Filippo non sapeva davvero cosa lo aspettava. Lui che era un dormiglione, non riusciva proprio ad abituarsi al mattutino. Molto prima dell'alba, tutti i confratelli, compresi i servientese lui era un servientes, andavano in cappella a pregare. Subito dopo si tornava a riposare fino all'alba, si rincominciava poi con le lodi, ma le ore di sonno non gli bastavano mai.
Alla prima ora la messa, colazione frugale e subito in stalla a strigliare i cavalli; Filippo amava stare con i cavalli, ma non all'alba. Poi lavoro, lavoro e ancora lavoro fino alla sesta ora, quando si andava a pranzo. A tavola il ragazzo moriva di fame, ma prima doveva aspettare che Gregorio e gli altri cavalieri mangiassero, poi toccava a loro, i servientes, ma lui, poiché sapeva leggere, era costretto a mangiare per ultimo, dovendo prima declamare le letture per tutti.
Scoperto che il ragazzo sapeva leggere, Padre Gregorio non voleva che questo patrimonio andasse perduto, per cui continuava a istruirlo nella lettura e nella scienza.
“Un giorno non lontano ti servirà”. Diceva; ma in cambio Filippo doveva mettere a disposizione della comunità i suoi talenti, “Così vuole il Signore”, aggiungeva solenne il maestro.
Nel pomeriggio, servizio in cucina o nei campi, la sera, dopo le preghiere dei vespri, il giovane crollava stanco sul suo giaciglio a sacco, riempito di foglie e paglia, nel dormitorio comune.
Le armi di Aldebrando erano rimaste in vista su una panca in sagrestia, dove Padre Gregorio riceveva la comunità. La spada lucente era una continua tentazione per Filippo che si sentiva un aspirante guerriero e non certo un novizio benedettino.
“Vedete bene la spada? Nella sua forma essenziale è come una croce, e, se non la prenderete in mano come se fosse una croce, non potrete mai essere dei santi cavalieri”.
Questo era il ritornello che spesso Fra Gregorio ripeteva a tutti gli allievi.
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Dopo lunghi giorni di silenzioso sacrificio Filippo prese coraggio:
“Maestro Gregorio, quand'è che potrò allenarmi con la spada di legno nell'arte del duello?”. Il vecchio lo ignorò proseguendo per la sua strada, ma il ragazzo, tenace, lo seguì fino in sagrestia.
“Filippo! - disse finalmente Gregorio guardandolo negli occhi - Non ti arrendi mai! - il ragazzo gli piaceva per questo - Allora ti assegno un incarico importante: domani mattina, dopo la Messa, prenderai il tuo cavallo e una scure di quelle pesanti, la bipenne, quella per spaccare le legna per intenderci; questa sera prima dei vespri l'affilerai bene, andrai in montagna, quella da dove sei arrivato, a tagliare un po' di castagno. Farai almeno tre some di legna per il fuoco. Vedrai, ti farà bene, rinforzerà i tuoi gracili muscoli. Portati un abbondante pasto, la giornata sarà molto lunga e faticosa”.
Filippo andò via soddisfatto, quando era a casa, faceva a gara con i fratelli per spaccare la legna e lui perdeva sempre, perché Giovanni, suo fratello maggiore, era più grande e più forte di lui. In realtà non sapeva che il taglio trasversale del tronco ancora fresco e vivo fatto con la scure, sebbene affilata, non era certo cosa da prendere alla leggera.
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L'indomani all'alba, dopo la prima Messa, Filippo scese la collina in groppa al suo cavallo ridotto a bestia da soma. Giunto a valle, in penombra dove il sole non era ancora arrivato a dissipare la nebbia mattutina, si sentì subito inquieto, aveva la sensazione di esser seguito. Si fermava spesso guardandosi intorno, ma non vedeva né sentiva nulla di strano. Affrontò il pendio. Al primo castagneto si addentrò per una decina di metri e alla prima piccola radura si accampò. La strana sensazione di essere seguito non lo aveva però abbandonato, anzi si era acuita quasi a diventare paura. Al suo arrivo gli uccelli erano volati via e i rumori della foresta acchetati. Il silenzio era quasi assoluto. Con tutti i sensi in allarme, Filippo scrutava ogni cosa intorno a sé. Al fine, sentì un fruscio e vide un cespuglio al limitare della radura muoversi; sganciata dalla sella l'accetta, si avvicinò con cautela al cespuglio ma, prima di raggiungere il bordo della radura, spuntarono dal cespuglio un paio di occhi gialli. Era un lupo grigio. Immediatamente Filippo lo riconobbe.
“Occhi-gialli! Mi hai spaventato”.
Il lupo con la testa inclinata di lato guardava il ragazzo come incuriosito. Filippo, continuando a parlare, indietreggiò verso il cavallo, allungò la mano nella sacca dei viveri e prese un pezzo di carne affumicato, ne staccò un pezzo con un morso e, allungando la mano verso il lupo, lo poggiò in terra allontanandosi, poi si sedette.
