Anno Domini 1165
Lazio meridionale
Erano ancora dietro di lui, pensava di averli seminati, ma si sbagliava.
“Qualcuno ad Antiochia ci ha tradito. Quando sono partito da Gerusalemme, nessuno sapeva della missione, tranne me e il Gran Maestro”. Questi erano i pensieri che attraversavano la mente del cavaliere crociato mentre, costeggiando i monti Ausoni, cavalcava verso nord.Quando era sbarcato nel porto di Brindisi, aveva avuto l'impressione di sentirsi osservato, ma non vi aveva dato troppo peso, ed era partito subito al galoppo, verso la città dei Papi, ripercorrendo la via che anni prima lo aveva visto andare a Gerusalemme pieno di fervore e fede, per difendere i luoghi santi dagli infedeli insieme con altri intrepidi cavalieri.
Era stato comunque un colpo di fortuna sentire la sera prima quei quattro cavalieri chiedere all'oste informazioni su di lui. Era a riposare alloggiato in una locanda ai piedi di Casinum, in una stanza a pian terreno, vicino all'ingresso. I quattro avevano un accento germanico ed era indubbio che stessero cercando proprio lui. Allora era partito di nascosto molto prima dell'alba, e all'altezza di Aquinum aveva abbandonato la via Latina, piegando verso ovest, nel tentativo di far perdere le proprie tracce. Del resto, doveva congiungersi alla via Appia per raggiungere Ninfa dove il Papa era rifugiato. Voleva passare per la valle d'Ambrise per salutare il suo vecchio maestro e amico Fra Gregorio, ma, per confondere ulteriormente le idee ai suoi inseguitori, aveva deciso di passare più a nord, toccando Castrum S. Petri e proseguendo poi per la valle dell'Amasenum. Ma ora, il suo cavallo era sudato e stanco, quasi sfinito e così Aldebrando si fermò un attimo nei pressi di un ruscello per farlo riposare e dissetare. In effetti, era molto stanco anche lui e voleva sdraiarsi un attimo a riposare, ma nel silenzio della foresta, sentì distinto l'eco di molti cavalli al galoppo.
“Sono loro. Maledizione, hanno già trovato le mie tracce, - Mormorò tra se - e il cavallo non ce la fa più. Devo affrontarli per forza. E va bene! Con l'aiuto di Dio supererò anche questo ostacolo, non posso arrendermi ora!”.
Guardandosi intorno vide un piccolo tronco di pioppo abbattuto, elaborò immediatamente un piano. Nascose il cavallo poco più in là. Sfrondò un poco il tronco nella zona centrale e lo mise per terra di traverso, in un punto stretto della pista, accostandolo saldamente su entrambi i lati a due tronchi robusti. Lo avrebbe sollevato al passaggio degli inseguitori, con la speranza di disarcionarne il più possibile. Calzato l'elmo, si nascose nei cespugli dietro il tronco, piantò vicino a se la spada che tante battaglie aveva visto e aspettò in silenzio.
Arrivarono subito dopo, quattro cavalieri dai mantelli neri e le insegne gialle, lanciati al galoppo. Era il momento. Sollevò il tronco al loro passaggio. L'effetto fu devastante, i cavalli rovinarono a terra con le gambe spezzate, i due cavalieri capofila all'impatto volarono qualche metro lontano fracassandosi contro gli alberi. Anche gli altri due che seguivano in seconda fila furono disarcionati, ma con meno violenza e riuscirono a rialzarsi in fretta. Aldebrando, impugnata la spada, si precipitò sui cavalieri a terra per finirli a colpi di spada, poi si girò verso gli altri due che disperatamente cercavano le loro armi. Raggiunse il primo che era ancora di spalle, piegato sul suo cavallo; gli staccò la testa con un solo fendente. Si rivolse poi con un urlo feroce all'ultimo avversario che era riuscito a impugnare la sua mazza ferrata e lo scudo che aveva disegnato sul fronte su sfondo giallo i neri leoni di Svevia. Senza indugio, i due urlando si scagliarono l'uno contro l'altro, il crociato riuscì a superare la difesa dello scudo avversario infilzando con la sua spada l'imperiale nel basso ventre, poco sotto l'armatura ma l'altro, a sua volta, era riuscito a portare a segno un terribile colpo di mazza ferrata sulla testa di Aldebrando che, nonostante calcasse l'elmo, cadde a terra svenuto e sanguinante insieme al suo esanime avversario.
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Si svegliò tempo dopo, il cavallo gli stava leccando la faccia coperta di sangue. Si rialzò a fatica. La sua unica speranza era raggiungere Castrum S. Petri che non doveva essere molto distante. Lì, c'erano i suoi confratelli, lo avrebbero aiutato. Abbrancato al collo del suo cavallo, con la testa che continuava a sanguinare copiosamente, il cavaliere si avvio verso il vicino insediamento. Doveva salvarsi ad ogni costo, doveva salvare il Papa e la Chiesa.
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Il segreto di Ambrise
Historical FictionTra gli intrighi generati dal braccio di ferro tra papato e impero germanico (XI sec.), nello scenario del Lazio meridionale, durante la distruzione della fortezza del villaggio di Castrum da parte delle truppe dell’Imperatore Federico Barbarossa, u...