Otto

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Il giorno dopo, Clarissa si trovava regolarmente seduta su quella panchina di legno di fronte al suo posto di lavoro. Tirava un po' di vento, perciò si mise le mani nelle tasche dei pantaloni di jeans che indossava e si appoggiò allo schienale.
Si chiese se anche l'incontro di quel giorno sarebbe saltato. Negli ultimi tempi non l'aveva mai considerata come prospettiva possibile ma dopo il ritardo che Matteo aveva avuto il giorno prima negli allenamenti, la sua mente aveva cominciato a prendere come plausibile quell'ipotesi e a tenerla in cosiderazione.
Se prima l'aspetto che considerava più piacevole della sua pausa era il prendere un po' d'aria, ora sentiva che senza vedere Matteo durante di essa, potesse essere quasi inutile.
Non trovava più sollievo in ciò che vedeva intorno a sè come prima, ma anzi, i pochi minuti che trascorreva da sola le provocavano uno strano senso di solitudine che solo l'arrivo di Matteo riusciva a colmare.
Si ritrovava a trascorrere i minuti precedenti quel tanto agoniato orario con ansia assoluta e mente in un altro mondo, pochi minuti prima si era quasi dimenticata di dare il resto ad un cliente che aveva preso un caffè.
Se solo pensava al fatto che anche quel giorno avrebbero potuto saltare il loro incontro, si sentiva malissimo. Insoddisfazione della sua ansia.
Comunque Matteo aveva il suo numero, avrebbe potuto tranquillamente mandarle un messaggio per avvertirla in tal caso. Non appena le venne in mente ciò, le sorsero delle domande. Perchè avrebbe dovuto farlo? Chi era lei per lui? Se lei non fosse così importante per il ragazzo quanto lui sembrava essere diventato per lei?
Era forse la prima persona con cui parlava così tanto da quando era arrivata a Manchester, forse per quello gli era così affezionata.
Fu riscossa da qualcuno che si sedette sulla panchina, accanto a lei: era lui.
Clarissa era talmente immersa nei suoi pensieri e ragionamenti che nemmeno si era accorta della sua macchina che passava o della sua figura che attraversava la strada finchè non le fu di fianco.

- Pensierosa, Clar? - esordì lui.

- Sì, ero sovrappensiero... - ammise la ragazza imbarazzata.

Passarono qualche minuto a chiaccherare come sempre del più e del meno. Lui le raccontò della pallonata sulla guancia che aveva preso quella mattina durante l'allenamento e lei gli parlò del baccano che aveva fatto il suo vicino di casa la sera prima, impedendole di dormire bene. Risero e scherzarono insieme, fino a che lui le pose una domanda.

- L'altro giorno mi hai chiesto se mi mancasse l'Italia. A te mancano gli Stati Uniti? - chiese tranquillo, con volto disteso mentre anche lui metteva le mani all'interno delle tasche della felpa rossa esattamente identica a quella che aveva regalato a lei.

Clarissa si ritrovò spiazzata. Cosa avevano lasciato in lei gli Stati Uniti non sapeva dirlo. La sua anima era pesante, come se avesse lasciato qualcosa di incompleto, mentre la sua testa affermava che andarsene era stata la cosa giusta da fare. Ci sarebbe voluto del tempo per dimaenticare, ma aveva comunque paura che non sarebbe mai successo.

Matteo la vide accigliata e assumere un atteggiameno strano, forse non avrebbe dovuto porle quella domanda. - Io... - iniziò.

- Non troppo, qua mi trovo bene. - rispose lei sorridendo, accorgendosi del silenzio nella conversazione che aveva creato.

Lui capì comunque che c'era comunque qualcosa che non andava nella ragazza da quando aveva nominato il suo Paese d'origine, perciò decise di non andare oltre e di lasciar perdere quell'argomento.

Fu lei, però, a proseguire. - Sono cresciuta con mio padre, mia madre è morta quando ero piccola. Appena ho potuto ho deciso di crearmi una nuova vita e ho deciso di farlo qui, a Manchester. - spiegò.

Matteo disse qualcosa dopo, ma Clarissa non lo sentì: i sensi di colpa a causa della frase che aveva detto si fecero spazio in lei. Non era del tutto falso, aveva solamente occultato la parte riguardante la sua vita insieme a suo padre, su com'era lui.
Non poteva, non doveva dire niente a nessuno di questi aspetti ma sapeva che di Matteo poteva fidarsi, per questo motivo si sentiva in colpa: per non potersi confidare con lui, che forse lo avrebbe meritato.
Sapeva che non aprirsi con nessuno non era la cosa giusta ma non poteva fare altrimenti, sarebbe stato troppo pericoloso.
Si sentì toccare una spalla e si girò.

Matteo la stava chiamando. - Clar, ci sei? - chiese.

Lei si tirò su e sorrise. - Scusa, pensavo ad una cosa. - rispose.

Il ragazzo ricambiò e la salutò, poichè doveva andare.
Clarissa rimase sola e si prese ancora cinque minuti per sè, per giustificare i propri sensi di colpa e pensare a come comportarsi con lui in futuro: la loro amicizia non poteva andare avanti senza che Matteo sapesse nulla di lei.

Life for rent - Matteo DarmianDove le storie prendono vita. Scoprilo ora