6) We Need To Talk.

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JAMES'POV

Sabrina era diventata il mio chiodo fisso. Per colpa sua avevo passato un'ulteriore notte insonne. Durante le ore buie, avevo capito che lei non era assolutamente il tipo di ragazza con cui ero solito stare o, per lo meno, non dava quest'impressione quando la si conosceva; non per il suo abbigliamento, assai provocante in certe occasioni, piuttosto perché non mi era ancora saltata addosso come il resto delle altre ragazze avrebbe fatto. Giustamente bisognava sottolineare che le donne con cui trascorrevo il mio tempo non erano propriamente l'immagine delle perfette figlie, cresciute in un monastero che tenevano le gambe chiuse fino al matrimonio. Giunsi alla conclusione di dover conquistare quella cameriera con metodi assai gentili e galanti. Mi rivolsi alla persona più indicata sulla faccia della terra: mio fratello, Kevin. Con la fortunata di turno, io ero antipatico, indisponente ed odioso ai limiti del possibile per far in modo che lei non scappasse a causa del mio carattere e, allo stesso tempo, che non etichettasse la nostra avventura come una relazione seria. Adoravo le serate focose senza impegni. Lui, invece, era educato e garbato; un giusto miscuglio di spensieratezza e buone maniere. Metteva alla luce del sole il suo lato migliore, quella parte che mia madre stimava e idolatrava, quello spicchio di personalità che lei stessa aveva creato e affinato scrupolosamente, che aveva trasmesso anche a me. Sapevo di essere in grado di amare e onorare la mia fidanzata, eppure credevo che una facciata tanto profonda e intima non fosse degna di una compagna con scarni principi. Avrei venerato la donna che avrebbe meritato le mie attenzioni.

Kevin accettò di accompagnarmi quello stesso pomeriggio al locale per osservare la misteriosa ragazza che, dopo avermi visto varie volte, ancora non era caduta ai miei piedi. Quando gli raccontai le mie strambe peripezie degli ultimi giorni, percepii curiosità nel suo tono di voce e notai anche qualche sfumatura di ironia.


SABRINA'S POV

Non riuscivo a trovare una posizione sufficientemente comoda per dormire oppure, se la trovavo, dopo cinque minuti mi lamentavo nella stessa situazione di prima. Tiravo le coperte fino a sotto il naso e, il minuto successivo, le scostavo in preda ad attacchi di calore. Tentai di contare a mente le pecorelle, però neanche questo metodo sofisticato mi aiutò. Immaginavo caprette ricoperte da batuffoli di lana che saltavano un recinto e, dato che il sonno era assai lontano dai miei orizzonti, diedi libero sfogo alla fantasia, creando nella mia mente la figura di un pastore con tanto di cagnolino. Ad un tratto, quest'ultimo assunse le sembianze di James! Quel maledetto imprenditore era sempre in mezzo ai miei pensieri! Dio, provavo pena per me stessa: non dovevo illudermi per così poco!

Mi diressi a lavoro senza guardarmi allo specchio, evitando di gettare la mia autostima al di sotto del pavimento. La mattina passò molto lentamente. La stanchezza mi stava uccidendo e le occhiatacce che mi riservavano i clienti non mi entusiasmavano. Indispettita, andai in bagno e, scontrandomi con il mio riflesso, compresi di non vantare un bel aspetto, anzi tutto il contrario: avevo due occhiaie orribili che neanche il mix di fondotinta e correttore riuscì a coprire e che da sole stimolavano ribrezzo, inoltre i miei capelli erano penosi, non volevano assumere un verso decente, erano arruffati e crespi.


Verso le tre del pomeriggio arrivò James, seguito da un uomo mai visto prima. Spalancai la bocca per la sorpresa, poiché non credevo sarebbe ritornato dopo il modo in cui lo avevo trattato. Bello, dannato e sfacciato, un classico! Probabilmente la sfortuna mi perseguitava, perché Ryan era uscito ed Alexis momentaneamente sparita. Dovetti prendere io stessa la loro ordinazione, dopo avergli lasciato cinque minuti d'obbligo per decidere quali pietanze gustare.

-Salve, cosa desiderate?- domandai con voce flebile e con un finto sorriso che sembrò, presumibilmente, più una smorfia. Cercavo di sembrare sicura e calma, quando dentro di me pregavo tutti i santi dell'universo affinché mi aiutassero a scappare da quella situazione. Volevo voltare le spalle a quei due e tornare a casa mia, per buttarmi sul letto e piangere. James mi fissò per quelle che mi parvero ore, nelle quali le mie gote si infiammarono ed i battiti del mio cuore rimbombarono sempre più forti e chiassosi nelle mie orecchie, distanziandomi dal mondo circostante. Alla fine, prese parola il suo amico.

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