Non le dava naturalmente fastidio, anzi, quel ragazzo le trasmetteva allegria, però c'era sempre quell'insolita sensazione di disagio se pensava al contesto della situazione. Era strano infatti diventare praticamente amici in quel modo. La dinamica, era stata strana. Nonostante ciò, Clarissa non avrebbe mai rifiutato di parlare con lui.

Matteo allungò le gambe e si accasciò lungo la panchina, mettendosi comodo.

- Stanco? - rise Clarissa.

- Abbastanza, la preparazione è piuttosto stancante. - rispose l'altro con gli occhi chiusi e godendosi il leggero venticello che soffiava quel giorno su Manchester.

- Magari vai a casa a riposarti... - gli consigliò la ragazza.

- Non ti preoccupare. - disse lui sorridendo e tirandosi su. - Non posso saltare la mia chiacchierata pre-serale. - aggiunse mettendosi a ridere.

- Okay... - ribattè leggermente in imbarazzo lei. Non si aspettava che lui la considerasse davvero un abitudine, nè che gli facesse così tanto piacere quanto ne faceva a lei. Ma comunque, se non gli avesse fatto piacere, perchè l'avrebbe raggiunta lì ogni giorno?
Clarissa si maledisse per le troppe domande che poneva a sè stessa, e decise di mettersi d'impegno per cercare di non dare a tutti i costi una spiegazione ad ogni cosa come era suo solito fare. - Come ti trovi qua in Inghilterra? - domandò lei per avviare un discorso che nei giorni precedenti non avevano mai affrontato. Si erano solo detti, infatti, che prima abitavano l'uno a Torino, in Italia, e l'altra a New York, ma niente di più.

Matteo rimase interdetto per un secondo: non si aspettava quella domanda e non aveva in realtà un'opinione precisa da dare in merito. - Mi trovo bene, con i compagni mi sto integrando e nemmeno Manchester mi dispiace come città. - anche se ciò che aveva detto era vero, si sentiva leggermente in colpa per non aver detto tutto. La sensazione, però, durò solamente pochi secondi, poichè la successiva domanda di Clarissa non fece altro che metterlo ancora più in difficoltà, oltre al fatto che centrò pienamente il punto.

- Ti manca l'Italia? - domandò infatti la ragazza, ingenuamente.

Rimase un po' in silenzio, poi rispose. - Non è propriamente l'Italia a mancarmi... - cercò di rimanere vago lui, inutilmente.

- Allora ti manca Torino. - affermò infatti lei, in maniera fermamente convinta. All'espressione ancora più interdetta rispetto a prima del ragazzo, Clarissa continuò. - Ho notato che non eri convintissimo. - spiegò.

- È una città che mi ha dato tanto, ma ora penso solo alla mia carriera qui. - rispose lui.

- Puoi anche evitare queste risposte fatte, non ci sono giornalisti in giro. - ribattè lei sussurrando ed avvicinandosi, in maniera scherzosa ed ironica.

Lui guardò davanti a sè e ridacchiò. - Come sei perspicace, Clar. - disse.

- Mi dai anche i soprannomi ora? - domandò lei unendosi all'azione dell'altro.

- Perchè no? - chiese in risposta.

Clarissa in risposta continuò a ridere spensieratamente. Spensieratezza che finì non appena la sveglia che suonò sul suo cellulare le ricordò che la sua pausa era finita.

Matteo, che già aveva imparato a riconoscere cosa quel suono significava, cominciò ad alzarsi. - A domani, Clar! - la salutò lui mentre si avviava alla macchina.

La ragazza non seppe se sorprendersi di più per il fatto che ormai lui le avesse affibbiato un soprannome o per il "a domani", che nei giorni prima non si erano mai detti. Dopo qualche secondo di sorpresa, ricambiò e si accinse ad attraversare la strada per rientrare sul posto di lavoro.
Era stata la conversazione più confidenziale che avevano avuto da quando si conoscevano.

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Clarissa si mise il grembiule nero con i dettagli verdi e si diresse verso il bancone, dove Isabelle stava servendo il caffè ad un uomo di mezza età.
Non appena lui si fu allontanato, la ragazza mora si avvicinò all'amica e collega che era in uno stato di strano silenzio. Isabelle non lo sapeva, ma quando Clarissa si allontanava da Matteo sentiva uno strano senso di vuoto per un po' di tempo. Un senso di vuoto che comportava l'essere abbastanza taciturna, un po' come nei momenti in cui lei rifletteva in silenzio all'interno del suo mondo.

Le mise una mano sulla spalla destra per farsi notare, poi quando l'altra si girò, parlò. - Sai chi è il ragazzo con cui parlavi prima, vero? - le domandò con il classico tono da "bocca aperta". Lei, infatti, aveva riconosciuto quasi subito il calciatore del Manchester United quando lo aveva visto sulla panchina con Clarissa quel giorno. Isabelle non sapeva che in reltà si vedevano da una settimana.

- Veramente all'inizio no, poi me l'ha detto... - rispose l'altra arrossendo, ma con un sorriso sulle labbra che Isabelle non le aveva mai visto da quando la conosceva, aveva un non so che di sereno.
La sua opinione in merito non cambiò mentre Clarissa spiegava alla collega come si erano conosciuti lei e Matteo Darmian.

Life for rent - Matteo DarmianDove le storie prendono vita. Scoprilo ora