8) I wanted to run away from myself.

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JAMES'POV

Candidi fiocchi di neve si posavano leggeri sul vetro della mia auto oppure sui cappotti mezzi aperti che conferivano alla gente un aspetto trasandato. I semafori delle strade trafficate di New York sembravano volersi rivoltare alla mia macchina e schizzavano in pochi secondi al rosso proprio prima che io li sorpassassi. Mi girai un attimo solamente per osservare, attraverso il finestrino chiuso, i comportamenti delle persone della città che mi aveva visto venire alla luce, crescere, trasformarmi da bambino a ragazzo e, infine, uomo: alcune di loro correvano veloci con un viso trafelato, altre passeggiavano tranquille con un bicchiere dello Starbucks in mano, altre ancora camminavano svelte nella mia stessa situazione con valigette oscillanti. Finalmente il verde scattò all'ennesimo stop e mi affrettai a schiacciare l'acceleratore.

Controllai l'orario non appena un mio piede sorpassò la soglia dell'azienda: le 7:58. Dovevo essere a lavoro per le otto in punto e, nonostante avessi rischiato di arrivare in ritardo, spiattellarmi sull'asfalto o prendere una multa per eccesso di velocità, ero riuscito a varcare la porta in tempo.

Il sorriso malizioso di Nicole mi accolse, quando svoltai l'angolo e compresi immediatamente le sue intenzioni. Inizialmente, quella mattina, avevo pensato di impiegare il mio tempo a prepararmi per una riunione con dei rappresentanti messicani, invece mi ricredetti osservando il corpo della mia segretaria fasciato in un tailleur troppo stretto ed eccessivamente corto. Mandai all'aria l'incontro, percependo la sua pelle setosa, luminosa e splendente sotto i palmi delle mie mani. La mia bocca famelica si insediò sapiente sul suo collo, mentre gli occhi smaniavano per osservare il seno della ragazza difronte a me compresso in un completino di pizzo trasparente. Quasi strappai la sua gonna per scoprire se indossasse delle mutandine coordinate. Le sue labbra mi torturarono e arrossarono in vari punti e mi ammaliarono esperte quando oltrepassarono l'elastico dei miei boxer e lambirono la mia virilità. Persi il lume della ragione dentro di lei in uno degli sgabuzzini. Sapevo di star facendo tardi, pensando esclusivamente ai miei bisogni animaleschi, eppure in quel momento non ci badai.

L'importante progetto con il Messico, del quale mi ero preoccupato tutta la settimana e che avevo pianificato nei minimi dettagli, si rivelò un buco nell'acqua. Gli imprenditori fuggirono adirati non trovando da nessuna parte né me né la mia assistente direzionale. Cercai di chiamarli ed organizzare un'ulteriore assemblea, tuttavia fu tutto inutile.

Mi maledissi per il mio carattere eccessivamente egoistico e mi diressi a passo spedito nel mio ufficio, urtando con la spalla un povero uomo che passava da quelle parti. Il malcapitato portava un bicchierino di caffè e aveva lo sguardo perso sul suo cellulare, quindi non si accorse neanche della mia presenza. Almeno non prima che la bevanda che teneva tra le dita gli macchiò il costoso completo che indossava. Mi inveì contro per poi scusarsi immediatamente, pietrificandosi non appena si accorse della mia identità. Lo lasciai in mezzo al corridoio a blaterare giustificazioni.

Quando, sbuffando, abbandonai tutto il peso del mio corpo sulla poltrona della mia scrivania, si materializzò d'improvviso il volto di Sabrina nella mia mente. Mi disgustai di me stesso per il modo in cui l'avevo trattata. Fui percorso da mille brividi di ribrezzo e puntai lo sguardo assente sul tavolo. Massaggiai le tempie con movimenti lenti e circolari per alleviare la tensione e schiarirmi le idee.

Quella cameriera aveva acquistato inconsapevolmente troppa importanza per me e non riuscivo a spiegarmi il motivo per cui mi ossessionasse tanto. Avvertivo una strana sensazione per nulla piacevole alla base dello stomaco, un groppo pesante in gola e una morsa opprimente al cuore. Ad ogni battito sentivo il mio malumore aumentare. Col senno di poi, saggiate tutte quelle orribili sensazioni, avrei evitato di agire di impulso se avessi potuto riavvolgere il nastro e tornare indietro. Ero confuso ed avevo solo una certezza: volevo assumere Sabrina, una collaboratrice che mi aiutasse veramente a svolgere le mie faccende, anche per diminuire lo stress. La situazione era notevolmente peggiorata dal nostro appuntamento: non facevo altro che pensare alle sue gambe perfette, al suono dolce della sua voce, ai suoi occhi e, per finire, mi isolavo completamente dal mondo circostante immaginando quella magnifica bocca che avrei baciato, avrei morso fino allo sfinimento. Chiamai Andrew e Kevin, così ci organizzammo per andare al "Ryan's New York" quel pomeriggio e, eventualmente, anche quella stessa sera.

Alla ricerca di un nuovo inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora