Venti

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Arrivata a casa da pochi minuti e appena letteralmente buttatasi sul divano per rilassarsi per un po' davanti alla televisione prima di cenare, Clarissa si ritrovò a doversi rialzare a causa del suo cellulare che squillava, ancora affondato chissà quanto a fondo alla borsa. Frugò un po' all'interno delle varie tasche e lo trovò, per poi rispondere senza guardare il nome del contatto sullo schermo mentre tornava a sedersi comodamente sul divano.

- Pronto? - fece mentre appoggiava i piedi sul tavolino di fronte a sè.

Ma la voce che sentì provenire dall'altro capo del telefono fu tale da raggelarle il sangue nelle vene, tale da pietrificarla e tale da non permetterle di riuscire a muovere un solo muscolo del proprio corpo. - Ciao, Clarissa. - la salutò la voce di suo padre, sotto l'incredulità della ragazza. - O forse è meglio chiamarti "Clar", come ama fare quel tuo amico calciatore? - aggiunse poi, beffardo, anticipandole già esplicitamente dove sarebbe andato a parare.

Nella mente della ragazza ogni pezzo del puzzle andò al proprio posto, l'uomo che l'aveva sempre seguita per tutto quel tempo era uno di quelli di suo padre. Aveva scoperto tutto di lei: dove era scappata, dove era andata ad abitare e dove lavorava, ma soprattutto la storia con Matteo, su cui avrebbe probabilmente fatto più leva la persona a cui faceva a capo. - Lascia stare Matteo. - furono le uniche parole che istintivamente la sua bocca pronunciò, flebili ma energiche a loro modo.

Lui rise. - Questo lo vedremo. - disse poi con astio.

La paura invase il suo corpo ancora più di prima. Poteva farle quello che avrebbe voluto, ma non doveva toccare Matteo perché lei aveva cercato di proteggerlo da tutta quella storia fin dall'inizio, ma, evidentemente, tenerlo allo scuro non era bastato. Lei stessa aveva creato il guaio, lei stessa stava mettendo in pericolo il ragazzo che amava. - Dove sei? - domandò Clarissa, nella speranza che avesse tempo di fare qualcosa, anche se non sapeva cosa.

Rise ancora maleficamente, facendola morire di paura e forse lui lo faceva consapevolmente a quello scopo. - Che domande sono? Dovresti sapere che io sono ovunque, figlia mia. - rispose lui.

Lei capì subito a cosa suo padre si stesse riferendo, cioè alla sfilza di uomini sotto il suo potere che poteva mandare ovunque lui volesse nel mondo, per qualsiasi scopo. Sentì le lacrime salire fino agli occhi e la completa disperazione farsi spazio nel suo cuore, ora che aveva trovato la serenità... la sua vita non era fatta per la serenità. Non aveva fatto in tempo a chiedersi perché suo padre non fosse più in carcere, ma nemmeno le era passato per la testa, poiché la ragazza sapeva che lui era capace di tutto e non valeva la pena domandarsene le ragioni.

- Non vuoi sapere perché ti ho chiamata? - domandò poi, sempre con quel tono tra il serio e la presa in giro, tra il beffardo e il minaccioso, che aveva mantenuto per tutta la chiamata.

Clarissa non voleva farsi sentire così provata, così raccolse tutta la propria volontà d'animo e rispose solamente: - Sì. -

- Non hai fatto la mossa giusta ad andartene da New York, dovevi e potevi immaginare che ti avrei trovata non appena uscito di prigione. - iniziò.

Le lacrime aumentarono una volta messa davanti alla reltà dei fatti e acquisitane la consapevolezza.

- Fai quelle cazzo di valigie e torna qui, se non vuoi che ti venga a prendere con la forza e faccia ciò che non vuoi al calciatore, quel tuo... amico. - rise sull'ultima parola, con chiaro riferimento al fatto che immaginava che tra loro due ci fosse di più.

Il padre di Clarissa riattaccò la chiamata e lei, il viso stremato e sotto shock, appoggiò il telefono accanto a sè sul divano.
Iniziò a piangere disperata, senza riuscire a fermarsi. Perché le spettava una vita sotto il suo completo controllo? Lei non voleva essere di sua proprietà, lei desiderava vivere una vita normale e da quando frequentava Matteo sembrava quasi che lui gliela stesse dando, con sua grande sorpresa. Non era giusto, aveva visto l'orizzonte di una vita diversa e le stava per essere tolta, bramata per tanto e solo assaggiata.

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Anche Matteo si trovava a casa, immerso nei pensieri ma in una situazione decisamente più tranquilla.
Il giorno dopo doveva vedere Clarissa per andare ad accompagnarla al bar e fare colazione insieme, ma era molto più agitato del normale. Dopo gli ultimi avvenimenti accaduti tra di loro, Matteo aveva idea di chiederle di essere la sua ragazza. Si amavano e se l'erano anche detti l'un l'altra, si baciavano come se nulla fosse e avevano fatto l'amore. Il ricordo di quella notte stupenda gli invadeva ancora la mente facendolo sorridere.
Non sapeva di cosa avesse paura, era solamente "burocratica" come cosa, ma una richiesta del genere non poteva che renderlo inevitabilmente teso, come era normale che fosse.
Si ripromise di smetterci di pensarci, il giorno dopo le avrebbe parlato e basta, senza "se" e senza "ma".
Il sorriso di Clarissa sarebbe stato l'incoraggiamento a non bloccarsi sulle riflessioni.

Life for rent - Matteo DarmianDove le storie prendono vita. Scoprilo ora