Fifteen

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Evitare una squadra assatanata di adulti, uniti dal solo e comune scopo di farti finire col culo schiacciato sulla (per me amica) panchina di fronte alla presidenza, non è esattamente il mio ideale di attività preferita.

Tralasciando un tutore legale che fa schifo come tutore legale e che si comporta come fosse un incrocio tra un nonno e un filoso greco del tempo di Talete.

Una coppia quasi certamente gay che nega di essere una coppia quasi certamente gay, e il tuo migliore amico che si comporta come una bambina di otto anni che ha appena avuto il suo primo ciclo e crede che il sangue che perde dalla patatina sia ketchup (okay, questo non ha senso, ma nulla di quello che racconto ha mai molto senso quindi chi se ne frega).

Preferirei essere chiusa per cinque ore in una stanza con Igor posso-darti-la-mia-capra, piuttosto che dover affrontare tutta questa incombenza di adulti (più o meno) che affrontano una crisi di mezz'età (più o meno).

L'ultima cosa a cui avrei pensato, trasferendomi in California, era quella di dover avere a che fare con una preside a bordo di una cigolante sedia a rotelle, con un bidello incazzato perché ha seguito il mio consiglio di tagliarsi i baffi (a cui era legato più che a sua moglie) una vicepreside che più che camminare rotola, e un consulente che piange come un bambino povero la mattina di natale.

Questa è una scuola di matti (mai avuti dubbi) ma vedendomi correre lungo i corridoi come se Satana mi stesse bestemmiando dietro, mi viene da pensare che sia una scuola per matti e che il cibo contaminato della mensa (altamente e pericolosamente americano) mi abbia resa una di loro.

Inciampo con i piedi sul laccio sciolto di una delle mie vans nere (strappate e ormai sbiadite) e quasi rischio di essere acciuffata del bastone di Earn, che zoppica lungo il corridoio affollato.

Gli studenti sembrano non farci caso, tutti con la sindrome del "ogni-giorno-di-scuola-mi-sembra-che-sia-un-merdoso-lunedì".

Quando mi chiudo una delle porte di legno situate lungo il corridoio, alle spalle, lascio andare un lungo respiro liberatorio e schiudo le palpebre, venendo colpita da un'intensa oscurità.

Cerco di individuare se ci siano persone nella stanza, così faccio un mezzo passo avanti (giuro che non ho mai pregato tanto intensamente quanto ora affinché la mia fuga non si trasformi in una colossale figura di merda) e porto una mano alla fronte (come se servisse ad un cazzo di qualcosa).

Il buio resta buio, anche se provassi a nuotarci dentro e a spaziare l'aria con le mani, fin quando le luci al neon non si accenderanno, io continuerò a non capirci una beata minchia.

Facendo quasi ribaltare un banco vuoto (presumo che l'aula sia libera, anche perché siamo nel bel mezzo del cambio d'ora) mi avvicino ad una parete e la tasto con foga, al fine di premere (anche a casaccio e per puro caso) l'interruttore della luce e illuminare la mia oscura e fastidiosa (ora come ora) visone delle cose.

Così come odio non aver le cose sotto controllo, così odio il buio e l'impossibilità di non poter visionare la totalità di un ambiente di cui, di conseguenza, non riesco a prendere il comando.

La mia è una mania, ne sono consapevole, ma almeno non è un disturbo ossessivo compulsivo.

Non sono pazza, dico solo che sono stata fortunata a non dovermi tirare le dita o contare i denti più di quarantacinque volte al giorno per tranquillizzarmi. Mi basta poter controllare ciò che mi sta attorno e i miei problemi spariscono, come se non fossero mai esistiti (o quasi).

Questo, spesso, mi porta all'isolamento e alla stronzaggine (diciamo pure che l'ingrediente "stronzaggine" lo procuro tutto io) ma a me sta bene così, perché è un lato del mio carattere che con il tempo ho accettato e addirittura imparato ad utilizzare a mio vantaggio (nonostante la maggior parte delle volte, io sembri solo una grande *parola brutta* con manie di protagonismo, ma quelli sono punti di vista).

Vivere con i 5SOS (cinque sotto un tetto)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora