capitolo IX

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Castrum S. Petri

Dopo il primo immediato successo, gli imperiali pensavano di conquistare il borgo con poco sforzo, ma le macchine da guerra tra le strette stradine del borgo erano inutilizzabili e tra le due cinte murarie, tra case e macerie era impossibile utilizzare un grosso numero di soldati, pochi difensori in quelle condizioni potevano tenere a freno un esercito. Allora Cristiano, preso atto di questa situazione, decise di prendere la cittadina per sete, essendo, infatti, l'unica sorgente della collina nelle sue mani. Fece quindi circondare completamente il borgo. Le cisterne scavate nella roccia all'interno della cittadella però, erano numerose e, a parte qualche tentativo di assalto fatto per saggiare le forze degli assediati, seguirono alcuni mesi di relativa calma. Il caldo primaverile, però, quell'anno era soffocante e la fortuna venne in aiuto degli assedianti; una cisterna, la più grande, quella del forte, si contaminò causando un'epidemia di dissenteria tra i difensori. Nonostante il tentativo degli abitanti di tenere nascosta la reale situazione all'interno delle mura, Cristiano venne messo al corrente delle difficoltà degli assediati, e pensò di sfruttare immediatamente l'occasione. Di notte, nel silenzio rotto soltanto dai lamenti degli abitanti, i mercenari dell'imperatore si accalcarono tra le case rimaste in piedi, con scale, ramponi e funi. Alle prime luci dell'alba ci sarebbe stato l'attacco, l'arcivescovo di Magonza in persona avrebbe condotto l'ultimo assalto.

Concentrarono subito tutte le truppe armate di scale e rampini sulla porta principale. Al segnale si arrampicarono i più agili, la resistenza fu praticamente inconsistente, le avanguardie penetrate all'interno, sgominati con pochi colpi di spada l'esiguo numero di difensori rimasti in piedi, aprirono subito la grande porta poggiata su imponenti cardini di pietra. Cristiano e le sue truppe scelte entrarono urlando con le armi in pugno, pronti alla battaglia, ma si trovarono davanti a uno spettacolo pietoso, immersi in una puzza insopportabile di carne putrefatta e di escrementi inaciditi e putrescenti giacevano lungo le stradine del borgo corpi di bambini, soldati, contadini, donne. Quelli che non erano morti, erano ridotti allo stremo delle forze dalla fame, dalla dissenteria e dalle condizioni igieniche ormai diventate insostenibili. Ripresosi rapidamente dalla sorpresa il condottiero gridò:

“Svelti, con me, alla residenza del Balivo”.

Non incontrarono alcuna resistenza, il balivo era morto il giorno prima di dissenteria.

Arrivati rapidamente al palazzo, entrarono.

“Cercate dappertutto in ogni angolo, deve essere qui. Gustav, tu e altri dieci uomini continuate a cercare, smontate la casa pietra per pietra se necessario, dobbiamo trovarla! Gli altri con me al forte, dobbiamo finire quello che abbiamo iniziato”.

**

Cristiano arrivò rapidamente in piazza d'armi, solo il comandante della guarnigione con alcuni armigeri resisteva ancora, asserragliato in un angolo della torre ovest, quella a base quadrata.

“Fermi! - ordinò - E' mio!”.

Rapidamente salì le scale in pietra e con due colpi di scure bene assestati staccò la spalla di netto a un ultimo soldato e si trovò quindi di fronte al comandante che si batteva come un leone ferito. I due incrociarono lo sguardo per un attimo.

“Vediamo se sai morire con onore!”. Esclamò Cristiano.

Il comandante ansimante, si lanciò contro di lui brandendo a due mani la spada sulla testa assestando con forza un terribile fendente, Cristiano schivò agilmente, si lasciò superare dall'avversario e con un calcio alle spalle lo mandò a sbattere con la faccia contro un merlo d'angolo. Non gli diede nemmeno il tempo di girarsi: la sua scure s'abbatté sul collo dell'avversario che con la testa ormai tenuta attaccata al corpo solo dalle maglie della cotta si accasciò sugli spalti. Con un altro colpo di scure, Cristiano abbatté il vessillo che sventolava sulla torre, lo raccolse e pulì con esso accuratamente la scure dal sangue che ancora sgorgava a singhiozzo dal collo della vittima e disse con calma:

“Rastrellate tutti i superstiti, li voglio qui in piazza d'armi, fra un' ora”.

**

La sera stessa, nell'accampamento Imperiale, in una lussuosa tenda di velluto rosso:

“Maledizione! Maledizione! Maledizione! - ripeté urlando l'arcivescovo di Magonza - Doveva essere qui, tutte le tracce conducono qui. Maledizione! Gustav, contavo su di te!”.

“Mio signore, l'unica cosa che abbiamo trovato è questa pergamena recante il sigillo del Principe di Antiochia indirizzata al Papa, ma non c'è nessuna indicazione diretta riguardo a ciò che cerchiamo”.

“Lo so, lo so! Maledetto templare! L'avevamo in pugno. Dove è finito? E' svanito nel nulla insieme con quello che portava! Maledizione!”. Urlò ancora sbattendo il pugno sul tavolo, facendo così rotolare in terra la pergamena lasciata aperta.  

Il segreto di AmbriseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora