Thirty-Four

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Sono triste perché questo è l'ultimo capitolo di "In cinque sotto un tetto: Vivere con i 5SOS" ma allo stesso tempo sono felice perché significa che per una volta nella mia vita ho terminato una fanfiction.

Spero che questo ultimo capitolo vi piaccia come i precedenti e che vi sforziate di commentare un po' di più del solito in onore di ... beh di Gil.

L'addio lo riservo all'epilogo che devo finire di correggere e che sarà sicuramente on per le tre di questo pomeriggio.

-Gil





Non sono mai stata una ragazza molto elegante.

Non ho mai saputo camminare dritta per più di una manciata di secondi, non sono mai stata brava a dire le cose giuste nei momenti giusti e non ho mai imparato a camminare su un paio di tacchi senza rischiare di frantumarmi a terra.

Di conseguenza, per il resto della serata in spaggia ho tenuto le scarpe rialzate di otto spaventosi centimetri tra le dita di una mano, intrecciando le altre con quelle di Calum.

Presto quelle stesse mani si sarebbero poggiate sulle mie cosce, mentre in silenzio percorrevamo le strade a ritroso per giungere a casa.

Avevo acceso la radio solo per nascondere i piccoli sospiri che lasciavano le mie labbra, di tanto in tanto, mentre i suoi polpastrelli giocavano con l'orlo del mio abito, fingendo innocenza.

Il suo sguardo scuro non aveva mai lasciato la strada, mentre io sobbalzavo ogni qual volta posavo gli occhi sulla sua mascella serrata e su di quell'unica vena che gli avevo visto gonfiarsi solo quando cantava sul palco.

In quel momento fui sicura di aver perso del tutto la mia innocenza.

Smut e fantasie sconce da fangirl a parte, pensare a Calum nel modo in cui avevo fatto durante tutto il viaggio in auto dal ristorante fino a casa mi aveva decisamente privato per sempre della ragazzina che era in me.

Non che mi dispiacesse. Non avevo mai pensato a Calum in un modo simile, almeno non sapendo che per quella volta la mia immaginazione avrebbe potuto sconfinare nella realtà.

Da una parte mi spaventava, dall'altra mi sentivo riscaldare da improvvise ondate di calore e raffreddare da brividi inaspettati.

Inciampata sul vialetto, tra un pallone da calcio squarciato e una bicicletta gialla scrostata (ma io dico, tutti quei soldi e Ashton non può permettersi neanche una mano di vernice su quel catorcio) eravamo arrivati davanti alla porta di casa.

-Suona il campanello- dopo cinque minuti di accurate ricerche (nelle sue tasche, sotto il tappetino d'ingresso e in una scarpa che non so perché giaceva accanto ad un vaso riempito di terra. Nessuno di noi può vantare di avere il pollice verde, purtroppo) Calum non è ancora riuscito a trovare le chiavi di casa.

Ha passato tutto questo tempo a blaterare su come era sicuro di averle portate al ristorante e di averle spostate con noi durante la serata.

Al mio consiglio di far alzare uno di quei bifolchi dei nostri coinquilini dal divano per venire ad aprirci, sbuffa e scuote la testa.

-Sono sicuro di averle- percorre la lunghezza della giacca con le mani e guarda nella stessa direzione nella quale le dita scavano ora all'interno delle tasche.

Io sbuffo e lo guardo con un sopracciglio inarcato, spingendolo da parte e allungandomi per premere un dito sul campanello.

Quando il suono acuto di questo si propaga per la casa, avverto un paio di botte e passi pesanti rincorrersi attraverso la cucina e giungere poi nell'atrio.

Vivere con i 5SOS (cinque sotto un tetto)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora