Thirty-Two

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Come al solito: spero che vi piaccia come scriverlo è piaciuto a me. Votate e commentate! Ora me ne vado perché questo capitolo ha 4467 parole.

-Gil


Di solito non sono mai in ritardo.

Mi correggo.

Di solito non sono mai così tanto in ritardo. Parliamo di pochi ed effimeri minuti che ormai tutti i professori hanno imparato ad ignorare.

Arrivo in ritardo da così tanto tempo che è come se avessero concesso una seconda campanella di inizio solo ed unicamente per me, tanto si erano rotti tre quarti di palle a sprecare l'inchiostro delle loro magiche penne rosse per scrivermi i foglietti di detenzione.

Sono un paio di mesi che non vedo la famigliare porta azzurrina dell'aula di detenzione, con le finestrelle dai vetri opachi e spessi dieci centimetri, almeno quanto una delle lenti degli occhiali che Freeman porta sempre a cavallo del naso leggermente arcuato.

Prima mi sedevo sempre in prima fila, con la schiena contro la parete, e contavo le stelline disegnate a matita sul banco. Le forme composte di grafite erano sbiadite e malamente ripassate da me, durante infinite ore, tutte quelle volte in cui ero capitata con il sedere spiaccicato sulla fredda lastra di metallo della sedia.

Era diventato il mio posto in detenzione, quasi portava il mio nome scritto sopra. Lo sapevo io e lo sapevano tutti che quel banco sarebbe sempre stato destinato ad ospitare me ed il mio audace carattere.

Ormai non è più così. Se commetto un'infrazione non si sprecano neanche più ad annotarla sul mio registro personale, mi spediscono direttamente dalla preside Porcelet e attendono in silenzio che sconti i miei trentasette minuti di inferno.

Se poi sono fortunati, quelli della segreteria e la Signorina Ball (accuratamente tradotto in italiano: palla di ciccia; il dito destro della preside. Carmen) possono sperare di udire la soave voce della Maialetta che mi intima di stare attenta al mio comportamento con profonde ed argute minacce.

Scommetto che di notte resta sveglia, occhi ben aperti e fissi sul soffitto coperto di ombre scure, pareti fitte di ricordi di una lei meno rotonda e più longilinea, a pensare a convincenti e terribili minacce da offrirmi. Ne caccia fuori di tutti i tipi, come fossero i biscotti della nonna.

In realtà utilizza sempre lo stesso "Chiamo il Signor Ashton" oppure se si sente particolarmente incazzata "Giuro che faccio venire qui e all'istante il suo tutore legale" che per Ashton è un ruolo di particolare rilievo e lo fa sentire un po' meglio quando prova con la band e non riesce a suonare come vuole lui.

Mi fa piacere rendere la vita delle persone piena e colorata, diversa e felice. Il mio è un sacrificio bello e buono.

Senza di me la preside non avrebbe attacchi d'ansia e senza nervosismo non suderebbe e non rischierebbe di perdere qualche etto rimproverandomi e piovendo grosse gocce madide di sudore giù per le tempie.

Mio padre non avrebbe motivo di disonore o di viaggiare da un continente all'altro per trasportarmi come se fossi una scatola di cartone dal contenuto fragile. Mio padre mi tratta come un bicchiere di vetro (il cristallo è decisamente troppo per me) in una scatola piena di polistirolo. Mi sbatacchia di qua e di là pensando "ah, tanto è imbottita di quella roba e non potrà rompersi mai" ma non sa che dei limiti ce li ho anche io.

Comunque non mi importa. Adesso non conta più nulla: ciò che sento per Calum o l'amicizia che ho costruito con i ragazzi in tutto questo tempo vale quanto un buono sconto per un negozio che è fuori produzione da dieci anni. La mia famiglia mi fa sembrare così inutile che mi viene voglia di piantare la testa sotto un cumulo di sabbia e nascondermi lì per tutta la vita.

Vivere con i 5SOS (cinque sotto un tetto)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora