Castrum S. Petri, Porta della Valle:
Arrivarono con la prima pioggia. Si erano accampati davanti alla porta principale, quella che dava sulla valle. Un centinaio di mercenari al soldo dell'Imperatore stavano preparando il campo. C'erano un grande spiazzo e poche catapecchie. Scacciati via con violenza i poveri abitanti, aspettavano il grosso della truppa. Il giorno dopo sarebbe arrivato il vescovo Cristiano di Magonza, luogotenente dell'imperatore Federico il Barbarossa. Cristiano aveva già mandato un messo al balivo di Castrum S. Petri chiedendo resa incondizionata del forte, fedeltà all'imperatore e a Pasquale III l'antipapa. Il balivo aveva predisposto tutto per l'assedio: acqua, cibo e quant'altro fosse necessario; aveva avvisato anche la popolazione del contado, invitando tutti a pregare Iddio che scampasse loro quel pericolo, ma nonostante tutte le preghiere il terribile giorno era comunque arrivato. Il balivo rispose al messo imperiale che la città conosceva uno e un solo Papa: Alessandro III.
Il grosso delle forze imperiali arrivò il giorno dopo. Le vedette su a Castrum li avvistarono all'alba, un migliaio di uomini tra cavalieri, armigeri, arcieri, carpentieri e falegnami. Con Cristiano arrivarono anche le sue famose cortigiane; il prelato, se così si può definire, non si faceva certo mancare nulla, nemmeno una numerosa e disponibile compagnia femminile.
L'arcivescovo di Magonza, infatti, era tutt'altro che un religioso esemplare, bensì un vero guerriero e un abile diplomatico che amava godersi la vita. A dispetto del suo carattere gioviale, in battaglia era terribile e con la sua arma preferita, la scure, aveva rotto più di qualche testa elmo compreso.
Il giorno dopo l'arrivo, i cavalieri imperiali si riversarono per la campagna, casa per casa, requisendo con violenza cibo e giovani donne, passando per la spada chiunque s'opponesse, lasciando alle spalle solo case bruciate.
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In una settimana i carpentieri e falegnami prepararono torri d'assedio e un ariete. L'attacco ebbe allora inizio. Alle prime luci dell'alba, protetto dagli arcieri, l'ariete fu portato a ridosso della porta d'ingresso della prima cinta di mura. Gli abitanti della cittadina e gli armigeri della guarnigione si opposero con veemenza, dalle finestre delle case veniva lanciato di tutto, acqua bollente, frecce, sassi. Ma la prima cinta di mura composta principalmente da case unite l'una all'altra, a parte il torrione laterale che fungeva da barbacane per proteggere la porta principale, non era attrezzata per sostenere un assedio di un esercito ben addestrato come quello imperiale. La fanteria armata di scale e ramponi riuscì a penetrare la prima cinta già alla fine del secondo giorno d'assedio. Gli assediati si ritirarono immediatamente nella cittadella, ma lasciarono molti viveri e buona parte dei civili alla mercé delle truppe imperiali che come un fiume in piena si riversarono tra i vicoli del borgo violentando e uccidendo; in ultimo appiccarono il fuoco a tutte le catapecchie di legno all'interno della prima cinta. Le prime colonne di fumo nero e denso si alzarono a monito di tutta la valle del Tolerus.
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Il segreto di Ambrise
Historical FictionTra gli intrighi generati dal braccio di ferro tra papato e impero germanico (XI sec.), nello scenario del Lazio meridionale, durante la distruzione della fortezza del villaggio di Castrum da parte delle truppe dell’Imperatore Federico Barbarossa, u...