“Vieni amico mio, hai fame? Sei cresciuto dall'ultima volta”.
Occhi-gialli era un tipo strano per la sua razza; solitario, stava quasi sempre lontano dal branco. Era curioso, intraprendente e mal sopportava il controllo del capo branco, né aveva voglia di affrontarlo. Viveva così, solo, in disparte, si univa agli altri quando aveva fame e il branco andava a caccia. La sua curiosità lo metteva spesso in mezzo ai guai come quella volta con la tagliola, ma il villaggio degli uomini lo interessava oltremodo e lo spingeva sempre più vicino alle sue mura.
Si avvicinò pian piano, allungò timidamente la zampa e tirò a se il piccolo boccone di carne ingoiandolo in un istante. Filippo ne staccò immediatamente un altro mettendolo un poco più vicino a sé, e il lupo con lo stesso rito lo mangiò. Staccò ancora un altro boccone posandolo a pochi passi. Arrivò così l'ultimo pezzo, il più grande, il giovane lo teneva poggiato sul palmo della mano. - Vieni, bello, fai piano però, che di mani ne ho solo due. - Ma, come se fosse pentito di tanta confidenza, il lupo scartò improvvisamente via, rintanandosi accucciato tra i cespugli ai bordi della radura.
Filippo, presa la scure e scelto l'albero, cominciò a picchiare di gran lena il tronco vicino la radice, fortunatamente scelse un albero giovane con il tronco non troppo grande, così, dopo un bel numero di colpi ne ebbe ragione, ma le mani già erano indolenzite.
“Amico mio, che fatica, beato te”.
Disse, rivolgendosi a Occhi-gialli, ma girandosi verso il cespuglio dove il lupo s'era accucciato, non lo vide più.
“Forza Filippo al lavoro!”.
Per fortuna Marco, un servientes che dormiva accanto a lui, gli aveva consigliato di portare con sé un'accetta e il ragazzo, con l'attrezzo più leggero, sfoltì dai rami più piccoli il tronco abbattuto e iniziò a tagliare i più grandi che ammucchiò in bell'ordine ai bordi della radura. Le vesciche alle mani erano il suo problema più grande. In un primo momento s'erano gonfiate d'acqua ma ora, rotte, avevano lasciato scoperto uno strato di pelle rosa e delicata e il dolore era ormai quasi insopportabile. Filippo allora decise di fermarsi. Attrezzò il basto[6], caricò la legna tagliata fino allora, stringendola al termine dell’operazione con una fune. Consegnato il primo carico, Filippo si sciacquò le mani alla sorgente, poi prese delle bende che fece avvolgere da Marco ben strette intorno alle mani.
Tornato nel bosco, Occhi-gialli sembrava scomparso. Nemmeno il secondo carico ebbe problemi, protetto dalle bende, Filippo, riusciva a sopportare il dolore alle mani. Una volta nel bosco, quando dovette usare di nuovo la pesante scure per dividere il tronco più grande, s'accorse che il dolore alle mani gli aveva nascosto mille altri dolori: la schiena, le braccia, le gambe, il collo, ogni piccolo muscolo sembrava trafitto da miriadi di spine; era sfinito, ma non poteva e, soprattutto, non voleva arrendersi. Infatti, non si arrese, ma il giorno dopo, non riuscì a esser presente al mattutino, alle lodi, e nemmeno alla prima messa; riuscì ad alzarsi per andare a pranzo perché aveva troppa fame, ma fu dispensato persino dalle letture e pranzò per primo, insieme a Gregorio e ai tre templari.
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Nei mesi che seguirono, rimpinguata la scorta di legna per l'inverno, Filippo aveva messo su due belle spalle, braccia muscolose e una lanugine bionda e tenera sul mento. Diventato veloce ed esperto nel taglio della legna, quando andava in montagna, aveva anche il tempo per cacciare; si era costruito un bell'arco di tasso a doppia anima, induriva le frecce al fuoco e tornava spesso con qualche lepre. Occhi-gialli, il lupo solitario lo seguiva sempre a distanza; Filippo si era abituato alla sua presenza e portava spesso della carne per lui. Quando non andava per legna, la sera, prima del vespro, usciva fuori le mura, verso nord ed ecco che dal nulla appariva Occhi-gialli; gli lanciava un po' di carne, lo salutava e tornava al villaggio. Il giovane aveva fatto amicizia con tutti, e la sera, quando tornava, passava prima da Ermengarda alla locanda, scambiava due chiacchiere e le lasciava un po' di cacciagione in cambio di un buon bicchiere di vino. Filippo sembrava vivere tranquillo, ma nell'animo fremeva, voleva l'azione, la spada, la gloria.
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Il segreto di Ambrise
Fiction HistoriqueTra gli intrighi generati dal braccio di ferro tra papato e impero germanico (XI sec.), nello scenario del Lazio meridionale, durante la distruzione della fortezza del villaggio di Castrum da parte delle truppe dell’Imperatore Federico Barbarossa, u...