Uno

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Non era la prima volta che Matteo si attardava a rientrare dall'allenamento, ma lui, diversamente da alcuni dei suoi compagni, non conosceva molta gente con cui vedersi la sera, essendo appena arrivato nella sua nuova città, nè tantomeno una ragazza da frequentare. Era ancora per lui un mondo estraneo, e la sua routine per ora era fatta da casa-centro allenamento ogni giorno.
In quel momento camminava per i corridoi dell'Aon Training Complex di Carrington, centro di allenamento del Manchester United, verso l'uscita. Si diresse dalla sua macchina, parcheggiata fuori, e uscì dal cancello.
Aveva preso casa a Manchester, e Carrington si trovava poco più a ovest della grande città inglese, quindi il rientro non era così immediato. Tuttavia a Matteo il viaggio non pesava più di tanto, dato che a casa non aveva da fare chissà che cosa.
Se fossi stato a Torino, sicuramente qualcosa da fare lo avrei avuto.
Ricacciò subito indietro quel pensiero. Non doveva permettere che la mancanza della sua vecchia città condizionasse la sua esperienza in Inghilterra. Aveva una nuova vita ora, a Manchester. Non c'era tempo di ripensare con nostalgia al luogo dove si trovava solo poche settimane prima.
Aveva lasciato Torino, una città che gli aveva dato tanto, per andare a giocare nella sua nuova squadra, il Manchester United. Lasciare quel luogo e il Torino, la sua vecchia squadra, gli era dispiaciuto: era un ambiente in cui si sentiva protetto, in cui si trovava bene ed era amato, cosa che si era accentuata nell'ultima stagione, quando era stato davvero importante per la squadra e i tifosi, segnando gol importanti come quello nel derby contro la Juventus e quello in Spagna, nella partita di ritorno dei sedicesimi di Europa League contro l'Athletic Bilbao, che aveva regalato al Toro una storica qualificazione agli ottavi. Andava ripetendosi che era stato un passo necessario da compiere per la sua carriera. Per diventare uno dei migliori in Europa nel suo ruolo, non sarebbe potuto rimanere a vita nel Torino. Se non altro, aveva lasciato un bel ricordo nel cuore dei tifosi granata.
Ora si trovava in una grande squadra, in un campionato importante e giocava la Champions League, un'esperienza nuova per lui, ma una sfida che aveva l'intenzione di affrontare con tutta la determinazione possibile.
Era appena entrato nel quartiere dove si trovava la sua casa, se ne accorse alla vista del bar dall'insegna blu che si trovava all'inizio della strada. Esattamente all'altezza di quel bar, si trovava un semaforo che, quando Matteo vi arrivò, era rosso, così frenò.

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Clarissa alzò gli occhi dalla macchinetta del caffè. Era tutto il pomeriggio che lavorava e non vedeva l'ora che arrivassero le sei, ora della sua pausa, che come sempre avrebbe passato seduta sulla panchina del parco di fronte. Non sapeva perchè, ma era una piacevole abitudine che aveva preso da quando aveva iniziato a lavorare in quel bar.
Osservava le auto che passavano, la gente che camminava lì attorno e i bambini che correvano nel caldo estivo. Si ricordava i visi. A quell'ora, per esempio, ogni giorno arrivava nel parco un ragazzo biondo per portare a spasso il suo dalmata. Stare a guardare la quotidianità della gente le metteva addosso una certa serenità, riusciva a perdersi nell'immaginare le vite delle persone che le passavano davanti e il perchè facessero una determinata cosa o agissero in un particolare modo.
Diede un'occhiata all'orologio, dopo aver lavato una tazzina sporca nel lavandino del bancone sul retro. Erano le sei precise. Si levò il grembiule e lo posò dove non potesse dare fastidio a nessuno, poi uscì dal bar dopo aver avvertito la sua collega Isabelle.
Isabelle era alta, mora e slanciata ed era davvero una bella ragazza. Quando Clarissa era stata assunta in quel bar, si era trasferita da poco e lei era stata la prima persona con cui aveva fatto amicizia. Le stava simpatica, perchè si faceva gli affari suoi e rispettava i suoi momenti cupi di silenzio in cui si chiudeva in sè stessa senza farle domande. Quando Clarissa tornava in contatto col mondo, però, Isabelle era pronta a fare come se nulla fosse successo. Forse aveva capito che la sua amica era una persona un po' misteriosa e chiusa, ma con un incredibile bisogno di qualcuno di cui fidarsi e di qualche certezza.
Clarissa si diresse verso una panchina e vi si sedette.
Era incredibile la tranquillità che quello che la circondava le metteva addosso. Lei, che non era mai stata abituata alla tranquillità. Tutto il suo essere era pervaso, anzi, da un'inquietudine che caratterizzava il suo modo di fare. Aveva paura, paura di tutto. Ma quando si trovava nel parco poteva per un attimo staccare anche da quello, come se la persona che era di solito si rinchiudesse in una parte della sua mente che la teneva sigillata fino a quando non lasciava quel posto che per lei era diventato di svago e di pace con sè stessa.
Quando furono passati venti minuti, Clarissa fu costretta a rientrare al bar.
Al segnale verde del semaforo verso la sua parte, attraversò sulle strisce. Mentre camminava, notò una macchina blu sportiva in coda sulla strada. Guardò forse l'auto con un attimo di troppo, e colui che la guidava si girò. La ragazza distolse subito lo sguardo, nel frattempo era arrivata sul marciapiede opposto.
Eppure, il viso di quel ragazzo non le era nuovo. Dove poteva averlo già visto?

Life for rent - Matteo DarmianDove le storie prendono vita. Scoprilo ora