Flashback (2006)

462 13 14
                                    

È un anno che sono in comunità e ho solo sette anni. I bambini a sette anni dovrebbero stare con i propri genitori, no? A scuola, in seconda elementare vedo tutti i bambini uscire da scuola alle 12.40 dove all'uscita c'è la sua mamma o il papà o i nonni ad aspettarli a braccia aperte. Io torno a "casa" a piedi da sola, oppure mi accompagna la mia maestra di italiano.
Ogni volta che esco da scuola, mi piace osservare la scena di come i familiari di ogni bambino sorridono alla loro vista. Invidia è ciò che provo. Hanno così tanta fortuna che molti non se ne accorgono nemmeno. Non piango più però. Almeno, non come i primi giorni che non riuscivo nemmeno a mangiare, guardare la televisione, dormire, gli educatori dovevano sempre tenermi la mano o mi sentivo ancora più sola, perché mi sentivo una voragine nel petto da quanto mi mancava mia madre. Me ne stavo semplicemente fuori nel giardino seduta su un gradino a guardare fuori, aspettandola. L'assistente sociale mi aveva detto che solo quattro giorni sarei rimasta lì dentro e quando arrivò il quarto giorno io dissi a tutti che mia mamma sarebbe arrivata a portarmi via, ma lei non arrivò, nemmeno mio padre. Un'altra lama mi trafisse dentro, mai promettere ai bambini qualcosa che sai non manterrai. Ma ora, quattro giorni sono passati da un bel po' e mi manca tutt'ora, ma non piango più, solo quando il mercoledì alle 20.00 posso parlarle al telefono, ovviamente, la chiamata è ascoltata anche dagli educatori come stabilito dal Tribunale, neanche fosse una serial killer o potesse uccidermi via telefono.. gli assistenti sociali non vogliono che mamma faccia commenti negativi su mio padre o parli dei processi in tribunale, o qualsiasi cosa che potesse farmi male e bloccarmi la crescita. Come se fossi ancora viva, insomma. La mia crescita si è fermata, l'unica cosa che cresce è il mio grasso, la pancia, il sedere e le cosce.
Serena e Claudia sono le mie educatrici preferite, saranno sui trent'anni e sono molto affettuose. Claudia ha sempre le mani che le puzzano di fumo e ogni volta che mi sorprende alle spalle, mi mette le mani sugli occhi e la riconosco perché solo lei fuma lì dentro.
Finalmente posso pranzare. Entro in comunità e hanno preparato la pasta al pesto (il mio piatto preferito) e le cotolette. Mi lavo le mani e mi siedo. 《Ah! Il momento più bello della giornata che aspetto da quando mi sveglio!》esclamo. Tutti ridono.

... quando ero arrivata, non mangiavo per il dolore che provavo
Gli educatori erano preoccupati per il fatto che mangiavo pochissimo e mi portarono dal dottore, ma poco tempo dopo iniziai a mangiare a dismisura e i rotolini sulla pancia cominciava a fare capolino. Anche quando ero con mia mamma non avevo un buon rapporto con il cibo, perché non volevo mai mangiare. Però era perchè mia mamma era spesso assente e io passavo le giornate con mia nonna materna, lei mi preparava da mangiare, giocava con me e mi portava al parco ma accusavo incosciamente l'assenza di mia madre, ribellandomi e non volendo mangiare. Mia nonna mi doveva imboccare e io le sputavo il cibo fuori dalla bocca. Ci mettevo due ore per mangiare qualunque cosa. Ma mia nonna non si arrendeva, finché non ingurgitavo continuava ad insistere, allora io ingurgitavo e poi le vomitavo sul tavolo. Che caratteraccio!
Anche mamma mi aveva portata dal dottore e aveva detto che non c'era verso che io assumessi cibo. Nel frattempo andavo anche da una psicologa perché si pensava servisse a qualcosa. Psicologa dell'infanzia. Già a quei tempi c'era qualcuno che provava a strizzarmi il cervello e a capire mentre giocavo cosa mi frullasse dentro la testa.
Comunque, in comunità, il dottore consigliò all'educatrice di farmi giocare di più, farmi distrarre in modo da non pensare troppo alle brutte cose. Un po' fu utile, ma alla fine andavo semplicemente avanti, come si fa sempre, puoi vivere strisciando ma i giorni passano lo stesso, si va sempre avanti.

Un anno lì dentro e sono diventata grassa. Da magra a grassa. Un po' com'è tutt'ora la mia vita. Non ricordo il peso ma ricordo perfettamente i rotoli di ciccia che avvolgevano tutto il mio corpo, il collo, la braccia, le dita, la pancia, le gambe, i piedi, tutto. La zona dei capezzoli era persino cresciuta, "le ragazze grandi hanno quelle cose chiamate tette perché sono grasse", pensavo. Tutte le bambine della mia età erano piatte come me prima, chi era come me adesso era anche lei grassa.
Ma non c'era modo che io mangiassi meno, da non mangiare passai al ingurgitare velocemente tutto, fino a scoppiare, per consolarmi nel cibo e non percepire quel vuoto immenso che provavo quando ero a stomaco vuoto. Avevo fatto questo ragionamento, non volevo più sentire il dolore interno e perciò avevo trovato il modo per soffocarlo: mangiare.

La mia maglietta delle winx aderisce troppo alla parte sopra del mio corpo e a tavola, a pranzo, un ragazzo della comunità mi guarda quasi disgustato e dice 《quella winx è tutta piegata dentro ai tuoi rotoli di ciccia sulla pancia, sembri proprio l'omino Michelin》ride e tutti ridono. Sto per piangere. E poi continua 《non ci rimanere male, io lo dico per il tuo bene, se sei grassa non dovresti metterti le cose aderenti.》
Non riesco ad amettere alcun suono, sono pietrificata dalle sue parole, serro lo stomaco e fisso il piatto immobile. Un educatore mi guarda e dice 《dai Franci, non ascoltarlo è stupido, mangia.》
Ma io non ho intenzione di mangiare dopo quest'offesa. Se avevo fame ora mi è passata. Mi alzo, voglio andare in camera.
Ma vengo bloccata da Claudia 《resta a tavola e mangia.》
Mi siedo.
Prendo la forchetta.
Finisco 150 gr di pasta (400) al pesto (100) in due minuti e faccio il bis (300). Mangio tre cotolette grandi (720) e una banana (100).
Io ho già finito e tutti sono ancora al bis di pasta o alla prima cotoletta.

Salgo in camera da sola e non c'è nessuno.
Eccolo che arriva (il ragazzo che mi abusava).
《Sei triste perchè Marco ha detto che sei grassa?》mi dice.
Non rispondo.
Si avvicina e chiude la porta della mia stanza, mi spinge con la pancia verso il calorifero dietro la porta.
Vorrei urlare perchè avverto che c'è qualcosa di sbagliato in questo gioco. Non capisco cosa sta succedendo. Perché è l'unico che gioca così con me? Vorrei scappare ma sono pietrificata per le mie emozioni.
Mi toglie i pantaloni e inizia a toccarmi.
Sento il suo respiro farsi più affanato.
《Cosa stai facendo?》gli chiedo cercando di apparire il più calma possibile. 《Stiamo giocando》mi risponde lui. E io gli chiedo 《e che gioco è?》e lui mi dice 《il gioco di chi si diverte di più.》
Continuo a non capire dove stia il divertimento, ma non gli dico più nulla. Resto ferma come un palo. Sento che si sta slacciando i suoi pantaloni e poi sento il suo coso caldo sulla mia chiappa.
《Non mi sta piacendo questo gioco...》gli dico con un filo di paura nella voce. 《Stai tranquilla, fidati di me》cerca di rasserenarmi lui. Lo sento strusciarmi dietro di me e dopo un attimo urlo per il dolore che sento, ma lui evidentemente già se lo aspettava e non faccio in tempo ad emettere l'urlo per più di due secondi che lui mi tappa la bocca con la mano e mi stringe a sé continuando a spingere dentro di me.
Le lacrime scendono e non so cosa fare. Non capisco cosa sta facendo. Non sono capace di ribellerarmi perché non so neanche bene se dovrei ribellarmi dato che non so veramente se questo gioco è giusto o sbagliato. Di certo so che è un gioco a cui non ho mai giocato.
Mi tiene bloccata così e continua a giocare con me per più di mezz'ora. Dopodiché, sento il suo respiro cambiato, come se si fosse rilassato e si ferma. Esce da dentro di me, mi gira e mi guarda.
Anche le lacrime si sono gelate.
《Me lo dai un bacio?》mi dice lui.
Gli do un bacio sulla guancia.
《No, un bacio sulla bocca.》ribatte.
《Non conosco questo gioco, non capisco cosa stai facendo e mi hai fatto tanto male》gli dico io.
《Scusami, non volevo farti male, la prossima volta non ti farò male, promesso. Non devi preoccuparti, è un gioco che fanno tutti e a tutti piace.》
A me no.
《Allora? Me lo dai un bacio?》continua lui.
《No... non mi va..》gli dico titubante.
Allora posa lui le sue labbra su di me e mi bacia con la lingua.
Finalmente, sta per andarsene ma prima di uscire dalla camera mi guarda e dice 《ah, ricordati che è un gioco segreto questo, vince chi non dice a nessuno a che gioco giochiamo.》

Una Vita Di NumeriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora